Roma – Marino, pietra di paragone della società civile in politica
E così Ignazio Marino ha tolto il “disturbo”. Salvo un supplemento di farsa da recitarsi nei prossimi giorni.
Sia chiaro – voglio precisare – non intendo aggiungermi alle nutrite schiere di detrattori che oggi sbeffeggiano l’ex sindaco di Roma, anche se del Marino politico ho sempre avuto una pessima opinione. Viceversa, il Marino chirurgo – a detta di tanti – sarebbe un validissimo elemento. Evidentemente, la teoria che la politica (e la pubblica amministrazione) debba “aprirsi alla società civile” non è forse la più azzeccata.
Molti sembrano incominciare a comprenderlo, ma non Silvio Berlusconi, che – proprio in queste ore – torna ad invocare per Roma e per Milano dei “sindaci-manager” che possano amministrare quelle metropoli “come grandi aziende”. Inconsapevolmente, il Cavaliere difende anche il suo caso personale, quello di un grande imprenditore che in politica ha operato abbastanza bene, tanto da costringere i poteri forti ad un complotto per defenestrarlo. Ma ciò che gli sfugge è l’eccezionalità della sua esperienza, a fronte di quella della stragrande maggioranza dei politici-fai-da-te – compresi molti ministri dei suoi governi – che si sono rivelati dei clamorosi fallimenti.
Lungi da me l’idea di facili generalizzazioni; ma non è detto che, se ognuno fa un “mestiere” e qualcuno lo fa anche bene, questo qualcuno possa far bene anche mestieri assai diversi dal suo. E la Politica è anch’essa un mestiere. Non un mestiere come gli altri, ma un mestiere più difficile degli altri, che richiede doti, qualità, attitudini particolarissime. A meno che – naturalmente – non si voglia fare politica per traccheggiare e per sgraffignare. Ma questa non sarebbe Politica, quella – come amo dire – con la P maiuscola; sarebbe, semmai, il suo esatto contrario, sarebbe la vera “antipolitica”.
In Italia, però – e non soltanto in Italia – è da tempo invalsa una malsana abitudine: quella di catapultare in incarichi politici o amministrativi di grande importanza dei soggetti assolutamente inadatti: si va dai manager o presunti tali fino ai classici “nani e ballerine”, passando magari per chirurghi alla Marino. Attenzione: non voglio certo negare a nani e ballerine il diritto di farsi eleggere al parlamento. Quello che lamento è che nani, ballerine, manager, chirurghi e salumieri possano diventare deputati o ministri senza un minimo di preparazione, di attitudine, senza avere fatto neanche il Consigliere comunale al paesello natale.
La Politica – dicevo – è un mestiere, un difficile e nobilissimo mestiere; che però, almeno qui da noi, non ha ordinamenti, non ha albi di categoria, non ha ordini professionali che fissino regole e parametri. Per fare l’avvocato è necessaria la laurea in legge, per fare il gelataio è necessaria una attestazione amministrativa, perfino per fare il disoccupato c’è ormai bisogno di una certificazione ad hoc. Ma per fare il politico non c’è bisogno di niente. L’unico requisito per diventare Consigliere municipale è di essere iscritto nelle liste elettorali di un qualunque Comune italiano. L’unico requisito per diventare Parlamentare è di godere dei diritti civili. Quando fui eletto per la prima volta Consigliere al Comune di Trapani – nel 1980 – dovetti soltanto firmare la rituale dichiarazione di “saper leggere e scrivere”; quando fui eletto per la prima volta Deputato – se non ricordo male – non ebbi neanche quel disturbo.
I nostri progenitori, invece, si regolavano in maniera del tutto diversa. Chiunque, nell’antica Roma, avesse voluto iniziare la carriera politica di allora (tribuno della plebe, edile, pretore, questore, eccetera) doveva accedere al cursus honorum (dove per “onori” s’intendevano le cariche pubbliche) ed iniziare dal gradino più basso una gavetta che poteva anche portare al vertice delle magistrature repubblicane o, più tardi, imperiali.
Se, oggi, in Italia ci fosse stato un analogo cursus honorum, un Ignazio Marino non sarebbe mai diventato Praefectus Urbis nella Città Eterna; e, s’è per questo, neanche un Matteo Renzi sarebbe stato Pontifex Maximus della Repubblica.
Battute a parte, episodi “di colore” a parte, spero che l’Italia e l’Europa tutta si rendano presto conto di una tale realtà, mandino in pensione manager, nani e ballerine, e tornino alla buona, vecchia Politica, magari con qualche traffichino in meno. Di tecnici ne abbiamo piene le tasche. Anche di quelli di più alto livello. Penso, per esempio, a quei banchieri che hanno sottoscritto gli infami “parametri” dell’Unione Europea che ci hanno ridotto in miseria; penso a quei geni della finanza che hanno privatizzato la Banca d’Italia; penso a quei professoroni che hanno spogliato l’Italia della sua industria pubblica; penso a quei ragionieri che hanno distrutto un sistema pensionistico a misura d’uomo; penso a tutti coloro che vogliono piegare la vita e l’economia della nostra patria alle “esigenze dei mercati”, magari accettando un infame “trattato di libero scambio” che ci metterebbe alla mercé dell’industria americana. Se ci fate attenzione, costoro hanno tutti qualcosa in comune: non vengono dalla politica ma dalla “società civile”, non hanno mai frequentato Consigli Comunali ma soltanto Consigli d’Amministrazione, non provengono dalla DC, dal PCI o dal MSI, ma dalla Banca d’Italia, dall’IRI o da qualche covata di giovani manager arrembanti.
Certo, mi rendo conto che la politica tradizionale non è stata sempre all’altezza della situazione, che ha sfornato troppi traffichini, troppi incapaci, troppi azzeccacarbugli. Ma era vecchia politica, politica fai-da-te, senza regole che neanche lontanamente ricordassero un cursus honorum, una selezione che premiasse i migliori e lasciasse al palo i peggiori. Ma, nonostante questo, qualche volta i mediatori della politica – cioè i partiti – riuscivano a formare una classe dirigente, a far emergere il meglio. E comunque – pur con tutti i loro difetti – quei vecchi politici erano mille volte preferibili a questi impresentabili esponenti di una “società civile” che di civile ha solo il nome.
Auspico un ritorno al passato? Certamente no. Ma spero con tutto il cuore che in Italia possa nascere una nuova e capace classe politica, e che questa ci liberi da certa gente che alla politica è stata solo “prestata”. Credo che sia giunto il momento di restituire il prestito. Senza interessi, naturalmente.
Michele Rallo