“Ci stanno invadendo…” – La disillusione buonista

Ci stanno invadendo. Ormai dovrebbe esser chiaro anche ai buonisti più ingenui. E, per indorare la pillola, è tutto un fiorire di bugie e di luoghi comuni, volti non soltanto a convincerci che la cosa è inevitabile, ma che è addirittura positiva e utile per noi. In altre parole, vogliono che il popolo italiano sia cornuto e contento.

Da qui, la selva di barzellette sul fatto che l’immigrazione sia una “risorsa”, che la diversità sia un “arricchimento”, che bisogni costruire “ponti” e non “muri”, e così via cazzeggiando.

Non è vero niente. Siamo solamente in presenza di un piano diabolico per distruggere gli Stati nazionali e l’identità dei popoli; e – con essi – il sistema sociale che gli Stati hanno costruito nel tempo, a garanzia delle rispettive popolazioni e, soprattutto, delle fasce più deboli di queste. Il progetto della grande finanza è sostituire le nazioni con un grande marmellata multietnica, multiculturale, multireligiosa, multi-l’animaccia-loro, che possa fornire carne da macello da impiegare nelle fabbriche “globalizzate” con compensi da fame, senza tutele, senza garanzie, alla mercé delle “riforme” che servono ad “attrarre investimenti”, tipo Jobs Act.

Ecco perché stanno riempiendo l’Europa di migranti economici (più o meno travestiti da “rifugiati”). E se l’Europa ha già raggiunto il punto di saturazione, se Londra ha un sindaco musulmano, se la Germania ha tre milioni di turchi, se il Belgistan ha intere città governate dalla legge islamica, se i paesi dell’Est hanno detto che loro non vogliono fare la stessa fine… se la situazione è ormai questa, ci sono sempre quei coglioni di italiani, disposti a diventare il campo-profughi dell’Europa, ad andarsi a prendere gli invasori sul bagnasciuga libico, a portarli in albergo ed a dotarli di internet, telefonino e argent de poche.

Naturalmente – come dicevo in apertura – a questo popolo italiano qualcosa va detta. Ove il “qualcosa” sta per “qualche bugia”. La madre di tutte le bugie (non foss’altro perché la più vecchia) è quella che “gli stranieri fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”. Dunque, si vorrebbe far passare il messaggio che gli italiani svolgano lavori prestigiosi e ben remunerati, e che gli immigrati vadano semplicemente a tappare i buchi, a fare i lavori umili, dequalificanti, avvilenti, quelli che un italiano non farebbe neanche per sogno.

Non è certamente così in un paese con 3 milioni di disoccupati “ufficiali”, e con non so quanti milioni di sottoccupati, inoccupati, inattivi, cassintegrati, esodati, esuberati, e così via fornerando. In un paese vittima della globalizzazione economica, che costringe le imprese a ridurre all’osso le spese per il personale, pena l’impossibilità di “stare sul mercato globale”.

Così non è – dicevo – ma quand’anche fosse così, l’unica conclusione logica sarebbe che gli immigrati andrebbero a fare concorrenza ai nostri “ultimi”, ai più poveri, ai più indifesi, a quegli italiani le cui condizioni miserevoli non riescono a toccare il cuore dei tanti buonisti pronti ad indignarsi per il “disagio” di un singolo o di una famiglia di immigrati.

Naturalmente, la vulgata buonista mal si concilia con le statistiche. E non solo quelle relative alla disoccupazione, ma anche quelle della emigrazione, della nostra emigrazione verso i paesi stranieri. Secondo una recente rilevazione, negli ultimi anni sono stati mezzo milione i giovani italiani andati a cercare lavoro all’estero, magari con una o più lauree, magari con quelle lauree a fare i camerieri a Londra o i lavapiatti a Berlino, magari contendendo con pakistani o senegalesi.

La verità è che, in Italia e non solo in Italia, i poteri forti dell’economia globalizzata hanno interesse a disporre di una manodopera d’importazione, pronta a lavorare per compensi irrisori; in modo da poter poi ricattare i nostri lavoratori, obbligandoli a salari da terzo mondo, con lo spauracchio del licenziamento e della sostituzione con stranieri disposti a lavorare per un pezzo di pane.

La manovra è questa, ed è ormai talmente scoperta che dovrebbe capirla anche un esponente della più spocchiosa “sinistra” con la erre moscia.

E invece no. Sono lì, imperterriti, a pontificare in tv ed a bearsi con l’ammontare dei contributi che i “lavoratori stranieri” hanno versato nelle casse dell’INPS. Nessuno di loro – naturalmente – si è mai chiesto perché mai gli stessi contributi non avrebbero potuto versarli altrettanti lavoratori italiani: sol che avessero avuto la ventura di poter lavorare nel loro paese, senza emigrare, senza sputare sangue, senza andare a morire tra le fiamme di un grattacielo londinese.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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