La Russia si erge come potenza risolutrice dei conflitti in Medio Oriente
Il genio è finalmente uscito dalla lampada?
Una miriade di eventi apparentemente non collegati e una quantità di fili sciolti convergono a indicare che la Russia sta ottenendo un’enorme vittoria diplomatica nel Medio Oriente. Per comprendere meglio lo scenario che si sta definendo bisogna solo unire i puntini.
Ma quali puntini, si chiede qualcuno?
Henry Kissinger fece della protezione di Israele un caposaldo della politica estera americana. Nei suoi tanti viaggi diplomatici che hanno portato all’accordo di Camp David, Kissinger è fondamentalmente riuscito a togliere di mezzo l’Unione Sovietica, come superpotenza e come partner privilegiato, dal tavolo di trattative tra Israele e gli arabi, riducendone il ruolo a nulla. Il successivo smantellamento dell’Unione Sovietica e l’emergere del cosiddetto “Nuovo Ordine Mondiale” ha implicato che Israele mantenesse il proprio ruolo di superiorità militare.
Tuttavia, con l’emergere dell’asse di resistenza in generale, e di Hezbollah in particolare, la potenza tecnica militare di Israele si è dimostrata incapace di assicurarle una vera sicurezza. I fatti anzi sembrano mostrare l’esatto opposto. Israele non si è mai trovata in un tale stato di minaccia esistenziale come ora, con una quantità stimata di centinaia di migliaia di missili di Hezollah, se non di più, pronti a colpire obiettivi israeliani fino a Eilat.
E, dato che l’America è stata così a lungo un sostenitore di parte per Israele, ha finito per perdere credibilità come possibile arbitro e mediatore in quella zona. Quindi, in realtà, sebbene l’America abbia tentato così fortemente di dare a Israele il potere di imporre le proprie condizioni di pace ai propri termini, in pratica non è riuscita a fornire a Israele nessun tipo di pace, secondo gli accordi di nessuno.
Intanto, in Siria…
La Siria si trova bloccata in uno stato di guerra da più di cinque anni. L’intervento russo iniziato a fine settembre 2015 ha finalmente dato un vantaggio decisivo al governo siriano e ai suoi alleati, che ora stanno avendo il sopravvento nel conflitto.
Poi, al culmine delle operazioni militari e apparentemente poco prima di ottenere una completa vittoria, la Russia si è improvvisamente tirata indietro e ha dichiarato un cessate il fuoco. Su questo si sono sollevate molte questioni, e perfino un alleato leale e convinto della Russia come Hezbollah, nella persona del suo capo Nasrallah, ha chiesto pubblicamente, in un recente discorso, quale fosse la motivazione della scelta russa di fermarsi. Ha chiesto: “Chi è che ha beneficiato del cessate il fuoco?“. Nasrallah ovviamente si riferiva al fatto che il Fronte Al-Nusra e altri gruppi hanno tratto vantaggio dal cessate il fuoco per rafforzare le proprie posizioni e talora anche per riguadagnare territori in alcune regioni.
In quanto all’intervento russo, per la sua rapidità, precisione ed efficacia, ha sbalordito il mondo e specialmente la NATO, tanto quanto il successivo rapido ritiro e il cessate il fuoco. Il perché il presidente Putin abbia deciso così improvvisamente di ridurre l’offensiva limitare è la domanda che tanti analisti si pongono e sulla quale molto si è speculato.
Gli analisti di brevi vedute, specialmente quelli ai quali piace detestare la Russia, hanno trovato questa una ghiotta occasione per sferzare la Russia e accusare Putin di aver fatto marcia indietro lasciando collassare la Siria. Ma davvero Putin si potrebbe ritirare dopo aver messo in campo la propria reputazione politica globale? Si aspettava veramente che gli americani sarebbero arrivati a collaborare lealmente con lui sul terreno siriano? Potrebbe davvero retrocedere dopo che alcune vite russe sono state perdute sul campo siriano e dopo la tragedia aerea sul Sinai, e dopo quello che è stato fatto come rappresaglia per l’azione militare russa in Siria? Davvero Putin potrebbe mettere a rischio la propria reputazione presso l’opinione pubblica subito dopo aver raggiunto il ruolo di salvatore ed eroe? Da ultimo, Putin potrebbe davvero lasciare la Turchia, e specialmente Erdogan, “impunito” dopo che le forze militari di quest’ultimo hanno deliberatamente abbattuto un caccia russo e ucciso il pilota?
