La Corsica è un pezzo d’Italia (nella lingua)

Colgo l’occasione, nel proporre il breve articolo che segue sui forti legami linguistici culturali tra la Corsica e l’Italia, per rilevare un altro danno arrecato da Napoleone al nostro paese (la maggioranza dei quali passati sottotraccia dalla storiografia), in quanto, se non avesse imposto d’autorità la francesizzazione dell’isola, almeno a livello linguistico, la Corsica avrebbe mantenuto maggiori e più intensi rapporti con quella che da secoli era la sua naturale (anche dal punto di vista geografico) “madrepatria”, essendo appartenuta per secoli alle repubbliche marinare di Pisa e poi di Genova ed avendo riconosciuto nella lingua italiana la lingua colta per eccellenza, utilizzata dai corsi anche nelle loro manifestazioni di maggior talento evolutivo e di civiltà progredita come durante il periodo dell’indipendenza, denominato “Repubblica Corsa”, durante il quale Genova non riuscendo a gestire e mediare la conflittualità con gli isolani, si rivolse ai francesi finendo per cedere loro ogni diritto sull’isola.

La Costituzione Corsa dell’epoca, ispirandosi ai principi dell’illuminismo (redatta nel 1755, decenni prima della Dichiarazione d’Indipendenza Americana), fu la prima in assoluto al mondo ad essere democratica e talmente moderna e precorritrice da prevedere persino il diritto di voto alle donne, era scritta in lingua italiana. La Repubblica Corsa dopo una decina di anni fu repressa dall’esercito francese che occupò l’isola militarizzandola ed in pratica colonizzandola, annettendola come provincia francese. Da allora i corsi non hanno mai rinunciato alla loro identità culturale ed al loro spirito indipendentista.

Claudio Martinotti Doria

Salvatore Viale scriveva: «La lingua corsa è pure italiana»

La testimonianza di un forte legame tra la Corsica e l’Italia deriva, sul versante letterario, dall’operato di un letterato bastiese, Salvatore Viale, vissuto tra il 1787 ed il 1861 e molto attivo nel perorare la causa dell’italianismo còrso, di cui fu esponente di spicco e alacremente impegnato a contrastare l’orientamento culturale napoleonico, tutto rivolto alla francesità, dunque anche alla francesizzazione dell’isola.
Viale, forte del suo ruolo in seno al Comité supérieur, istituito a Bastia nel 1814, mostrò la volontà di avversare convintamente tale tendenza.
Fu autore di una serie di scritti, tra i quali emergono per importanza Dei principii delle belle lettere (1811), Dionomachia (1817), poema eroicomico considerato da Niccolò Tommaseo di maggior valore dopo la Secchia rapita di Alessandro Tassoni, e Dell’uso della lingua patria in Corsica (1858), in cui per “lingua patria” si intende l’italiano.

Se Pasquale Paoli, la cui figura dominò il Settecento còrso, fu patriota indipendentista illuminato e fondatore dell’Università di Corsica, nonché convinto assertore della rilevanza della lingua italiana quale veicolo di comunicazione dei ceti socio-culturalmente elevati dell’isola, non a caso egli stesso redigeva documenti e lettere ufficiali in italiano, Salvatore Viale si rivelò anche più incisivo, poiché urgevano in lui istanze di stampo romantico, con cui, da un lato, rivendicò una netta affermazione della cultura e della variegata realtà linguistica còrsa, che, nel corso dell’Ottocento, si tradusse in una feconda dialettica instauratasi tra un vivace retroterra dialettale e la necessità di definire un codice unitario standard, dall’altro si fece promotore di una produzione letteraria in lingua italiana anche di impronta teorica, come emerge dai contenuti del saggio “Dell’uso della lingua patria in Corsica”, nonché permeata, sotto il profilo ideologico, di un sentimento di ribellione per la decisione di Napoleone Bonaparte di dichiarare, a séguito del suo avvento al potere, il francese lingua ufficiale in Corsica.
Viale promosse il recupero della tradizione folclorica còrsa, attraverso la composizione dei Canti popolari corsi, per la realizzazione dei quali trascrisse il parlato quotidiano degli isolani a lui coevi, procedendo ad una moderata toscanizzazione della superficie linguistica, tenendo conto delle somiglianze tra la morfo-fonologia delle varietà dialettali toscane costiere settentrionali e quella di una parte delle parlate còrse nordorientali, ad esempio la varietà di Pieve di Serra, con cui compose una Serenata, inclusa nella prima edizione dei Canti, risalente al 1843.
Inoltre, l’introduzione all’edizione ampliata e datata 1855 della suddetta opera poetica di Salvatore Viale trasuda il suo italianismo, che tende a limitare l’ambizione delle parlate còrse a marcare le distanze dal loro carattere originario, spontaneo e popolare, come traspare da un passo significativo di séguito riportato:
«Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l’italiana. Il fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d’essere e di sentire: cose tutte nelle quali l’uomo corso essenzialmente differisce da quello del continente francese e soprattutto dal prototipo dell’uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi stessi principj: e la lingua corsa è pure italiana: ed anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d’Italia. M’è nota l’imperizia e la dissuetudine di alcuni abitanti di quest’isola nel leggere le cose scritte nella lingua materna: ma riguardo all’imperizia di certuni anche nel parlare e scriver francese, non voglio addurne altra prova che la loro facilità stessa ad usar di preferenza la nuova lingua, e la loro difficoltà a persuadersi che scriverla e parlarla bene non sanno né possono». (fonte: Enciclopedia Treccani on line)
Dall’esame di questo segmento di scritto, con cui Salvatore Viale dichiara senza riserve l’appartenenza dei còrsi all’orbita culturale italiana, emerge inequivocabilmente la volontà dell’autore di considerare il còrso una lingua, anche di impronta italiana, perché ritenuta tra le meno impure d’Italia, ascrivendo, di conseguenza, l’idioma isolano al contesto linguistico italo-romanzo.
Traducendo, ad ogni buon conto, questo brano di Viale in termini contemporanei, lo si può valutare quale auspicio per le future generazioni di Corsica, affinché queste raccolgano il messaggio dello scrittore, che è opportuno interpretare senza fraintendimenti da parte dei Corsi dei tempi d’oggi, ai quali la letteratura, attraverso una simile testimonianza, propone di riconsiderare il passato culturale dell’isola, al fine di costruire un avvenire in cui il repertorio linguistico di Corsica possa tornare ad accogliere a pieno titolo la lingua italiana accanto al còrso e al francese.

Corsica Oggi – 27 gennaio 2017

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