La rabbia saudita e l’ammorbidiente del secondo Obama

saudi troup

I rapporti tra gli Stati sono regolati solo da una polarità: mi conviene-non mi conviene.

Noi di solito ragioniamo con polarità morali e sociali (magari “di classe”), come giusto-sbagliato, equo-iniquo, eccetera.

I risultati pratici dei due ragionamenti si influenzano a vicenda, pur avendo logiche distinte, perché una politica estera ha ricadute economiche, finanziarie e sociali all’interno e, viceversa, le dinamiche economiche, finanziarie e sociali interne influenzano la politica estera. Questa è la grande lezione di Lenin e il succo della nozione di “imperialismo”. Siccome le due logiche sono distinte, spesso conflittuali ed è difficilissimo avere una visione stereoscopica (ci vuole, appunto, un Lenin), i compagni solitamente invece dello stereoscopio utilizzano il monoscopio, ovvero solamente le coppie giusto-ingiusto, equo-iniquo. La visione non è più tridimensionale, ma la coscienza è a posto. E si fa meno fatica.

Gli eccessi “internazionalisti” (del tipo “viva la rivoluzione di Bengasi”, “viva la rivoluzione siriana”, e così via) derivano da questa visione appiattita. Cose che passano per essere molto marxiste ma non lo sono affatto. Purtroppo bisogna rendersi conto che per la maggioranza dei nostri marxisti Lenin oggi sarebbe un “rossobruno”. Fate mente locale e vedrete che è così. Infatti il genio politico russo è pochissimo amato e vengono invece sognati improbabili “ritorni a Marx”, che non è propriamente un modo per andare avanti (ciò non toglie che il 90% di ciò che in qualche misura capisco è dovuto a Marx, ma questo è un altro paio di maniche).

L’ammorbidimento della posizione saudita è una delle recenti conseguenze della svolta nel teatro europeo-mediorientale della seconda amministrazione Obama, quella che ha attuato la purga di mostri neocon come la Clinton e il generale Petraeus, quella che non ha bombardato Damasco durante la crisi delle armi chimiche (come, me lo si conceda, avevo immediatamente scritto), ha lasciato per un anno che gli aerei russi sorvolassero la Turchia e preparassero il terreno a Tartus e a Latakia, qualche settimana fa ha bombardato l’Isis segretamente coordinandosi con l’Esercito Arabo Siriano (3.000 morti, non un tanto per far vedere), ha rimosso il generale John Allen reo di fare solo finta di combattere l’Isis, ha organizzato una “linea rossa” di collegamento tra le forze russe in Siria e quelle della Coalizione, una linea rossa che passa, udite udite, per Israele, e infine quella che sta da qualche mese dirigendo la svolta anti-neocons in Ucraina, punto di crisi strettamente collegato a quello siriano.

In questo Paese, il presidente Petro Poroshenko, con l’aiuto della magistratura, è riuscito ad esempio a neutralizzare l’oligarca ucraino-israeliano-cipriota Igor Kolomoisky, l’orrendo arnese che ha messo in piedi il famigerato Battaglione Azov, stragista e nazista, e ha cercato di boicottare gli accordi di Minsk 2 scatenando proteste antigovernative tramite quei loschi figuri di Settore Destro (Pravy Sektor). Adesso questo ebreo nazistoide (sembra un paradosso) è scappato negli Usa che gli hanno detto però che lo avrebbero tenuto al riparo dagli inquirenti ucraini (è accusato di una lista lunghissima di reati) solo se non interferiva più nella politica ucraina e se mollava le sue holding, con le quali ricattava (e imbrogliava) il governo di Kiev.

Intanto, sembra incredibile, ma tra una frizione e l’altra gli accordi di Minsk 2 vengono veramente applicati. Non solo, i “separatisti” vendono ogni giorno migliaia di tonnellate di carbone ai “legittimisti” e i “legittimisti” riconoscono le pensioni dei “separatisti”. E, ciliegina, la magistratura di Kiev ha aperto un’inchiesta sulla famosa strage del 20 febbraio 2014 sulla Maidan, perché sospetta che non sia stata fatta dalla polizia dia Yanukovich ma da cecchini nazistoidi. In realtà lo sanno tutti benissimo, perché lo aveva subito rivelato Urmas Paet, allora ministro degli Esteri estone, a Catherine Ashton, che era la responsabile esteri della UE. Quel che sorprende è che la magistratura di Kiev abbia aperto un’inchiesta che rischia di essere un duro colpo per i neocons annidati a Washington e nella Nato e per i loro tirapiedi ucraini. Possibile che si sia mossa autonomamente su un terreno così minato? E se non è possibile, da chi ha avuto il permesso?

Noi facciamo benissimo a privilegiare il “sociale”, e quindi le coppie giusto-ingiusto, equo-iniquo, eccetera, perché è l’unico terreno su cui possiamo muoverci, visto che non siamo né statisti né diplomatici. Il problema è che a differenza dei marxisti “internazionalisti” duri e puri, abbiamo sì anche la coscienza di cosa sia l’imperialismo, ma le nostre azioni antimperialiste e le nostre denuncie antimperialiste sono avulse dalla dimensione sociale. Riusciamo a collegare i due aspetti solo a stento (ad esempio su cose evidenti come il TTIP) e così ci ritroviamo in piazza in quattro gatti a fare pura testimonianza. Che è importante ma non basta. Durante la stagione del cosiddetto movimento no-global, le cose erano più semplici, perché l’imperialismo e l’iniquità sociale si presentavano sfacciatamente a braccetto. Ma l’approfondirsi della crisi e un decennio e passa di lavaggio del cervello “di sinistra” con sciampo alle erbe balsamiche neoliberiste, europeiste e atlantiche, ci hanno portato a una situazione invasa dalla melassa, che impasticcia tutto e non fa vedere niente, con capi pasticceri come Renzi a cui basta un numero limitatissimo di neuroni per prendere per il culo un’intera nazione.

Io non ho nessuna ricetta pronta e nemmeno le idee molto chiare su come possiamo uscire dalla melassa e collegare in un’azione unica le lotte all’imperialismo e quelle al capitalismo (o per lo meno alle lotte sociali). Anche il pacifismo puro mostra i suoi limiti come orizzonte aggregante nel momento stesso in cui la Russia si mette a bombardare e a noi (per lo meno a me) va bene così (come d’altronde fa piacere al 71% dei Britannici, sondaggio recente). Come faremo a dire che l’Italia non deve bombardare l’Isis in Iraq? Perché la Russia sì e l’Italia, o la Francia, no? Perché noi portiamo acqua al mulino della parte sbagliata, dell’imperialismo? Ma Putin non sta bombardando perché è “giusto”, ma perché gli “conviene”. E lo dice senza mezzi termini: stiamo difendendo gli interessi vitali della Russia, non stiamo facendo altro. E’ allora tutto da capire se sia per motivi intrinseci o per motivi estrinseci che la difesa di questi interessi coincida con la liberazione della Siria da tagliagole fuori di testa sostenuti dagli strateghi fuori di testa dell’impero americano. Magari è solo un caso e ai Siriani ha detto bene. Magari ci sono invece motivi storici e culturali per cui la Russia è più civile degli Stati Uniti (io ad esempio penso che sia così).

Insomma, dobbiamo trovare il modo di collegare politica interna e politica estera, il sociale alla pace e farlo in modo coerente, credibile e mobilitante Non è un compito da poco.

Piero Pagliani

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