La Siria vincerà, per l’eroica resistenza del popolo e dell’esercito siriano
Quando gli storici futuri scriveranno la storia del conflitto siriano vi sarà un semplice test che deciderà se il loro obiettivo è il mio, dire la verità, o se soltanto spaleranno altro fango sulla montagna eretta in cinque lunghi anni a monumento della propaganda. Il test sarà la loro descrizione dell’Esercito arabo siriano e del suo ruolo nel conflitto. Se tali storici gli attribuiranno la resistenza contro le forze dell’inferno votate alla distruzione del Paese come secolare Stato multi-confessionale, multi-religioso ed multi-etnico, sopportando perdite e vittime che lo collocano tra i più coraggiosi, resistenti ed eroici eserciti nazionali mai esistiti, allora la gente saprà che la verità piuttosto che la propaganda ha prevalso.
La glorificazione della guerra e del conflitto è difficile da resistervi per coloro che vivono in sicurezza a miglia di distanza da orrori e brutalità. Chi la glorifica dovrebbe per un momento studiare e capire le parole di Jeannette Rankin, che disse: “Si può vincere una guerra quanto si può vincere un terremoto“. La guerra in Siria conferma la verità rispettosa di queste parole, considerando la natura epica della distruzione che l’ha colpita, il suo tragico costo umano, e come ciò ha scosso la società siriana fino ai limiti della sopportazione. Ciò significa che, mentre la sopravvivenza del Paese come Stato indipendente non confessionale può ormai essere certa, della capacità di riprendersi completamente dal terremoto di cui parla Rankin solo il tempo potrà dirlo.
Ma il fatto che il Paese sia riuscito a sopravvivere e quindi potersi riprendere è soprattutto merito dell’Esercito arabo siriano, la cui costituzione è un microcosmo della società e del popolo che ha difeso; sunniti, sciiti, drusi, cristiani, alawiti, ecc. Compiendo ciò, mentre queste parole vengono scritte, ha perso oltre 60000 uomini, secondo l’ultimo articolo di Robert Fisk, uno dei corrispondenti occidentali più stimati nella regione.
Questo senza tener conto dei 1000 e più combattenti di Hezbollah caduti insieme a curdi e membri delle varie milizie governative alleate. E senza includere le decine di migliaia di feriti o mutilati. Ma basta pensare al dato impressionante di 60000 caduti per un attimo. In un Paese con una popolazione che prima del conflitto contava 25 milioni di abitanti, e un esercito che contava 220000 effettivi a pieno organico, la perdita di 60000 uomini traccia la natura epica del conflitto in cui perirono, pari al fronte orientale durante la Seconda guerra mondiale. L’aiuto e la solidarietà russi ovviamente sono un fattore chiave del mutamento delle sorti nel conflitto siriano. Ma tutto l’aiuto e la solidarietà nel mondo conta poco senza la volontà del popolo e dell’esercito di resistere all’invasione del Paese da parte di migliaia di estremisti la cui passione per il massacro di esseri umani nei modi più atroci immaginabili li qualifica quali barbari.
Il punto saliente perso negli innumerevoli articoli ed editoriali scritti e pubblicati, equiparando tali barbari al governo siriano e al suo esercito, è che l’Esercito Arabo Siriano ed il Popolo Siriano sono uniti ed sono una sola cosa indivisibile, senza soluzione di continuità. La capacità e la volontà dell’esercito di sopportare i colpi subiti, a cui alcun altro esercito nella regione avrebbe resistito, è subordinata al sostegno del popolo siriano.
Questo sostegno è stato costante anche nel pieno dell’enorme pressione estera imposta al Paese dalle potenze occidentali, a un certo punto convinte che il collasso totale e la sconfitta dell’esercito fossero solo questione di quando e non se. Il cessate il fuoco in corso, con la mediazione della Russia e sostenuto da Washington, avviene in un momento in cui il conflitto volge con forza a favore del governo. Nel corso dell’offensiva iniziata ai primi di febbraio, l’EAS ha spianato l’avanza nel nord del Paese. Combinata all’offensiva lanciata dalle SDF (Forze democratiche siriane) multi-etniche nel nord della provincia di Aleppo, è effettivamente riuscito a circondare Aleppo tagliando le principali linee di rifornimento dalla Turchia per le forze dell’opposizione che controllano ampia parte della città. Dato il numero di fazioni armate coinvolte nel conflitto, l’assenza di qualsiasi struttura di comando centrale che ne dirige le attività, il fatto che il cessate il fuoco abbia finora tenuto con solo un paio di violazioni minori, testimonia la mutata realtà sul terreno.
Macchinazioni, trame e mendacità di sauditi e turchi, senza dimenticare i loro alleati occidentali, sono state tutte vane in un Paese dove ogni città e via, ogni collina, villaggio e strada è stato toccato dalla guerra. E’ la prova definitiva che la storia è fatta non da governi, diplomatici, funzionari o nelle stanze di palazzi e cancellerie. E’ fatta da uomini e donne comuni disposti a combattere e morire per la difesa dei propri popolo, case e comunità, e il cui onore in tal modo contrasta con il disonore di coloro che hanno commesso l’errore di considerare la Siria un altro pezzo del loro scacchiere geopolitico. Nessuno dovrebbe mai sottovalutare il costo umano nel proteggere sovranità e integrità della Siria.
Lo si faccia e non si denigri coloro caduti e coloro che senza dubbio cadranno se e quando i combattimenti riprenderanno. Né si dovrà sottovalutare la dimensione della montagna da scalare prima che la Siria si ricomponga quando le armi finalmente tacceranno. Infatti, quando una lotta finisce un’altra avrà inizio.
John Wight, American Herald Tribune, 2 marzo 2016
Le opere di John Wight appaiono regolarmente su RT, Counterpunch, The Morning Star; è commentatore regolare presso la Radio BBC Scozia.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora