Netanyahu convoca a Natale gli ambasciatori del voto Onu, Stati Uniti compresi
Il rappresentante Usa insieme ai capi delegazioni dei Paesi che hanno votato a favore della risoluzione contro gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi sono stati convocati da Netanyahu per protestare contro il voto tenuto all’ONU contrario agli insediamenti israeliani in territorio Palestinese.
Il testo, “scandaloso” per il premier israeliano, è stato approvato grazie all’astensione statunitense
Netanyahu vuole estendere il degrado del suo sistema corrotto, violento e criminale al mondo intero.
La sceneggiatura è stata già scritta nel ‘47 per quel voto in cui l’Assemblea Generale fu “derubata di qualsiasi forza morale”. Voto che molto spesso è citato senza conoscerne gli antefatti e il significato.
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Risoluzione di spartizione
dei territori palestinesi
ONU: 29 novembre 1947
Come fecero i sionisti, e i loro sostenitori nel Senato degli Stati Uniti, a capovolgere la maggioranza dell’Assemblea Generale
da ‘No’ a una maggioranza di ‘Sì’?
Dopo che la Gran Bretagna ebbe scaricato nel seno delle Nazioni Unite il problema di cosa fare della Palestina, il terrorismo sionista in Terra Santa fu accompagnato da una campagna di intimidazioni e minacce volte a piegare l’istituzione mondiale alla propria volontà.
E doveva venire il momento in cui il presidente Truman avrebbe detto (in un memorandum non declassificato fino al 1971), che, se i sionisti avessero continuato con le loro pressioni “sarebbero riusciti a mettere le Nazioni Unite fuori gioco”. …
Il 3 settembre, l’UNSCOP presentò due raccomandazioni all’Assemblea Generale.4
La prima, il piano della maggioranza, proponeva la cessazione del Mandato e la spartizione della Palestina, la creazione di un stato arabo e uno stato ebraico uniti economicamente tra di loro, e uno status separato per la città di Gerusalemme che sarebbe diventata una città internazionale amministrata dalle Nazioni Unite.
La seconda, il piano della minoranza, presentato da India, Jugoslavia e Iran, prevedeva anche la cessazione del Mandato, ma si opponeva alla spartizione.
Si proponeva una Palestina unitaria, la creazione di uno stato arabo e di uno stato ebraico in una struttura federale con Gerusalemme capitale.
(Questo fu, effettivamente, la posizione di riserva di quegli altri capi musulmani e arabi che sapevano di dover affrontare la realtà).
Quando, successivamente, le cose cominciarono ad andare male alle Nazioni Unite, la Gran Bretagna ammise che il piano di spartizione “non era stato concepito in modo imparziale.”
Questo fu il modo diplomatico per dire che, con le buone e con le cattive, l’influenza sionista sulla maggioranza dei membri della Commissione Speciale era stata sufficiente a garantire che la loro raccomandazione avrebbe favorito il sionismo a spese degli arabi.
Ma questo esercizio di dire la verità da parte della Gran Bretagna era inutile.
I fatti parlavano da soli e lo facevano con voce forte e chiara.
Uno studio del capitolo XII della Carta delle Nazioni Unite non lascia spazio a dubbi … né l’Assemblea Generale né alcun altro organo delle Nazioni Unite è competente per accogliere, ancora meno di raccomandare o imporre qualsiasi soluzione diversa dal riconoscimento dell’indipendenza della Palestina e che la soluzione del suo futuro governo è di competenza esclusiva del popolo palestinese…
Le Nazioni Unite non possono avere il potere di disporre di un territorio o di alienarlo, né possono privare la maggioranza del popolo della Palestina del loro territorio e trasferirlo per l’uso esclusivo di una minoranza nel loro paese.
Più precisamente, il Sottocomitato era allarmato dalla prospettiva delle Nazioni Unite che agivano senza riguardo per il diritto internazionale, così allarmato che aveva presentato un progetto di risoluzione che istruiva il Segretario generale Trygve Lie (si pronuncia Lee) per trasmettere la risoluzione di spartizione alla Corte di Giustizia Internazionale a L’Aia.
