Bullismo al femminile… l’omologazione verso modelli maschilisti avanza
Partiamo dall’ultimo e recentissimo caso, quello della quattordicenne inglese Bethany Gallimore, colpita con violenza da un gruppo di coetanee incontrate per strada, le quali, successivamente, hanno postato il video dell’aggressione su Facebook. Il cyberbullismo è un fenomeno drammaticamente in crescita e non riguarda soltanto la condivisione in rete di foto e video che testimoniano atti di violenza fisica, ma anche altre “prepotenze virtuali”, che si situano in continuità rispetto alle offese offline o le integrano, e che includono una vasta gamma di violenze di natura psicologica.
In un rapporto del 2014, l’Istituto nazionale di statistica evidenzia come quella attuale sia la prima generazione di adolescenti cresciuta in una società in cui l’essere connessi rappresenta un’esperienza connaturata alla quotidianità. L’83% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni utilizza internet attraverso un telefono cellulare e il 57% naviga nel web. Questo uso “intensivo” delle nuove tecnologie, che spesso non viene adeguatamente o per nulla “sorvegliato” dagli adulti, espone bambini e giovani a rischi che spesso non sono nemmeno in grado di percepire e dai quali non possono difendersi da soli. Gli episodi di bullismo, di varia natura, si trasferiscono pertanto dalla vita offline a quella online, con conseguenze amplificate in termini di spazio e di tempo (una sola offesa, divulgata attraverso internet o i social network, può raggiungere immediatamente un elevato numero di utenti e rimbalzare dall’uno all’altro ipoteticamente all’infinito, ampliando notevolmente la gravità dell’attacco e la sua percezione da parte di chi lo subisce).
Oggetto di atti di bullismo virtuale sono sempre più spesso le ragazze (il 7,1% di quelle tra gli 11 e i 17 anni che si collegano a internet o dispongono di un telefono cellulare è stata vittima di atti di cyberbullismo, rispetto al 4,6% dei ragazzi), ma episodi come quello di Bethany dimostrano come le ragazze possano trovarsi anche tra gli aggressori, specialmente quando la vittima è dello stesso sesso.
Al centro dell’attenzione dei bulli vi sono, nella maggior parte dei casi, le caratteristiche fisiche delle vittime. In un sondaggio del 2013 promosso da Save the Children e Ipsos il 67% degli studenti intervistati dichiarava che il motivo per cui un ragazzo/una ragazza viene preso/a di mira è da ricercare nelle sue caratteristiche fisiche (tra le motivazioni specifiche vi è, ovviamente, la bellezza, con un 59% degli intervistati che rispondono con “se femmina, è considerata brutta” e un 46% con “se maschio, è considerato brutto”), nella timidezza (67%) e nel successo scolastico (59%).
Abbiamo affrontato questo tema con un’esperta, la senatrice e docente Elena Ferrara, prima firmataria del ddl per il contrasto al cyberbullismo, approvato all’unanimità a Palazzo Madama e al momento in corso di esame a Montecitorio. Il suo impegno politico per la sicurezza dei giovani in rete nasce tre anni fa, a seguito del suicidio di una sua giovane ex studentessa, Carolina, che all’inizio del 2013 decide di porre fine alla sua vita dopo che cinque coetanei, tra cui il suo ex fidanzato, postano in rete un video in cui la giovane è oggetto di molestie sessuali di gruppo. Si tratta di un episodio senza precedenti noti nel nostro paese e che la neoeletta senatrice Ferrara decide di portare immediatamente all’attenzione della Commissione diritti umani. Prende così il via un percorso di indagine e di ascolto che porterà alla stesura del disegno di legge n.1261 dal titolo “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”.
Si è trattato di un lavoro complesso e articolato, che ha coinvolto tutte le parti interessate: dalle istituzioni alle forze dell’ordine, dalle aziende new media alle associazioni, dagli operatori dell’informazione alle rappresentanze degli studenti e dei genitori. Un lavoro volto alla stesura di un testo pensato, sottolinea Ferrara “dalla parte dei ragazzi, per coinvolgere le nuove generazioni nella diffusione di un utilizzo responsabile e positivo della rete” e che ha beneficiato del contributo e del sostegno del Miur, della polizia di stato, dei garanti dell’Infanzia e della privacy, oltre che di giuristi, medici, psicopedagogisti, genitori e giovani.
In primo luogo, Elena Ferrara tiene a precisare come si tratti “di una legge dall’approccio inclusivo”. La senatrice è infatti contraria a un atteggiamento meramente “sanzionatorio”: da un lato, la previsione di un reato ad hoc non le appare utile, poiché i reati connessi al cyberbullismo afferiscono già a fattispecie di reato presenti nel codice penale e della privacy (stalking, ingiuria, minacce, furto d’identità e finanche pedopornografia)…
Erica Aloè
Fonte: www.ingenere.it