Siria – Chi prende Raqqa ha vinto la guerra… “Tana libera tutti!”

La campagna per la liberazione di Raqqa è divenuta una corsa fra tre protagonisti della mattanza siriana. Le truppe di Damasco, appoggiate dagli alleati russi ed iraniani, con il supporto di Hezbollah e delle milizie sciite, liberata Aleppo si allargano a macchia d’olio: a nord sono giunte a chiudere al-Bab, l’ultima roccaforte dell’Isis nel settentrione del Paese; ad est hanno sfondato le difese del Daesh giungendo a Deir Hafer, sulle sponde dell’Eufrate.

I Turchi, con l’appoggio di milizie locali ampiamente foraggiate e del Free Syrian Army (Fsa), ormai divenuto una sorta di corpo ausiliario di Ankara, sono stati fermati sanguinosamente nei sobborghi di al-Bab dai terroristi, ma premono in tutti i modi per andare oltre.

Le Syrian Democratic Forces (Sdf), un cartello di milizie egemonizzate dai Curdi delle Ypg, stanno avanzando rapidamente su Raqqa da nordest, grazie all’appoggio sempre più massiccio degli Stati Uniti, e sembrano giunte ad una decina di chilometri dalla città.

In realtà, a parte i Siriani, che il Paese loro vogliono finalmente liberarlo sia dai Daesh che dai sedicenti “ribelli” a cui le Sdf sono nella sostanza omologate, dietro alla foglia di fico della lotta al babau dell’Isis, Turchi, Curdi e Americani hanno motivazioni assai diverse e certamente assai meno nobili per entrare a Raqqa.

Erdogan vuole evitare a tutti i costi la creazione di un’entità curda autonoma, e più che ai Daesh pensa a combattere le Ypg, filiazione di quel Pkk che è la sua ossessione. Impedire che si consolidino nel nord della Siria, anche a costo di entrare in attrito con Washington, è per lui imperativo soprattutto per il destabilizzato fronte interno, permettendogli comunque in prospettiva trattative da una posizione di forza.

I Curdi e gli Usa giocano una partita assai più ambigua: i primi hanno tutto l’interesse a rafforzare l’immagine bugiarda, passata dai media occidentali su ispirazione Usa, d’essere i più acerrimi avversari dell’Isis. Chi prenderà Raqqa sarà incoronato mediaticamente come il vincitore del Daesh; con questo titolo acquisirà peso politico e, soprattutto, nessuno baderà ai territori arabi sui cui avrà messo le mani, che serviranno sia come base territoriale che merce di scambio nelle future trattative.

Gli Usa, dal canto loro, hanno due obiettivi: fallita ogni altra possibilità d’avere una pedina propria sul campo, dopo il tramonto del Daesh hanno puntato sui Curdi anche a costo d’inimicarsi Erdogan, un membro della Nato ed importante attore locale. Attraverso loro, contano d’aver voce in capitolo sul futuro della Siria e della regione, usandoli come strumento di ricatto e destabilizzazione dell’area.

Ma c’è una seconda ragione, emersa ultimamente, a spingerli a impadronirsi di Raqqa per primi, e possibilmente a restarci da soli il più possibile. Secondo le indiscrezioni di Scott Rickard, un analista Usa ex appartenente ai “servizi”, i vertici Usa stanno premendo per entrare nella capitale del “califfato” per far sparire le prove del loro coinvolgimento nella creazione e nel sostegno all’Isis.

A conferma di questa tesi ci sarebbero parecchi indizi: da quando il Daesh è ormai condannato dalla sequela di sconfitte in Iraq e Siria, gli Usa hanno esponenzialmente incrementato quei bombardamenti aerei che per anni hanno ridicolmente centellinato, e il grosso degli attacchi ha preso di mira proprio Raqqa, secondo molte fonti ormai ridotta ad un ammasso di macerie sotto cui, insieme alle installazioni dei terroristi ed ai suoi documenti, vengono sepolti i suoi abitanti senza che a nessun media venga in mente di protestare come per Aleppo.

Inoltre, al seguito dei Curdi ci sono truppe americane, in barba alla strombazzata favola che le circa 500 Special Forces già sulla linea del fronte si sarebbero limitate a compiti d’addestramento e “mentoring”. Truppe che, per permettere la corsa finale su Raqqa, sono destinate ad aumentare vistosamente, stante la pressante richiesta avanzata direttamente dal generale Votel, comandante del Centcom da cui dipende il teatro operativo.

A completare il quadro, ci sarebbe stata la visita segreta compiuta in Siria dal senatore McCain a metà febbraio, ufficialmente per incontrare i reparti Usa, nei fatti pare finalizzata a stringere accordi con i capi delle milizie curde alla vigilia dell’attacco decisivo su Raqqa.

Comunque si vedano le cose, per Washington è vitale mettere il cappello su una vittoria che le darebbe sia nuova legittimazione ad aver voce in capitolo in un’area da cui è stata praticamente espulsa dal successo del Fronte della Resistenza e dall’intervento russo, sia la possibilità di far sparire dalla capitale del “califfato” la “pistola fumante” che l’inchioderebbe alle enormi responsabilità sue e dei suoi alleati regionali nella nascita e nel sostegno al terrorismo, quale prezioso strumento di destabilizzazione dell’area.

Raqqa è dunque diventata il traguardo di una corsa che ha per posta assai più della liberazione della città dai terroristi; una corsa che Washington tenterà in tutti i modi di vincere, barando come sempre con il cinico aiuto dei Curdi pronti a vendersi al miglior offerente, con il Fronte della Resistenza deciso ad andare fino in fondo per cogliere i risultati di una lotta lunga e durissima ed Erdogan pronto a sfruttare come sempre ogni occasione per il proprio interesse.

di Salvo Ardizzone

http://www.ilfarosulmondo.it/raqqa-iniziata-corsa-liberazione/

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