La risposta a tutte le domande di cui sopra è un NO categorico. Quindi perché Putin lo ha fatto? Non sembra esserci comunque una risposta chiara. Almeno non per adesso.
E naturalmente non possiamo menzionare la Turchia senza un’analisi più approfondita.
Nella mia analisi sul fallimento della “guerra in Siria” – che ha effettivamente iniziato a prendere forma negli ultimi due anni e specialmente dopo l’emergenza Isis – ho sottolineato che diversi elementi anti-siriani, uniti solo dal loro odio verso la Siria e il suo presidente, si sono resi conto che il loro sogno non si sarebbe materializzato. Si sono quindi rassegnati a perseguire i singoli obiettivi individuali e/o a implementare certi piani contingenti. In questo contesto, e tra le altre cose, l’Isis si è ammutinata dai suoi ex-alleati e ha catturato alcuni pozzi di petrolio per autofinanziamento.
Quando Erdogan guarda l’Isis vede una spada a doppio taglio. Indipendentemente dalla politica, l’ideologia fondamentalista di Erdogan non è molto diversa da quella dello Stato Islamico, e secondo questa dottrina, mettendo da parte tutto il resto, i miliziani dell’Isis sono visti come dei confratelli. Inoltre, il fatto che l’Isis e i Curdi fossero in guerra tra loro è qualcosa che Erdogan non poteva ignorare. La paura che Erdogan ha del fattore curdo è notevole, e il fatto che l’America stesse aiutando alcune fazioni curde ha mandato Erdogan fuori di sé. L’America non può essere amica della Turchia e dei curdi allo stesso tempo, ha detto Erdogan più volte, sia direttamente che indirettamente.
Al tempo stesso l’America si è trovata sempre più in difficoltà a trattare con Erdogan, e a sua volta ha condotto il proprio gioco del gatto col topo nel triangolo Isis-Curdi-Turchia: ha favorito di volta in volta ciascuna delle tre fazioni, a seconda delle convenienze e dei propri programmi.
Ma per Erdogan questa questione stava diventando sempre più critica. La Turchia è ora sotto attacco da una serie di esplosioni qui e là, alcune delle quali pare siano perpetrate dai curdi e altre dallo stesso Isis. Non solo il gioco di Erdogan in Siria è fallito, ma si è pure portato il conflitto in casa. Infine, il boom economico e la politica dei “problemi zero” che hanno contrassegnato i suoi primi anni al potere si sono tutti erosi nel pantano in cui si sta trovando Erdogan adesso.
A peggiorare la situazione per Erdogan, dopo l’atterramento del caccia Russo Su-24 nel novembre 2015 il premier turco si aspettava il supporto della NATO, ma la reazione NATO è stata breve e concisa. Gli fu detto che doveva vedersela da solo per i suoi problemi con la Russia.
Ha poi provato a usare la carta dei rifugiati come asso nella manica, ma non è andato molto distante. A parte alcuni miliardi di dollari ricevuti dall’Unione Europea, che in un certo senso sono solo una piccola tangente, Erdogan non è assolutamente riuscito a concludere l’accordo che realizzasse l’aspirazione della Turchia di diventare membro dell’Unione Europea.
Erdogan si è trovato all’angolo, abbandonato, sotto attacco, con gravi sanzioni economiche dalla Russia e con un’economia in declino. Aveva bisogno di una strategia di uscita. Un’uscita da tempi difficili e per aprire un’epoca nuova.
Nel frattempo il premier israeliano Netanyahu ha fatto una quantità senza precedenti di viaggi a Mosca. Ma perché, si chiedono molti?
