(a)Rabbia (e)saudita, per sempre! – Gentiloni in ginocchio dai saud… per qualche stilla di petrolio in più e per vendergli quelle armi che garantiscono il loro potere
Alla fine del mandato da segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon ha osato un gesto di coraggio: ammettendo che i Saud ricattano l’Onu. Non è una novità da decenni, ma adesso è sotto gli occhi di tutti. L’Onu aveva inserito il nome della coalizione a guida saudita (impegnata nel radere al suolo lo Yemen) in una black-list di organizzazioni che violano i diritti dei bambini del mondo (c’erano anche creature infernali dei petrodollari del Golfo, come Daesh e Boko Haram). Ma il reame di Riad ha minacciato di tagliare i fondi, ad esempio all’Unrwa (organizzazione Onu che si occupa di palestinesi. E così la black-list è stata depurata.
Il disagio onusiano per i ricatti mafiosi sauditi – e in generale petromonarchici – non è condiviso dallo Stivale. Con Roma, i Saud e i loro petrodollari non hanno bisogno di usare il bastone del ricatto. Basta la carota.
Pochi giorni fa, al festival dell’economia di Trento, il ministro degli esteri dello Stivale Paolo Gentiloni ha riferito del suo pellegrinaggio a Riad, alla corte dei Saud. (…) Togliamoci dalla testa che l’Italia smetterà di vendere anche solo una pallottola ai suoi padroni del Golfo. Anzi, aiuteremo i Saud a rendere eterni i loro privilegi, anche quando finirà il petrolio.
Ascoltiamo bene queste parole e togliamoci dalla testa che l’Italia smetterà di vendere anche solo una pallottola ai suoi padroni del Golfo. Anzi, aiuteremo i Saud a rendere eterni i loro privilegi, anche quando finirà il petrolio:
«Abbiamo chance straordinarie in Arabia saudita. (…) è in corso un tentativo molto interessante. Ho chiacchierato un’oretta con uno dei leader del paese, il giovane vice-principe ereditario anche ministro della difesa e figlio dell’attuale re, Ahmed Bin Salman. C’è un cambio generazionale, dalla successione da fratello in fratello, a una successione verticale di padre in figlio. Il cambio generazionale è enorme come messaggio. Il principe, trentenne, è un po’ il motore della Vision 2040, l’idea saudita di uscire dalla dipendenza del petrolio e costruire una base economica propria.
A Jeddah si svolge un beauty contest fra le 8 principali banche del mondo per vedere che fare sia con il potenziale fondo sovrano che l’Arabia saudita vuole costituire, con una dotazione di 3-4 trilioni di dollari e con la parziale quotazione sul mercato di una parte di Aramco.
La reazione alla crisi dei prezzi è stata non l’idea “facciamo cartello per farli rialzare”, ma piuttosto “teniamoli bassi per non perdere quote, ma usiamo questo condizionamento esterno per diversificare la nostra economia. Una scommessa enorme per le imprese di mezzo mondo, con potenzialità straordinarie. E la leadership saudita dice: “Vorremmo più Italia”.
Non solo perché negli anni 1970 la Saipem partecipò alla saudizzazione di Aramco – che prima era un puro esercizio statunitense nel paese – e i sauditi se ne ricordano. Pensano che gli possiamo dare un contributo in tantissimi settori. Non è solo che Vogue Italia o Prada e la fashion vanno a Jedda con grande successo, è che i diversi nostri settori manifatturieri hanno un enorme mercato. Già adesso stiamo costruendo metropolitane a Riad e Jedda…Noi un po’ sottostimiamo l’influenza che il nostro paese ha nel mondo: economica, culturale, il soft power».
Soft power? Quello dei petrodollari.
(Lettera inviata da Marinella Correggia)