Il progetto di risoluzione sollevava otto aspetti giuridici della questione, dal punto (a) al punto (h), su cui si riteneva che il Segretario Generale avrebbe dovuto avere il parere consultivo della Corte Internazionale. Delle otto questioni, (g) e (h) erano le più pertinenti. Erano le seguenti:
(g) se le Nazioni Unite sono competenti a consigliare uno dei due piani e le raccomandazioni della maggioranza o minoranza del Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, o un’altra soluzione che coinvolga la spartizione del suo territorio, o un’amministrazione fiduciaria permanente su tutte le città o parte della Palestina, senza il consenso della maggioranza del suo popolo.9
(h) Se le Nazioni Unite, o uno qualsiasi dei suoi Stati membri, è competente per imporre o raccomandare l’esecuzione di qualsiasi proposta riguardante la costituzione e il futuro governo della Palestina, in particolare, ogni piano o spartizione che sia contro la volontà, o adottato senza il consenso degli abitanti di Palestina.…
Il progetto di risoluzione, nel suo complesso, fu respinto dalla Commissione istituita ad hoc sulla Palestina con 25 voti a 18, ma (h) fu respinto con un margine più stretto di 21 voti contro 20.
In un’intervista a Le Monde del 15 ottobre 1971, il Primo Ministro Golda Meir aveva dichiarato: “Questo paese esiste come conseguenza di una promessa fatta da Dio stesso.
Sarebbe ridicolo chiedere il riconoscimento della sua legittimità!” Mallison ha commentato: “Inutile dire che il concetto di creazione e legittimazione di stati per finalità divine è sconosciuto nel diritto internazionale”.
La fiducia di Ben-Gurion che le sue forze sioniste avrebbero prevalso sugli arabi nel campo di battaglia, era dovuta in gran parte al denaro che Golda aveva raccolto in America.
(Come vedremo, questo rese possibile l’acquisto di ogni genere di materiale militare che fu negato agli arabi).
Dopo la secondo proroga, i capi sionisti decisero di fare tutto ciò che doveva essere fatto per assicurare la maggioranza dei due terzi. Erano disperati al massimo grado.
Senza l’aspetto di legittimità che una risoluzione delle Nazioni Unite sulla spartizione (se approvata) avrebbe dato al sionismo, sarebbe stato impossibile per lo stato ebraico importare le armi pesanti e gli armamenti necessari a garantire la vittoria nell’imminente guerra con gli arabi.
Come ha rivelato Lilienthal in “Operazione Spartizione”, la strategia sionista per garantire la necessaria maggioranza dei due terzi dell’Assemblea Generale, fu ideata da David Niles, uomo di punta del sionismo alla Casa Bianca.
I suoi due soci principali per l’impresa, sarebbe meglio dire colleghi di cospirazione, erano il giudice Joseph Proskauer di New York, e l’economista di Washington, Robert Nathan.
Era probabile che Niles avrebbe fatto pressione senza almeno la benedizione ufficiale e innegabile del presidente?
Improbabile, pensavano quelli che si sottoponevano alla pressione. Ma si sbagliavano.
Niles, in particolare, dimostrava la più singolare di tutte le qualità ebraiche: chutzpah, la faccia tosta.
Dopo due rinvii, il voto critico sulla risoluzione di spartizione fu fissato per il 29 novembre.
Nonostante la loro prepotenza e i loro ricatti, Niles e gli altri cospiratori non potevano essere completamente fiduciosi circa l’esito fino a quando i voti non fossero stati espressi effettivamente in Assemblea Generale.
Come accadde, quel giorno ci furono 33 voti per la risoluzione della spartizione compresi quelli espressi dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, 13 contrari e 10 astensioni.
La maggioranza necessaria dei due terzi fu raggiunta.
Per un soffio.
La Gran Bretagna fu uno dei 10 Stati membri che si astennero.
Non era disposta a votare una risoluzione che non disponeva l’appoggio di entrambi, gli ebrei e gli arabi di Palestina.
Ma qual era la storia dietro la storia? Come hanno fatto i sionisti, e i loro sostenitori acritici nel Senato degli Stati Uniti, a capovolgere la maggioranza dell’Assemblea Generale da ‘No’ a una maggioranza di ‘Sì’?
In Memoirs, pubblicato molto tempo dopo i fatti, lo stesso presidente Truman fu molto franco sulla costrizione sionista.
