La Libia che ci aspetta… i soldi ci sono ed i soldati pure (paga renzie)

Forse, qualcuno ricorderà la conclusione sibillina di un mio vecchio articolo. Si era nell’ottobre del 2015, e il pezzo era dedicato alla mastodontica esercitazione NATO “Trident Juncture”. In chiusura, dopo aver dato notizia dell’assunzione in Goldman Sachs dell’ex Segretario generale della NATO, terminavo: «Quali i punti di contatto – si chiederanno i lettori – tra la sfera militare e quella finanziaria? Ci sono, ci sono questi punti di contatto. E ne avremo conferma fra qualche mese, probabilmente in Libia.» Qualche mese è passato, ed è giunta quella che a me pare proprio una conferma.

Malgrado le grandi attese della vigilia, il caos seguìto all’assassinio di Gheddafi ha favorito gli alleati mediorientali degli americani (sauditi, quatarini, turchi, eccetera), ma ha lasciato in sospeso qualche affaruccio delle grandi banche di Wall Street. In particolare, la Goldman Sachs – to’ chi si rivede! – sembra che si agiti parecchio, soprattutto nelle ultime settimane, da quando appaiono in discesa le quotazioni di Ilary Clinton nella corsa alla Casa Bianca. Del rapporto fra la Clinton e la massima banca d’affari del pianeta – per inciso – parlerò in una prossima occasione.

Tornando alle vicende libiche, comunque, la banca di Manhattan – lo ricordava Manlio Dinucci sul “Manifesto” – ha già avuto da queste il suo bel guadagno, impadronendosi di 1,3 miliardi di dollari di fondi statali che le erano stati affidati dal bieco regime, adducendo perdite la cui autenticità sarebbe utile poter verificare. Adesso, sembra che il prestigioso istituto finanziario sia particolarmente inquieto per i futuri equilibri interni alla Central Bank of Libya, cui – una volta ripristinato un minimo di normalità – dovrebbe spettare il còmpito di gestire il fiume di denaro delle rendite petrolifere e di indirizzare gli investimenti miliardari dei “fondi sovrani” libici.
E ad essere inquieta non è soltanto la Goldman Sachs, ma l’intero apparato statale, finanziario e militar-industriale della nostra “grande alleata”. Il còmpito che Qualcuno aveva pensato per l’ISIS era quello di distruggere Siria e Iraq (e poi Libano e forse Giordania), per ridisegnare i confini del Medio Oriente secondo i desiderata dei nuovi imperialismi regionali.

L’intervento della Russia in Siria ha però sparigliato le carte, obbligando anche gli americani a fare qualcosa di concreto in Iraq. Ecco, dunque, che il simil-Stato jihadista ha cominciato a spostare uomini e mezzi in Libia; nella previsione di essere costretto a cercare riparo dalle parti di Tripoli. Ed anche questo è un fatto (assolutamente non previsto) che obbliga gli americani a dare un segno di vita, pena la fine di quel loro strumento coloniale che è l’Alleanza Atlatica. Come giustificare agli occhi degli alleati – infatti – la guerra della NATO nel 2011 contro un Gheddafi che non minacciava nessuno, mentre la Libia di oggi potrebbe diventare sede di un Califfato che vuol far la guerra all’Italia?

Ecco che – in tali frangenti – potrebbe tornare utile un alto papavero NATO in Goldman Sachs, soprattutto trattandosi di un personaggio come l’ex Segretario generale Anders Fogh Rasmussen. Già primo ministro di Danimarca, il tale è noto per essere totalmente appiattito sulle posizioni americane; al punto da essere anche fautore del TTIP, il trattato di “libero scambio” – in itinere – con cui gli USA tentano di colonizzare definitivamente l’economia europea. In campo militare, invece, l’ardimentoso personaggio si è illustrato in due manovre parimenti nefaste per gli interessi europei: le misure bellicose e provocatorie contro la Russia per la questione ucraina e – guarda un po’! – l’aggressione alla Libia di Gheddafi. Ecco che, in vista di una nuova campagna tripolina, il passaggio di Rasmussen dalla NATO a Goldman Sachs potrebbe rivelarsi utile. Anche per tenere al loro posto gli italiani, nel caso che quel mattacchione di Renzi si montasse la testa per il fatto di essere stato incaricato di “guidare” la spedizione punitiva sulle coste della Sirte.

In fondo, la guerra del 2011 è stata fatta anche per privare l’Italia del suo rapporto privilegiato con la Libia. Ora, la nuova guerra non avrà certo il còmpito di riportare indietro le lancette dell’orologio. Il Vispo Tereso è avvisato: non avrà un nuovo Rais cui baciare la mano, come così bene sapeva fare un suo predecessore. Al nuovo Presidente del Consiglio italiano – più modestamente – spetterà soltanto di mettersi un pennacchio in testa e di giocare ai soldatini. Per le cose serie, c’è già chi ci pensa.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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