Romano Prodi, l’antitaliano, e la deriva linguistica europea

l'antitaliano

La recente presa di posizione di Romano Prodi a favore della lingua italiana arriva in ritardo, avrebbe dovuto pensarci un po’ prima! Infatti sotto la presidenza di Romano Prodi e a iniziativa dello stesso, il Collegio dei Commissari che costituisce la Commissione Europea è stato investito dalla proposta di utilizzare il solo inglese come lingua di procedura per l’adozione, da parte del Collegio, dei documenti, elaborati dai Servizi della Commissione, da trasmettere al Consiglio di Ministri. Il pragmatico Prodi, non si è probabilmente reso conto dei danni irreparabili che la sua proposta arrecava alla trasparenza e alla legittimità del processo decisionale per la costituzione delle politiche comunitarie e della relativa legislazione.

Fino a quel momento la regola vigente per la procedura di approvazione delle proposte di regolamentazione da trasmettere al Consiglio di Ministri, disponeva che, non solo, i Commissari ricevessero sempre i documenti nella loro lingua ma che i documenti stessi dovessero essere redatti in tutte le lingue ufficiali sin dall’inizio dei lavori dei Comitati e Gruppi di lavoro ad hoc, costituiti da membri dei Servizi della Commissione e da rappresentanti dei Ministeri e delle parti interessate degli Stati Membri, per la regolamentazione di un determinato settore. Questa esigenza comportava l’onere di aggiornare le diverse versioni linguistiche al ritmo delle decisioni prese dai gruppi di lavoro e dell’avanzare dei lavori dei Comitati con il duplice vantaggio che, trattandosi sovente di materie molto tecniche e complesse, da un lato, gli esperti degli Stati Membri erano in grado di controllare nel dettaglio il tenore del documento e gli obblighi che esso comportava, dall’altro, le diverse versioni linguistiche, dovendo rigorosamente coincidere nel contenuto, rendevano indispensabile una totale trasparenza ed ognuna di esse chiarificava le eventuali ambiguità delle altre.

A seguito delle vive proteste di Francia e Germania che, con lettera dei due Ministri degli Affari Esteri, fecero immediatamente sapere a Romano Prodi che i loro Paesi non avrebbero mai accettato una tale decisione che rendeva loro praticamente incontrollabili le proposte di normative che la Commissione trasmetteva al Consiglio, il Collegio dei Commissari decise di ridurre a tre le lingue di procedura: inglese, francese e tedesco. In questo contesto, non si capisce perché mai per l’Italia non si siano fatte valere le stesse ragioni e ci si debba accontentare di valutare e approvare documenti complessi e di elevato contenuto tecnico in lingua straniera. Peraltro, in seguito a questa iniqua decisione del Collegio dei Commissari, le tre lingue di procedura sono diventate, de facto, quelle che sono considerate le lingue di lavoro della Commissione Europea, nella più completa opacità, in assenza di una qualsiasi enunciazione dei criteri di discriminazione e in totale contraddizione con la lettera e lo spirito dei Trattati e delle regole vigenti.

E’ incomprensibile il fatto che l’allora Presidente, Romano Prodi, e la Commissione stessa, nel suo ruolo di guardiana dei Trattati e dell’equilibrio istituzionale, non abbiano percepito lo stridore di questa inusuale disparità tra i quattro Grandi Stati Membri dell’Unione. Resta oscuro, infatti, il motivo per cui l’italiano che, allo stesso titolo delle tre lingue, è la lingua di uno dei quattro “Grandi” Paesi dell’Unione non abbia conservato, anch’esso, la qualità di lingua procedurale e sia, al contrario, quasi scomparso dall’uso corrente, non solo nel lavoro quotidiano ma anche in tutte le forme di documentazione, formulari da riempire, concorsi, progetti da presentare e nella comunicazione con i cittadini e con le autorità.

Tutto ciò comporta conseguenze catastrofiche per un’effettiva, efficace e concreta partecipazione italiana al processo di integrazione in corso, ai programmi e alle azioni delle quali i cittadini, le istituzioni, le imprese italiane devono poter essere protagonisti, insieme agli altri e su un piano di stretta e rigorosa parità. In seno all’Unione, l’Italia non è un piccolo Paese, in nessun senso. L’Italia è il terzo contribuente netto al bilancio comunitario, dopo Francia e Germania e davanti al Regno Unito, l’Italia è Stato Membro fondatore della Comunità Europea e, in tal senso, depositario e garante del progetto iniziale, la cui originalità istituzionale rimane, a tutt’ oggi, l’anima unica, grandiosa e impareggiabile del modello europeo. L’Italia è un Paese che ha un peso determinante, in seno all’Unione Europea, non solo in termini demografici, economici e culturali ma anche per la sua dinamicità, creatività, apertura e per il suo contributo umanistico e spirituale nella storia d’Europa. E’ sufficiente dare un’occhiata alla faccia nazionale delle euro-monete per rendersi conto di quale è il posto dell’Italia in seno all’Europa.