Scrisse:
I fatti dicono che non solo c’erano movimenti di pressione intorno alle Nazioni Unite come non s’era mai visto prima, ma anche la Casa Bianca fu sottoposta a un fuoco di sbarramento.
Non credo di aver mai avuto tanta pressione e propaganda indirizzate alla Casa Bianca come ebbi in questo caso. L’insistenza di alcuni capi-sionisti estremisti azionati da motivi politici, e impegnati in minacce politiche, mi hanno disturbato e infastidito.
Alcuni, addirittura, ci suggerivano di fare pressioni sulle nazioni sovrane per ottenere i voti favorevoli nell’Assemblea Generale.
Non ho mai approvato il loro metodo di imporre con la forza la loro volontà ai deboli sia tra gli uomini che tra le nazioni.
Minacce politiche?
Truman riconosceva in questo modo che i sionisti gli avevano fatto sapere che poteva dimenticarsi di essere rieletto per un secondo mandato, se la sua amministrazione non avesse premuto sugli stati membri per garantire la necessaria maggioranza dei due terzi per la risoluzione di spartizione nell’Assemblea Generale.
La minaccia sionista per le prospettive elettorali del Partito Democratico era stata invocata anche al tavolo del Governo.
Robert E. Hannegan era il Ministro delle Poste.
In almeno due occasioni, fece pressioni sul presidente per farlo schierare con i sionisti al fine di proteggere il flusso dei fondi elettorali ebraici.
Nel gabinetto, il 4 settembre, il giorno dopo la relazione di maggioranza UNSCOP che raccomandava la spartizione, Hannegan disse che la posizione assunta sulla Palestina avrebbe “una grande influenza e un grande effetto sulla raccolta di fondi per il Comitato Nazionale Democratico.”
Rammentò ai colleghi del suo Gabinetto che “ingenti somme”17 erano state elargite dai finanziatori ebrei nel passato e che essi potevano essere influenzati “sia nel dare o nel trattenere da ciò che il presidente fa sulla Palestina.”
Nel Gabinetto del 6 ottobre, quando i sionisti e i loro sostenitori avevano bisogno che l’amministrazione Truman “facesse pressione sulle nazioni sovrane per il voto favorevole nell’Assemblea Generale”, Hannegan sollevò nuovamente l’importanza dei fondi ebraici per la campagna.
Disse che molti contribuenti delle campagne democratiche in passato stavano “premendo decisamente per ricevere assicurazioni da parte dell’amministrazione al sostegno definitivo della posizione ebraica in Palestina.”
In quell’occasione Forrestal citò le parole del presidente che diceva ad Hannegan che se quelli che facevano pressioni fossero rimasti tranquilli, secondo lui tutto si sarebbe risolto bene; ma “se insistevano nel tentativo di andare oltre la relazione della Commissione delle Nazioni Unite, c’era il grave pericolo di demolire tutte le prospettive per l’accordo.”
Hannegan insistette ancora sul presidente per dare ai sionisti la certezza definitiva del suo sostegno.
Truman, osservò Forrestal, fu “irremovibile” ovvero si rifiutò di dare la certezza definitiva.
L’affermazione di Truman che la sua amministrazione a livello esecutivo non premeva sui governi per cambiare il loro voto dal “No” al “Sì” era corretta.
Quello che molti delegati delle Nazioni Unite, comprensibilmente ma erroneamente, percepivano come pressione dell’amministrazione Truman fu applicata da un prestigioso gruppo politico formato dai 26 senatori pro-sionisti degli Stati Uniti motivati dal loro bisogno di avere i voti ebraici e i fondi elettorali.
Essi coordinarono le loro attività con Niles e il suo gruppo non ufficiale di “privati cittadini”.
I senatori pro-sionisti e i loro alleati presero di mira i governi degli stati membri, non musulmani, più bisognosi di assistenza americana, nell’economia e in altri settori.
Alla Francia, per esempio, fu chiesto di considerare il suo futuro senza l’assistenza economica che doveva ricevere nell’ambito degli aiuti del Piano Marshall.
Baruch fu il latore di quel messaggio ai francesi.
(Attraverso l’ex ambasciatore William Bullitt, egli fece pressione anche sulla Cina).
Di tutte le manovre dell’alta squadra senatoriale, la più efficace fu un telegramma firmato da tutti i 26 e inviato ai rappresentanti delle 12 delegazioni delle Nazioni Unite pochi giorni prima del voto.