La polvere non si è ancora depositata a terra che molte evidenze indicano che vedremo un’ampio cambiamento nelle politiche, nei conflitti e nelle alleanze in Medio Oriente.
Stiamo ora assistendo ad accuse formali, da parte della Turchia, rivolte agli Stati Uniti, secondo le quali sarebbero stati questi ultimi a tramare nel recente colpo di stato fallito. La Turchia ha anche imposto un blocco alla base aerea a Incirlik, una base NATO, nella quale gli Stati Uniti ammassavano armi nucleari, e ha perfino tagliato le linee di rifornimento energetico verso quella base. Ciò equivale a dichiarare ammutinamento dalla NATO. Quando Erdogan ha detto che il tentato colpo di stato si è rivelato un “dono di Dio” per ripulire l’esercito, avrebbe anche potuto dire che era un dono di Dio per mostrare il proprio risentimento verso gli Stati Uniti.
Ci sono anche voci che affermano che Erdogan stesso avrebbe messo in scena il colpo di stato fallito per eliminare dall’esercito gli elementi che non gli erano del tutto leali. Sebbene questo scenario non possa essere né confermato né disconfermato, Erdogan non sta certo usando parole o azioni gentili verso la NATO e gli Stati Uniti.
È importante notare che nelle scorse settimane Erdogan e Netanyahu si sono rappacificati, e che anche le relazioni russo-turche si sono normalizzate. Erdogan sembra avere decisamente sterzato, quasi a fare una inversione a “U” nelle sue politiche verso la Siria. Ma perché?
Per chiunque voglia ottenere una vittoria decisiva in Siria, controllare la città di Aleppo è fondamentale. Chi detiene il pieno controllo di Aleppo vince la guerra. La coalizione russo-siriana ha preso il sopravvento e ha vinto la battaglia di Aleppo. Ma a quale costo in termini di vite civili? L’altro modo di vincere era quello di mettere in ginocchio Erdogan. Questo sembra in qualche modo essere successo. Se Erdogan è costretto a chiudere il confine siriano, per i terroristi è finita.
Se colleghiamo tutti i puntini descritti sopra, anche ignorando altri fatti minori, vediamo svolgersi un piano magistrale della Russia in Medio Oriente.
Ciò che mette la Russia in posizione di condurre un tale piano è il fatto che questo paese è fortemente rispettato ed è in rapporti ragionevolmente positivi con tutte le fazioni principali. Dopo aver sistemato le proprie relazioni con la Turchia, la Russia è in buoni rapporti non solo con la Turchia, ma anche con la Siria, Israele e l’Iran. L’avventato piano americano di politica estera nel Medio Oriente ha reso l’America una potenza che non ispira più la fiducia dei propri alleati.
Putin è inflessibile nella lotta al terrorismo. Se riesca infine a batterlo oppure no è un’altra storia, ma dal punto di vista strategico sa benissimo che una vittoria militare contro il terrorismo è impossibile da ottenere se le altre fazioni nella regione si trovano in uno stato di conflitto.
Secondo questa analisi siamo sul punto di vedere il pieno dispiegarsi del piano russo, un piano che non solo getta la basi per la fine della “guerra in Siria”, ma che punta anche a risolvere il conflitto arabo-israeliano.
Il piano si dovrà basare su una situazione di mutuo vantaggio per tutte le fazioni coinvolte. L’Arabia Saudita (o il Qatar) sarà il solo perdente. Saranno probabilmente lasciati da parte. Nessuno avrà più bisogno di compiacerli. La loro influenza è in declino così come le loro risorse. La guerra al terrore, se sarà condotta e se avverrà sotto l’egida della Russia, dovrà probabilmente opporsi al sostegno che l’Arabia Saudita dà alla diffusione del radicalismo religioso.
La valanga degli eventi è appena iniziata, e l’America si vede indicare la porta d’uscita dai suoi stessi più stretti alleati, la Russia si sta approssimando come unica potenza capace di risolvere i lunghi conflitti che funestano il Medio Oriente e di rimettere ordine nel caos americano.
di Ghassan Kadi su The Saker – rilanciato da Zero Hedge, 22 luglio 2016