Il renzi sul Gottardo… da bomba a petardo (e prossimamente diminuito a: peto)

A scuola – l’ho già scritto – lo chiamavano “il Bomba”, per la sua abitudine di spararle grosse assai. Cresciuto un po’, ha cominciato a sgomitare per farsi notare. La sua prima apparizione televisiva – ricordano le cronache del Paese dei Balocchi – è del 1994 alla “Ruota della Fortuna”, l’amena striscia quotidiana che Mike Bongiorno conduceva dalle reti di Berlusconi. Agli studi Mediaset il giovane Renzi (allora ventenne) era giunto dietro segnalazione dello zio, che collaborava con il Mike nazionale nei programmi a quiz. Fu un vero colpo di fortuna per il ragazzotto di Rignano sull’Arno: vinse 48 milioni di lire, che all’epoca erano un bel gruzzoletto. Fu allora, con molta probabilità, che cominciò a montare la leggenda del “lato B” di Matteuccio. Ovvero: con un po’ di fortuna anche le “bombe” possono trasformarsi in benèfiche dispensatrici di ricchi premi e cotillons.

È, questa, la “filosofia” (chiedo scusa a Kant e a Hegel) che da allora ha ispirato il Vispo Tereso, guidandone la sfolgorante carriera: da figlio di un intraprendente industrialotto di fede democristiana, a Consigliere e poi a Presidente della provincia di Firenze, in quota Margherita rutelliana (2004). In tale veste – apprendo da Wikipedia – menava vanto d’aver diminuito costi e tasse provinciali, ma la Corte dei Conti ha aperto un’indagine sulle spese di rappresentanza della Provincia (lievitate in epoca renziana a 600.000 euro, un miliardo e duecento milioni delle vecchie lire) e su altri piccoli garbugli burocratici.

Transitato nel Partito Democratico, nel 2009 evitava di ricandidarsi alla Provincia, preferendo piuttosto il ruolo di Sindaco, che notamente dà una maggiore visibilità. Il resto è storia nota: la formazione del “giglio magico” (Marco Carrai, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Erasmo D’Angelis, Federica Mogherini, eccetera), il pellegrinaggio al Santo Sepolcro di Arcore, la campagna per la rottamazione della classe dirigente ex-comunista e per la sua sostituzione con una congrega di figli di Leopolda, la chiamata al Colle e l’investitura da parte di Re Giorgio.
Da quel momento, poi, un susseguirsi ininterrotto di furbate: dalla strategia del Nazzareno agli 80 euro, dal trucco fiscale che ha fatto lievitare le assunzioni (ma con facoltà di licenziare chiunque dopo gli sconti) all’annunzio di una “ripartenza” che non riparte, dalla renzizzazione della RAI all’arruolamento delle truppe cammellate verdiniane, fino all’ultimo pietoso tentativo di gabellare come una propria vittoria quello che è soltanto un ennesimo esercizio di svogliatezza di un elettorato che ha imparato a disertare le urne.

Il tutto – sempre e comunque – condìto con la rituale supponenza, con smargiassate da capataz del Rione Sanità, con atteggiamenti da piccolo bullo di periferia: «È finito il tempo di…», e giù frasi fatte e luoghi comuni da quattro soldi, nella speranza di essere preso sul serio, di fare colpo, di essere ammirato, di essere considerato un grande capo e non un piccolo arnese da “Ruota della Fortuna”.

Naturalmente, nella sua foia di apparire bravo, bello e soprattutto “nuovo”, il Vispo Tereso ha preso a “riformare” tutto e tutti. Ha riformato il lavoro e i lavoratori, ha riformato i conti pubblici e le tasse (con i benèfici effetti che tutti conoscono), ha riformato la RAI, ha riformato le banche (vero, Banca Etruria?), ha riformato – in peggio – tutto il riformabile e l’irriformabile… Ed ha riformato anche – o somma vetta di creatività leopoldina! – la nostra Costituzione.