Contribuì a cambiare quattro voti “No” in “sì” e, in modo cruciale, sette “no” in astensione.
Dei 12, solo la Grecia rischiava di inimicarsi il Senato degli Stati Uniti e rimase attaccata al suo “no”.
Ma la maggioranza dei due terzi non c’era ancora. I calcoli sionisti dell’ultimo minuto indicavano la necessità di trasformare altri tre “no” in “sì”.
I paesi presi di mira per la spinta finale erano Liberia, Filippine e Haiti.
Per cambiare il “No” della Liberia in un “sì”, il trio chiese, ed ottenne, i servizi di Harvey Firestone, il Firestone del Firestone Tyre & Rubber Company.
Aveva una grande concessione di gomma in Liberia.
La gomma era allora la principale fonte di ricchezza nazionale della Liberia.
Nella parte inferiore del rigonfiamento sulla mappa che è l’Africa occidentale, la Liberia era un paese davvero notevole.
Era stato creato da filantropi americani che volevano evangelizzare l’Africa occidentale e trovare una sede permanente per gli schiavi neri americani liberati.
Cominciarono il re-insediamento nel continente dei loro antenati nel 1818.
Nel 1847, divenne la prima repubblica indipendente d’Africa.
La Liberia era (e rimase per molti anni) un modello di stabilità e continuità di governo.
Nel 1927, la Società Firestone concluse un contratto di locazione di 99 anni con il governo della Liberia per una piantagione di gomma di 100.000 ettari.
Prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, la Società Firestone svolse un ruolo importante nell’economia della Liberia, che rappresentava una grande percentuale di esportazioni e importazioni. La Firestone Company fu il più grande datore di lavoro del paese.
Il governo della Liberia derivava la maggior parte delle sue entrate da dividendi e royalties corrisposti da società straniere e, nel caso di Firestone, dalle tasse pagate per la concessione della gomma. Probabilmente nessun estraneo aveva avuto maggiore influenza potenziale sul governo liberiano di Harvey Firestone.
A nome del trio, Nathan chiese ad Harvey Firestone di usare la sua influenza.
In nome del sionismo.
Lo stesso Firestone parlò con il governo della Liberia e poi inviò un messaggio al capo rappresentante della sua azienda nel paese istruendolo a premere per il voto a favore della risoluzione di spartizione.
Il governo della Liberia fu lasciato senza possibilità di scelta che, se non avesse fatto quello che voleva la Firestone Company, i suoi proventi dalla gomma avrebbero sofferto.
L’uomo che scoprì come la Firestone Company era stata usata per intimidire la Liberia fu il sottosegretario di Stato Lovett.
Egli aveva informato sia il Segretario di Stato Marshall che il Segretario della Difesa Forrestal di quello che sapeva; e Forrestal aveva annotato nel suo diario quello che Lovett gli aveva detto.
La posizione di partenza “No” delle Filippine non avrebbe potuto essere più esplicita.
Nell’Assemblea Generale del 26 novembre, tre giorni prima del voto, il capo della delegazione delle Filippine, l’eroe di guerra il generale Carlos Romulo, fece questa squillante dichiarazione: “Io difenderò i diritti fondamentali di un popolo a decidere il suo futuro politico e di preservare l’integrità territoriale del paese della sua nascita!”
Temendo che Romulo potesse essere in grado di influenzare gli altri delegati, i sionisti schiacciarono il loro pulsante d’emergenza; e l’eroe di guerra delle Filippine non ricevette più minacce.
Il fatto che prese il primo aereo di ritorno a Manila, lasciando il rappresentante permanente delle Filippine, l’ambasciatore Elizalde, per deporre il “No”, potrebbe suggerire che Romulo credeva che la sua vita fosse in pericolo a New York.
Mentre Romulo era sulla via del ritorno a Manila, il presidente delle Filippine, Manuel Roxas, fu informato che il suo paese aveva troppo da perdere offendendo gli Stati Uniti.
In seguito, e come è riportato in un prolisso telegramma dell’ambasciatore americano a Manila per il Dipartimento di Stato, il presidente Roxas ebbe una conversazione telefonica con l’ambasciatore Elizalde durante la quale gli chiese la sua opinione. Elizalde era stato uno dei destinatari del telegramma dei 26 senatori e ne era molto preoccupato.
