Il riformatorio renziano e la trasformazione dell’Italia democratica in una dittatura PD(ue)
IL PARERE DI MASSIMO VILLONE, EX SENATORE E COSTITUZIONALISTA EMERITO
“Abbiamo raggiunto un livello molto basso e molto pericoloso. Pensavo fosse impensabile aprire la via a una Costituzione non condivisa. È gravissimo: l’esito rischia di essere la debolezza costituzionale. Non capisco come si possa pensare di arrivare a una modifica radicale della Carta con maggioranze risicate e raccogliticce. Si pensa di sostituire De Gasperi, Nenni e Togliatti con Verdini”.
Definisce la riforma “pericolosa”. Perché?
Perché una Costituzione non condivisa è una Costituzione intrinsecamente debole. Ne risente la stabilità complessiva del Paese. Le Costituzioni si avvertono quando ce n’è mancanza. Quando c’è una Carta forte, quasi non ce ne rendiamo conto, perché le cose vanno come devono andare: i diritti sono garantiti, le libertà esercitate, i poteri in equilibrio. Quando le regole costituzionali non sono condivise, invece, tutto è a rischio.
È il caso della riforma renziana?
Andiamo verso un sistema in cui qualsiasi maggioranza in Parlamento, gonfiata da un sistema elettorale inaccettabile come l’Italicum, potrebbe farsi la sua Costituzione. Chi vince le elezioni si fa le sue regole, le sue architetture: basta il premio di maggioranza e qualche piccola aggiunta, che si costruisce con i soliti cambi di casacca, mette a rischio il Paese. Lo scenario purtroppo è questo.
Lo scontro parlamentare si consumerà sul Senato elettivo. È una battaglia giusta?
Sì. Renzi restringe gli spazi democratici con un Senato non elettivo in un momento storico in cui non solo c’è voglia di partecipare, ma c’è pure necessità di farlo. È un periodo di stravolgimento degli equilibri socio economici, in un Paese diviso, con differenze aumentate, divaricazioni territoriali che crescono giorno per giorno, i diritti sono sempre meno garantiti. Si può rispondere aumentando la partecipazione e la condivisione delle scelte politiche, oppure scegliendo la soluzione dell’uomo solo al comando.
I fautori della riforma sostengono che in questo modo si garantisce stabilità.
È un’illusione. Appena girano i sondaggi e cambia il vento, scompare anche la forza di chi ha imposto queste scelte. Quella di chiudere gli spazi democratici è una scelta politica precisa, ma è politicamente sbagliata e intrinsecamente stupida. Con i consigli regionali che eleggono i senatori, oggi, il Pd potrebbe contare su un blocco granitico anche a Palazzo Madama. Le Camere elettive sono le uniche che possano assicurare una vicinanza della politica al Paese reale. Ho fatto il parlamentare per 4 legislature. Tre volte col Mattarellum e una col Porcellum. La distanza tra l’essere eletto e nominato è abissale. Con la riforma avremmo una Camera in cui gran parte dei deputati sono catapultati col voto bloccato e un Senato di nominati. In pratica, un Parlamento che non rappresenta nessuno. A cosa servirebbe? Solo ad esaltare l’egemonia dell’esecutivo e soprattutto di chi lo controlla: il leader di partito.
Per l’attuale premier è la tempesta perfetta, o no?
È il renzismo tradotto nelle istituzioni. Un dominio che si ripercuote a catena sugli organi di garanzia, sulla Corte costituzionale, sul capo dello Stato. Un disegno politico che poteva essere quello di Gelli, né più ne meno. Quello che sta accadendo stravolge tutta la storia costituzionale di questo Paese, non solo quella di sinistra.
Qualcuno le risponderebbe che dice sempre di no, che non vuole cambiare il Paese.
Il discorso di Renzi, che l’Italia sia stata bloccata tra berlusconismo e antiberlusconismo, è sintomatico del suo modo di pensare. Io penso invece che l’inerzia di questo Paese sia stata determinata dal confronto tra il berlusconismo doc e dal semi-berlusconismo della sinistra, che si è dissolta e ha abbandonato tutte le sue radici, le ha recise con il machete. La responsabilità storica, gravissima, è del gruppo dirigente della sinistra che ha dimenticato la sua storia.
Il restringimento degli spazi democratici di cui parla, per Renzi, è rischioso in termini di consenso?
Temo che sui temi istituzionali non ci sia sufficiente sensibilità nell’opinione pubblica. Ma poi c’è l’attacco al mondo della scuola e ci sono i tentativi di sistematica deligittimazione dei sindacati e dei corpi intermedi. Devono mettersi in moto le energie per tornare a una partecipazione democratica effettiva. Bisogna farlo adesso. Se queste riforme passano, se ne riparlerà tra altri vent’anni.
Intervista a cura di Adriano Colafrancesco