Le femminilizzazione antropologica che conviene al sistema
Uno straordinario video dell’artista sámi (o “lappone”), Mari Boine mi riporta alla questione di genere, di cui si parla ogni tanto qui, da quando un lettore mi ha fatto scoprire la teoria della Jeune-Fille.In sostanza, la teoria della Jeune-Fille dice che il dominio maschile ha proiettato un’immagine femminile che possiamo definire di subordinazione manipolatoria.
Quando il dominio maschile si assottiglia nel dominio astratto del capitale, la subordinazione e la manipolazione si fanno generali: ecco che la Jeune-Fille diventa la forma umana prevalente dei nostri tempi, per maschi e femmine.
Preciso subito di non essere d’accordo con due elementi importanti di questa teoria. Primo, la forma prevalente dell’umanità non coincide con il Ceto Medio Globalizzato e benestante. La forma media dell’umanità vive nelle baraccopoli del Terzo Mondo, e ogni teoria che dimentica questo rimane occidental-centrica.
Secondo, la teoria della Jeune-Fille sfocia nell’ennesima riedizione ottimistica e progressista del racconto del gruppo sociale che, una volta presa coscienza, farà la rivoluzione: infatti, gli autori fantasticano sul momento in cui le Jeune-Filles, sensibili e colte, cesseranno di essere oggetto di manipolazione mediatica. Le veline che prendono d’assalto il Palazzo di Arcore, insomma.
Eppure ritengo che quella della Jeune-Fille sia un’eccellente teoria. Prende atto di un fatto molto reale: qualcosa che possiamo chiamare la “femminilizzazione” antropologica dell’Occidente. Dove per femminile intendiamo, più o meno, ciò che un becero borghese maschio dell’Ottocento poteva pensare fosse “da donnette”. Tale “femminilizzazione” viene di solito notata solo da alcuni rancorosi, che affermano che “non ci sono più in giro i veri maschi”, e che “la società è in mano alle donne”. La teoria della Jeune-Fille rovescia la prospettiva.
Prima di tutto, riconosce che la femminilizzazione non è dovuta a qualche caduta morale (ammesso e non concesso che il patriarcato sia “morale”), ma allo sviluppo simbiotico del capitalismo e dei media.
In secondo luogo, non dice affatto che la femminilizzazione della società costituisca un matriarcato, cioè un dominio delle donne. Innanzitutto, perché il potere reale – economico, mediatico, politico e militare – è in massima parte in mano a uomini, e quelle donne che possiedono un potere reale non sono certamente Jeune-Filles.
Cioè, la jeunefilletà è sempre una condizione di subordinazione. E il dominio (distinto dal potere) è più che mai “maschile”, tra virgolette. Nel senso che rispecchia i due elementi primari che il becero borghese dell’Ottocento avrebbe riconosciuto come degni del vero uomo: la violenza e la razionalizzazione.
Nessuna società è mai stata tecnica – e quindi razionalmente violenta e programmata – quanto la nostra.
Chiuso nel suo harem, il Jeune-Fille (ripetiamo, il genere fisico e quindi grammaticale è intercambiabile) cerca soprattutto la sicurezza, contro le incertezze della vita, la solitudine, la noia e gli scarti umani che lo circondano ovunque.
Il maschile è quindi posto fuori da sé: è il muro, il guscio, il custode specializzato nella caccia, nell’omicidio e nella repressione.
Sono maschili – in questo senso simbolico – le logiche che programmano i motori che mandano avanti il nostro sistema; come sono maschili i missili, le telecamere, la costruzione della Grande Muraglia di cui vediamo frammenti nel Muro dell’Apartheid in Palestina, in quell’altro immenso muro che tiene i messicani fuori dagli Stati Uniti…
Nella Jeune-Fille, vediamo forse la fine del patriarcato storico; ma mai come oggi, il mondo è stato dominato da un principio maschile. Con un curioso rovesciamento apparente rispetto al passato, in cui la sfera femminile era “privata” e quella maschile “pubblica”: delle multinazionali, vediamo ovunque le immagini femminili pubblicitarie, mentre il meccanismo maschile che le costruisce resta invisibile. Il film Sesso e potere, dove un mondo ferocemente maschile, ma invisibile, lancia come immagine pubblica la bambina profuga con un gattino, ce ne dà tutta la misura; e dimostra anche l’errore radicale che compie il maschilismo rancoroso quando cerca di leggere i nostri tempi.
Ma forse questo rovesciamento della visibilità non è così paradossale, se pensiamo che tutto ciò che ci è dato vedere del mondo ormai è il privato, grazie ai media audiovisuali: la televisione per sua natura porta gli altri nel nostro salotto e ce li fa vedere da vicino. Così sappiamo tutto delle rughe di Carla Bruni, e nulla della macchina di potere dietro suo marito.
Ma torniamo al video di Mari Boine, che invece ci fa vedere proprio quell’invisibile mondo maschile, nel suo momento culminante. https://youtu.be/QlIMqqd2nsU
Kelebek
(Fonte: http://kelebeklerblog.com/2008/10/14/la-violenza-segreta/)
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Commento di Annamaria Scarficcia: “io credo che questo sia un articolo da leggere con molta attenzione. Siamo di fronte ad un dibattito antropologico per niente uguale a quelli di cui ci siamo nutriti finora, su ciò che sia il maschilismo e il femminismo, sul crollo del modello maschile, o meglio, maschilista della società, sulla “femminilizzazione” della società. Tocca secondo me un punto nevralgico. “Mai come oggi, dove sembra che la società per molti aspetti si sia femminilizzata, siamo di fronte ad una società dal dominio maschile strapotente dietro le quinte, mentre l’elemento femminile è sulla scena dell’apparenza, diafano e spesso ingombrante”. Più o meno questo è il senso. Poi l’articolo invita allo sguardo di un video che illumina il concetto. Accanto a quel video un altro, dove mi è parso di riconoscere il senso di una maschilità antica paragonata al maschilismo moderno. Mi ci sono ritrovata. Cercherò di pubblicare entrambi i video, per avere pareri a riguardo. E questo nella confessione che personalmente ho sentito molti atteggiamenti “femministi” come estranei alla mia coscienza. Questo video forse ha scoperto le mie ragioni. Se, invece, sono i miei torti, qualcuno me lo farà capire. Grazie.”