Come? Ma, poffarbacco, nella presunzione di essere lui – il Capo del Governo per grazia di Dio e volontà di Re Giorgio – il Nuovo Uomo della Provvidenza, il Predestinato, il Sommo Vate capace di incaprettare gli italiani e di farsi per ciò ringraziare (e votare) dagli stessi, il Druido della Nuova Era della globalizzazione americana e dell’immigrazione bergogliana, colui che gli italiani continueranno a votare per forza d’inerzia, affascinati dal suo accento tosco, ipnotizzati come le vittime che un cobra fissa prima di sferrare il guizzo venefico.

Ecco – dunque – che, ipotizzando di rimanere a Palazzo Chigi vita natural durante, il Pascolatore di Bufale Toscane ha concepito una Costituzione che esaltasse il ruolo dell’esecutivo a scapito del legislativo, che accentuasse il peso del governo e sminuisse quello del parlamento, che ne limitasse soprattutto i poteri di controllo sull’azione del Grande Timoniere. La riforma – che prende il nome dalla Fata Turchina che non può mancare nel paese di Pinocchio – comprende anche la sostanziale eliminazione di una delle due Camere, il Senato, un tempo “camera alta” come in ogni democrazia occidentale e adesso – almeno nelle intenzioni della riforma dagli occhi azzurri e dal ricciolo ammaliante – camera di riciclaggio per sindaci ambiziosetti e consiglieri regionali in cerca di fortuna. Motivazione ufficiale: evitare il doppio controllo (e il doppio voto di fiducia) del bicameralismo perfetto. Come se non fosse stato più semplice e più organico differenziare le competenze delle due Camere, anziché eliminarne di fatto una.

Concessione alla piazza: così facendo si ridurranno i costi della politica. Vedrete di quanto diminuiranno, se mai quella riformaccia dovesse passare: una inezia, più o meno il costo di un nuovo aereo di rappresentanza per viaggi di Stato e di un paio di bombardamenti per portare la democrazia in Libia. Ai consiglieri-senatori potrà non darsi lo stipendio, ma provate a immaginare che ricchi fondi-spesa, che luculliani rimborsi, che principesche spese di rappresentanza potrebbero essere liquidati agli pseudosenatori non eletti da nessuno ma nominati dai Consigli regionali; senza contare i “gettoni di presenza” che – magari dopo uno o due anni di buona condotta – potrebbero nascere e proliferare per Commissioni, Consulte e Comitati.

Ma ritorniamo al Bomba e alle sue dotte esternazioni, preferibilmente in conferenza-stampa con camicia e cravatta e senza giacca, in stile giovane promessa di Wall Street. Orbene, in una delle ultime esibizioni di ruota (la ruota del pavone, non la ruota della fortuna) il giovane virgulto di Palazzo Vecchio ha elencato con sommo compiacimento le “opere del regime” che egli ascrive alla propria illuminata gestione. Peccato che – nella foga – il nostro abbia buttato dentro tutto ciò che gli capitava: compreso l’Alptransit, che è un sistema ferroviario ad alta velocità che dovrebbe collegare i due estremi della galleria del San Gottardo; galleria che – come ben sanno gli alunnetti delle scuole medie – scorre interamente in territorio svizzero.

Non una bomba, come ai tempi gloriosi del ginnasio, ma semplicemente un petardo, di quelli piccolini, modesti, che si alzano pochi metri e poi fanno puff. Lungi da me – naturalmente – l’idea che per fare il Presidente del Consiglio ci si debba ricordare delle lezioni scolastiche della prima infanzia. Si può anche essere debolucci in geografia, ma si dovrebbe almeno avere il buon gusto di non parlare di cose che non si conoscono.
E non è tutto. Perché – mentre Renzi ascriveva all’Italia il possesso del San Gottardo – il suo fido Ministro alle infrastrutture Graziano Delrio annuiva, come a sottolineare la totale condivisione delle cavolate snocciolate dal suo capo. Delrio, si sa, è l’alter ego di Renzi; colui che, se il Vispo Tereso dovesse uscire maciullato dalle elezioni amministrative e dal referendum sulle riforme, dovrebbe essere incaricato di reggere la Presidenza del Consiglio. Forse è per questo che, fin da ora, si allena a pascolare bufale.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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