Capitalismo e guerra: binomio indissolubile…
L’esportazione di capitali in regioni meno ricche di quella d’origine serve come strumento per ricreare all’estero l’esercito di lavoratori disponibili di riserva che si esaurisce in patria, realizzando così un aumento del tasso di profitto, oltre che per aggirare il problema posto dall’aumento di produttività che entra in conflitto la finalità di massimizzazione del plusvalore.
Infatti aumentando la produttività si crea una crisi di sovrapproduzione invenduta, che potrebbe essere risolta aumentando il salario (indicizzato) dei lavoratori, oppure abbassando i prezzi, soluzioni interne al bacino economico dato, che però impedirebbero al capitalista di continuare ad aumentare i propri profitti complessivi.
Nemmeno l’incentivo ad aumentare i consumi tramite il debito privato risolve il problema, poiché si tratta solo di uno spostamento temporale destinato ad evidente saturazione (il pagamento dei debiti passati impedisce nuove spese presenti).
Tuttavia la sola esportazione di capitale ed investimento estero non basta se non viene accompagnata, presto o tardi, dalla possibilità di controllo monopolistico dei rapporti economici interni alla zona di espansione, e da questo sorge la guerra coloniale imperialista come conseguenza invetibaile della pretesa di crescita continua del capitale.
Per questo motivo i paesi industrializzati producono grandi quantità di armamenti anche con surplus destinati alla esportazione, fomentando guerre come fonte di guadagno, nelle quali organizzano il controllo delle “Terze parti” stimolate al conflitto come strumenti di “guerra per procura”; destinata a culminare nella conquista politica ed economica di nuove regioni.
Riassunto in breve, i capitalisti vendono armi, scatenano guerre, finanziano propagande ideologiche asfissianti nelle quali vi chiedono di schierarvi con questa o quella parte, e da tutto ciò ricavano le conquiste imperialiste di cui hanno bisogno per guadagnare di più pagandovi di meno.
Pace e capitalismo risultano palesemente inconciliabili, ed ogni lotta per la pace e la coesistenza tra i popoli non può che essere simultaneamente una lotta contro il capitalismo, poichè guerra e valorizzazione del capitale sono strutturalmente legati uno all’altro in modo indissolubile.
Vincenzo Zamboni
P.S. L’investitore finanziario è un ladro. Membro partecipe attivo del metodo capitalista, che è malvagità, cattiveria, violenza e sopraffazione. Ma, soprattutto, è furto: ogni negatività del capitalismo è determinata dalla sua intrinseca struttura di sistema organizzativo dei ladri (una associazione a delinquere).
Non si può avere un mondo di “sicurezza” e pace finché il capitalismo sopravviva e agisca.
Si tratta di una gravissima peste economicofinanziaria da debellare, a difesa dell’umanità depredata e devastata per il beneficio fraudolento di pochi ladri.
“Governo ladro” ?
Ma certo !
E’ il governo di un mondo di ladri, non può che governare il furto, perché i capitalisti sono ladri, e ladri rubano.
Il capitalismo è strutturalmente sempre in guerra.
La sua “pace” può essere solo incidentalmente momentanea e sostanzialmente solo apparente.
Il ladro è sempre in guerra contro chi vuole derubare.