Anna Maria Campogrande

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Integrazione dell’autrice:

Leggiamo da un articolo su Il Giornale di due giorni fa l’intervento di Tajani sul “non uso” della lingua italiana nei documenti UE “  Per la selezione del personale richiesta la conoscenza solo di inglese, francese e tedesco.” Ma come già Prodi, all’epoca in cui era Presidente della Commissione Europea, Tajani non difende affatto l’italiano ma individua nella discriminazione verso la nostra lingua un modo subdolo per promuovere l’inglese. Ma che politici che abbiamo, povera Italia! l’inglese non detiene alcun primato se non quello del globish-livello-culturale-zero. Colui che, invece, ha capito tutto è Claude Hagege: l’inglese distrugge la nostra forma mentis e, a termine, la nostra civilizzazione, la civiltà greco-latina… http://www.lepoint.fr/grands-entretiens/hagege-l-anglais-detruit-notre-pensee-19-01-2012-1423533_326.php.

Insomma ci risiamo. Tutti spingono perché si ami questa Europa che, oltre ad averci limitato la sovranità e sommerso di nuove e spesso assurde regole, non ricambia minimamente il sentimento.

E lo vediamo ogni giorno, anche nelle cose che non hanno l’onore di finire in prima pagina. Come la discriminazione della lingua italiana in seno all’Unione europea.

Per l’ennesima volta la Corte di Giustizia Ue ha annullato tre concorsi, organizzati da Epso (l’Ufficio europeo di selezione del personale), che richiedevano il tedesco, l’inglese o il francese come lingua di comunicazione e come seconda lingua da conoscere dopo quella madre.

Sono anni che Epso organizza concorsi pubblici per selezionare il personale, sia a tempo determinato sia indeterminato, e sono anni che la Corte di Giustizia, dopo numerosi ricorsi, continua a condannare la Commissione Ue per queste violazioni delle norme.

Ma nonostante le sentenze, Epso non fa una piega e prosegue nella sua azione discriminatoria (chi vuole accertarsene può tranquillamente visitare il sito di Epso http://europa.eu/epso/apply/how_apply/languages/index_it.htm).

Non è più tollerabile che questa situazione vada avanti in spregio ai trattati e allo spirito di collaborazione che dovrebbe esistere fra i Paesi membri dell’Unione, di cui l’Italia è uno dei fondatori.

Ma non è accettabile soprattutto penalizzare la maggioranza dei cittadini europei e vedere che tutto ciò accade sotto l’occhio compiacente di Bruxelles.

Per questo motivo il vicepresidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha presentato un’interrogazione scritta al Consiglio e alla Commissione chiedendo quali misure intendano adottare affinché Espo rispetti le norme comunitarie e i suoi dirigenti si assumano la responsabilità delle ripetute infrazioni.

D’altronde, è incomprensibile quale sia la logica di scegliere quelle tre lingue e non altre, come ad esempio lo spagnolo che ormai è la seconda lingua più diffusa nel mondo dopo l’inglese (non consideriamo il cinese perché è parlato solo in Cina).

Oppure perché non dare libera scelta tra le lingue comunitarie ai candidati al concorso?

La risposta è semplice: nel corso degli anni la Gran Bretagna, la Francia ma soprattutto la Germania hanno dedicato più tempo e cura al tema linguistico rispetto all’Italia e alla Spagna.

Le proteste, le interrogazioni, i ricorsi alla Corte di Giustizia sono sacrosanti ma non si può nascondere che anche gli esclusi hanno qualche responsabilità. L’Europa condiziona ogni giorno le nostre vite con le sue norme, le sue quote produttive, i suoi vincoli di bilancio, eppure i nostri governi non si prendono la briga di avere maggior peso non solo in seno all’Unione ma anche nell’euroburocrazia.

Eppure, una soluzione ci sarebbe, senza nulla togliere alla nostra amata lingua. Una piccola provocazione: invece di inserire l’italiano e lo spagnolo tra le lingue privilegiate, bisognerebbe declassare il tedesco e il francese.

Siamo sinceri, la storia ce l’ha già insegnato: c’è stata un’unica lingua, il latino, che in passato ha permesso l’integrazione economica e culturale del Vecchio Continente. Oggi la lingua commerciale, scientifica, tecnologica e che avvicina i cittadini di ogni latitudine è l’inglese, non bisogna nasconderlo. Solo le istituzioni politiche non lo ammettono.

È giusto battersi per difendere l’italiano e togliere i privilegi ad altre lingue, come il tedesco e il francese, che nulla hanno in più rispetto alla nostra, ma dobbiamo anche riconoscere il primato dell’inglese.”

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