Beirut, una nuova rivoluzione colorata in corso? (con la scusa dell’immondizia)
Da settimane la capitale del Libano è sconvolta da manifestazioni antigovernative. Il pretesto iniziale per
queste manifestazioni, che appaiono ben organizzate e coinvolgono una media di 20.000 o 25.000 persone, è la mancata raccolta dei rifiuti che ha causato indubbiamente disagi alla cittadinanza. Ma è credibile che per un motivo del genere vada avanti da settimane una protesta politica che ora chiede le dimissioni del governo e nuove elezioni? E’ possibile che solo per questo i manifestanti invochino una “rivoluzione” che sconvolga gli equilibri faticosamente raggiunti con gli accordi di Taez tra le fazioni che posero fine alla guerra civile degli anni ’70?
Il Libano è da molti mesi bloccato
dal fatto che i due principali schieramenti contrapposti non riescono ad
accordarsi sulla nomina del nuovo presidente che per costituzione deve essere
un cristiano. Lo schieramento definibile come “progressista” che aveva
finora governato è quello che fa capo ai partiti sciiti
Hezbollah e Amal, ed ai cristiani nazional-progressisti del generale Aoun.
Questo schieramento è su posizioni antisioniste e filo-siriane.
Le agguerrite milizie di
Hezbollah, sostenute dall’Iran, dopo aver clamorosamente costretto Israele a
ritirarsi dal Libano nel 2000 e dopo aver frustrato nel 2006 l’ultimo tentativo
di Israele di invadere il Libano, combatte ora a fianco dell’esercito siriano e
si oppone ai tentativi dei jihadisti provenienti dalla Siria (come l’ISIS o Al
Nusra) di fare irruzione anche in Libano. Lo schieramento opposto è quello che
fa capo al partito sunnita legato all’Arabia Saudita, egemonizzato dalla
potente famiglia Hariri. Suoi alleati sono i cristiani di estrema destra (già
responsabili del massacro di Sabra e Chatila del 1982), ora guidati dal
famigerato fascistoide Geagea. Questo schieramento appoggia i cosiddetti
“ribelli” siriani e flirta con Israele e con gli USA.
A questo punto non è difficile
intravvedere nei disordini in corso un nuovo tentativo di “rivoluzione
colorata” come quelli già attuati nel
colpo di stato contro il governo di Milosevic in Yugoslavia tramite il gruppo
pseudo-rivoluzionario e studentesco “Otpor”; in Ucraina con la
“rivoluzione arancione” che
portò al potere Yuschenko e la Timoschenko e poi, dopo il fallimento di questa
“rivoluzione”, con il colpo di stato di piazza Maidan; in Georgia con la
“rivoluzione delle rose”, ecc. Anche le cosiddette “primavere arabe” rientrano
in questo schema: sono state mandate in piazza persone inizialmente attratte da
parole d’ordine formalmente “progressiste”, che poi si sono trasformate in
incubi jihadisti appoggiati dall’esterno, come in Libia o in Siria, o hanno
portato al potere la “fratellanza musulmana” come in Egitto.
Anche a Beirut i manifestanti, organizzati presumibilmente
dalle solite ONG “umanitarie” internazionali che in realtà sono iscritte nel
libro paga della CIA, esibiscono slogan “progressisti” come quello di
richiedere che il sistema elettorale non si basi più sulle tre confessioni
principali (musulmani sciiti o sunniti, e cristiani) ma diventi laico. Dietro
questi paraventi ideologici atti a sedurre settori della gioventù borghese
progressista si intravvedono però le mire dei monarchi oscurantisti dell’Arabia
Saudita e degli altri emirati feudali del Golfo, e dei loro alleati come USA,
Turchia, Francia e Gran Bretagna. In questa fase i disordini servirebbero solo
a destabilizzare il governo libanese che finora, anche perché spaventato dalla
prospettiva di un’estensione della ribellione jihadista anche al Libano, ha di
fatto sostenuto il governo di Bashar Al-Assad che resiste ai jihadisti in
Siria.
Anche lo slogan assunto dai manifestanti testimonia
dell’attenta programmazione della protesta che certamente gode del supporto di
abili agenzie pubblicitarie come già le precedenti “rivoluzioni colorate”. A
Belgrado lo slogan unificante era “Resistenza!”, a Kiev “E’ ora!”, a
Tiflis “Basta!” . A Beirut è “YOU STINK!”, ovvero
“voi puzzate” rivolto al governo libanese (giocando sulla presenza della
spazzatura in strada, fenomeno “normale” per
un napoletano, come chi scrive). La strategia del caos in tutto il
Vicino Oriente portata avanti dagli USA va avanti inesorabilmente. Ma il Libano
degli Hezbollah è un osso duro, così come la Siria di Bashar Al-Assad che
resiste ostinatamente da 4 anni e mezzo ad una potente coalizione
internazionale (cosiddetti “Amici della Siria”, oggi “Gruppo di Londra) che
vorrebbe fare a pezzi il paese, come già riuscito in Libia e – parzialmente -
in Iraq.
Vincenzo Brandi