Aveva anche ricevuto “messaggi” da due giudici americani, Felix Frankfurter e William Francis “Frank” Murphy, esortandolo fortemente a votare per la spartizione.
Elizalde disse al suo presidente che la spartizione della Palestina non era una mossa saggia, ma… gli Stati Uniti erano determinati a farla e sarebbe stato sciocco votare contro gli Stati Uniti in un momento in cui c’erano sette progetti di legge sospesi nel Congresso in cui le Filippine avevano un interesse vitale.
Fu lo stesso presidente Truman a dare la migliore spiegazione, in sintesi, di come il presidente di Haiti era stato persuaso a cambiare idea su come il suo paese avrebbe dovuto votare la risoluzione di spartizione.
L’11 dicembre, 12 giorni dopo il voto, un Truman arrabbiato disse quanto segue in un memorandum a Lovett:
..ho un rapporto da Haiti in cui si afferma che il nostro console ha avvicinato il presidente di quel paese e gli ha suggerito che, per il suo bene, doveva ordinare il cambio del voto del suo paese, affermando che aveva istruzioni da me [corsivo mio] di fare una tale dichiarazione al presidente di Haiti.
Era perfettamente chiaro, aggiungeva il memorandum, “che i gruppi di pressione riusciranno a mettere fuori gioco le Nazioni Unite, se questo genere di cose dovesse continuare.”
Chi avrebbe osato dire al console americano ad Haiti di fare una tale minaccia, e avrebbe avuto sufficiente credibilità per essere creduto dal Console quando disse che stava trasmettendo un’istruzione del presidente Truman?
La risposta più probabile, mi sembra, è Niles.
Il Console avrebbe saputo che, quando lo stesso presidente Truman non era in servizio, Niles gestiva la questione Palestina alla Casa Bianca.
Il verbale ufficiale dell’Assemblea Generale riunita rifletteva le pressioni esercitate sulle spalle dei delegati per cambiare il proprio voto da “No” a “Sì”.
Il libanese Camille Chamoun richiamò i suoi colleghi delegati a pensare al danno che sarebbe stato fatto alle Nazioni Unite se si fossero abbandonati i metodi democratici.
Disse:
Amici miei, pensate ai metodi democratici, alla libertà di voto che è sacra per ciascuna delle nostre delegazioni.
Se dovessimo abbandonare questo sistema per quello tirannico di intrattenere ogni delegazione in camere d’albergo, a letto, nei corridoi e anticamere, a minacciarli con sanzioni economiche o a corromperli con promesse, al fine di costringerli a votare in un modo o un altro, pensate cosa diventerebbe la nostra organizzazione nel futuro.
E il delegato egiziano, Mahmoud Fawzi, non ebbe peli sulla lingua:
Diciamo francamente a tutto il mondo che, nonostante le pressioni che sono state esercitate sui delegati e i governi per votare a favore della spartizione, la maggioranza delle Nazioni Unite non può tollerare la violazione dei principi della Carta. (il corsivo è mio)
Tutti i delegati degli stati membri erano consapevoli che i soldi avevano cambiato le mani.
Un delegato latino-americano aveva preso una tangente di 75 mila dollari per votare “Sì” al posto di “No”.
E il delegato del Costa Rica fece uscire più tardi la storia di come, dopo aver rifiutato una tangente di 45 mila dollari, fu istruito a cambiare il proprio voto.
La conseguenza ovvia fu che qualcuno più in alto del Costa Rica aveva preso una tangente più grande.
Si può dire, senza timore di smentita, che la risoluzione di spartizione non sarebbe stata approvata dall’Assemblea Generale se a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite fosse stato permesso di votare liberamente.
Subito dopo il voto, i sentimenti della vera maggioranza degli Stati membri furono espressi da Sir Muhammed Zafrullah Khan, Ministro degli Esteri del Pakistan e capo della delegazione del suo paese alla Sessione Speciale dell’Assemblea Generale.
Disse:
Alla spartizione manca totalmente la validità giuridica.
Noi non nutriamo alcun senso di risentimento contro quei nostri amici e compagni rappresentanti che sono stati costretti, sotto forte pressione, a cambiare posizione e votare a favore di una proposta la cui giustizia ed equità non recano a loro onore.
