Dittatura “democratica” e controllo dell’informazione – Renzi sa come fare, glielo ha spiegato Licio Gelli…
“Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media”, Licio Gelli
Il piano di rinascita democratica (detto anche programma di rinascita nazionale o semplicemente il Piano) era una parte essenziale del programma piduista e consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale che avrebbe avuto al suo centro l’informazione.
Tra i punti principali il controllo dei media e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all’epoca permesse solo a livello regionale); nonché l’abolizione del monopolio della Rai e la sua privatizzazione,
Per attuarlo modifiche urgenti: “immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”
Le mani sui mass media
La scoperta del Piano di Rinascita ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti avvenuti all’interno dei mass media italiani alla fine degli anni ‘70. Così, testualmente, recitava: “ruolo della stampa che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della sera, Il Giorno, il Giornale, La Stampa, Il Resto del Carlino, Il Messaggero, Il Tempo, Roma, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il giornale di Sicilia, per i quotidiani e per i periodici: L’Europeo, L’Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV non va dimenticata”
La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l’istituto per le Opere di Religione. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli.
I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis, nel 1974 si decisero quindi per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli (Andrea e il figlio Angelone) quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellarono al Maestro Venerabile: questi concesse nuovi fondi, provenienti dallo IOR, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR.
Gelli quindi ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un’enorme capacità di manovra:
poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l’adesione all’area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica;
poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2;
poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata da una giunta militare golpista.
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige e la Gazzetta dello Sport. Nel 1978 venne fondato un nuovo quotidiano locale: L’Eco di Padova, e la casa editrice entrò nella proprietà de Il lavoro di Genova e finanziò L’Alto Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelone e si ritirò a vita privata. Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine venne fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo.
Secondo il piduista Antonio Bruno, magistrato già presidente del tribunale di Forlì, e collaboratore de Il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell’ambito di questo progetto, un’agenzia di informazione – alternativa all’ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di coinvolgere il direttore de Il Giornale: «Avevo un grande ascendente su Indro Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per Il Giornale, a entrare».
Nonostante il tentativo non riuscisse, almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale: lo stesso Buono e Michele Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2..
Adriano Colafrancesco