Il nostro sentimento verso di loro è quello della simpatia perché sarebbero stati messi in una posizione di tale imbarazzo tra il loro giudizio e la coscienza, da un lato, e la pressione a cui essi e i loro governi sono stati sottoposti dall’altra.26
I delegati e i governi di quei paesi che furono costretti, in un modo o nell’altro, a cambiare il proprio voto da “No” a “Sì”, o di astenersi, furono convinti che l’intera istituzione del governo americano era stata responsabile per la campagna di intimidazione e di minacce per garantire la necessaria maggioranza dei due terzi.
Non era così.
Ci sono più che sufficienti elementi di prova raccolti a sostegno della tesi che l’amministrazione Truman a livello esecutivo, il presidente stesso e i suoi colleghi di gabinetto, abbiano giocato secondo le regole e non abbiano mai esercitato alcuna pressione sui governi membri.
La pressione fu applicata dai sionisti e dai loro manutengoli al Senato degli Stati Uniti; e fu il coinvolgimento nella cospirazione sionista dei 26 senatori che la fecero apparire come una totale cospirazione istituzionale americana quando, in realtà, non lo era.
Nei decenni che seguirono, Israele frequentemente lamentava (come fa ancora oggi) che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è indebitamente ed eccessivamente ostile ad essa.
Se il mio amico Chaim Herzog fosse oggi ancora vivo, questo ex DMI servì per un periodo come ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, gli farei questa domanda: è davvero sorprendente che lo stato sionista abbia così pochi amici alle Nazioni Unite?
Quando il 1° dicembre, Lovett parlò con Forrestal, a proposito di come i sionisti avevano raggiunto la loro vittoria in Assemblea Generale, gli disse: “Lo zelo e l’attività degli ebrei stavano portando alla sconfitta gli obiettivi sionisti futuri.”
(Come vedremo più avanti in questo capitolo, lo zelo continuo, e l’attività dei sionisti, quasi li portavano a perdere il sostegno del presidente Truman, provocando una crisi come nessun’altra per il sionismo e, in definitiva, per Truman stesso).
Dopo aver notato i commenti di Lovett nel suo diario, Forrestal aggiunse:
Ho notato che molte persone riflessive di fede ebraica avevano profondi dubbi circa la saggezza delle pressioni sioniste per uno stato ebraico in Palestina, e ho anche osservato che l’editoriale del New York Times di domenica mattina sottolineava quei timori quando ha detto ‘Molti di noi hanno a lungo avuto dubbi … per quanto riguarda la saggezza di erigere uno Stato politico, sulla base di una fede religiosa’.
Ho detto di pensare che la decisione era gravida di un grande pericolo per il futuro della sicurezza di questo paese. (corsivo mio).
Al momento i sionisti e i loro sostenitori nel Senato degli Stati Uniti avevano piegato l’Assemblea Generale alla loro volontà.
Dean Rusk era il direttore dell’Ufficio del Dipartimento di Stato delle Nazioni Unite.
Mesi dopo, a porte chiuse, trovò le parole giuste per spiegare le implicazioni di ciò che era accaduto.
Stava andando ad una riunione dei rappresentanti americani delle associazioni delle Nazioni Unite sparse nel paese.
Era proprio vero, egli disse, che gli Stati Uniti non avevano “mai esercitato pressioni sui paesi delle Nazioni Unite”, ma “alcuni funzionari e soggetti privati non autorizzati hanno violato la correttezza e sono andati al di là della legge.”
In conseguenza, disse Rusk ai presenti, la decisione dell’Assemblea Generale era stata “derubata di qualsiasi forza morale che, altrimenti, avrebbe avuto.” (pagg. 318-325)
ALAN HART
“SIONISMO: IL VERO NEMICO DEGLI EBREI ”
Traduzione e prefazione di Diego Siracusa
pagg. 427 euro 20 ed. Zambon 2015
Lettera inviata da Franco Boni (f.boni1947@gmail.com)
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Notizia di cronaca: http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/25/news/onu_israele_netanyahu-154853289/
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Articolo collegato: come è nato il sionismo? http://www.circolovegetarianocalcata.it/2013/12/25/storia-di-come-e-nato-il-sionismo-ovvero-se-gli-ebrei-non-sono-ebrei-ma-khazari-convertiti/