LE SPESE MILITARI NEL MONDO CRESCONO E FOMENTANO GUERRE E PERICOLI PER L’UMANITA’
Nel momento in cui si vanno considerando le statistiche “quantitative” sulle spese militari, in Italia, in Europa, nel mondo, vanno poste alcune premesse “situazionali” utili alla comprensione del loro significato “qualitativo”, se l’approccio adottato non vuole essere superficiale, miope, acritico.
Le fonti di partenza dei dati sono, naturalmente, i ministeri, gli enti governativi ed intergovernativi, o organismi internazionali come la NATO e l’ONU con varie agenzie specifiche.
Vi sono poi istituti, think thank, centri di ricerca, etc, che lavorano su quei dati, li scremano e li verificano criticamente, li comparano, li mettono in correlazione, li elaborano.
Vi sono due principali “annuari” internazionali cui tutti gli addetti ai lavori fanno riferimento:
1- l’IPRI YEARBOOK che si può reperire sul sito dell’International Peace Research Institute di Stoccolma (www.ipri.org)
2- il MILITARY BALANCE dell’IISS, International Institute of Strategic Studies di Londra (https://www.iiss.org/).
Una prima premessa la possiamo porre subito: l’intervento militare possiamo considerarlo una cura ex post – il più delle volte sbagliata oltre che dolorosa – a problemi che hanno cause ex ante nella ingiustizia, nella sfiducia, nella paura: è stato calcolato che si spende 1 euro per la prevenzione dei conflitti armati contro almeno 10.000 euri per fare le guerre (vedi Alberto L’Abate, “L’arte della pace”, Centro Gandhi edizioni, 2014).
Sarebbe meglio lavorare sulle cause che non impegnarsi sugli effetti con soluzioni draconiane e violente, che spesso gettano ulteriore benzina sul fuoco dei conflitti.
Se ci riflettiamo bene, la causa principale della crisi migratoria, per la parte che sta ora allarmando l’Europa, è nel caos e nella destabilizzazione che gli Stati Uniti e gli stessi governi europei hanno contribuito a provocare in Libia, Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen e Somalia proprio con i loro interventi militari.
Perché dimenticare che la Libia è implosa dopo il 2011 proprio per l’intervento iniziato dalla Francia e dalla Gran Bretagna, che hanno poi trascinato dietro di sé la NATO su mandato dell’ONU?
Lo stesso possiamo dire della Siria: dopo la campagna militare condotta dagli Stati Uniti e dai loro alleati sunniti per rovesciare il regime baathista si è creato il subbuglio da cui è nato l’ISIS e si è arrivati alla cifra di 10-12 milioni di persone (per ora) tra sfollati interni e rifugiati all’estero.
La prevenzione dei conflitti armati è importante e – stimolato dalle prese di posizione in questo senso degli stessi segretari generali dell’ONU Boutros-Ghali e Kofi Annan – uno studio dell’OECD nel 2009 ha messo in rilievo che essa sicuramente costa meno di una risposta “tardiva” ai conflitti violenti e alla fragilità degli Stati (si vada su: www.operationspaix.net).
Nel lavoro di prevenzione dei conflitti militari va stabilita la distinzione, fatta negli studi di medicina, tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria: la primaria – il peacebuilding – è quella determinante, perché cerca di eliminare le cause di fondo che provocano i conflitti armati. La secondaria – il peacekeeping – si occupa del conflitto allo stato incipiente, mentre la terziaria – il peacemaking – è quella che si applica alla “convalescenza”, dando stabilità allo stato di pace con l’evitare il ritorno della violenza. Possiamo considerare l’intervento armato in un conflitto, anche quello teoricamente e praticamente più giusto, come un fallimento della prevenzione.
La prevenzione nonviolenta dei conflitti si concretizza, nella utile schematizzazione fatta da Alberto L’Abate, in sette tipi di azione: 1) la segnalazione precoce e l’intervento rapido; 2) le missioni per l’accertamento dei fatti; 3) la diplomazia preventiva anche con un ruolo attivo delle organizzazioni di base; 4) le ambasciate di pace; 5) la costituzione di corpi civili di pace; 6) la negoziazione e la mediazione dei conflitti armati; 7) la riconciliazione dopo i conflitti armati.
Quanto sopra prospettato rimanda all’idea che possa esistere una difesa senza armi, una difesa sociale, popolare, nonviolenta, attingibile in modo completo dopo una fase di “transarmo”, come quella che propugnano gli obiettori alle spese militari e le associazioni che promuovono la loro Campagna, attiva fin dal 1982.
Tale difesa, a ben vedere, sarebbe anzi quella più coerente con l’attuazione dell’art. 11 della Costituzione italiana, anche se la sua prima interpretazione starebbe nell’adozione di un modello di “difesa difensiva”.
Una difesa quindi non integrata nell’ombrello nucleare NATO, che non si armi con le portaerei e gli F-35 per gli interventi a lungo raggio “fuori area”, ma che badi solo a rispondere alle eventuali aggressioni entro il territorio nazionale, decentralizzata e democratizzata, probabilmente ci costerebbe subito la metà.
Potremmo liberare tante risorse con cui si combatterebbero, se bene impiegate, le più pressanti minacce alla vita odierna degli italiani: disoccupazione, povertà, mafie, degrado ecologico. Ed allo stesso tempo, con più soldi a disposizione, potremmo governare in modo razionale e lungimirante anche gli effetti immediati di quella che i media chiamano “emergenza migranti”.
Andiamo ora ad esporre sinteticamente le cifre sui bilanci militari, facendo riferimento alle elaborazioni del SIPRI di Stoccolma.
Per quanto riguarda la spesa militare italiana è opportuno fare comunque riferimento ad un documento ufficiale: il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il 2015-2017, che si può rinvenire alla URL: http://www.difesa.it/Approfondimenti/Bilancino2010/Documents/DPP%202015-2017.pdf
Un altro documento che occorre consultare è il Libro Bianco della Difesa: http://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/20150429Libro_Bianco.aspx
La spesa militare italiana, secondo il SIPRI, ammonta nel 2014 a 29,2 miliardi di dollari, che va oltre il budget ufficiale (18,2 miliardi di euro) perché vi si aggiungono altre voci extra ministero della difesa, che gravano sul Ministero dello sviluppo economico per la costruzione di navi da guerra, cacciabombardieri e altri sistemi d’arma e, per le missioni militari all’estero, in capo al del Ministero dell’economia e delle finanze.
L’Italia è al 12° posto mondiale come spesa militare ma non raggiunge l’obiettivo NATO del 2% del PIL (dovrebbe spendere almeno 30 miliardi di euro).
I dati del SIPRI non coincidono con quelli del nostro Ministero della Difesa.
La Ministro Pinotti si lamenta nel DPP 2015-2017 che “tra il 2010 e il 2017, la Difesa ha visto diminuire le consistenze iniziali delBilancio dei settori Investimento ed Esercizio, di complessivi 1.858,9 M€”.
Sempre nel DPP leggiamo: “Lo stanziamento complessivo per il 2015 ammonta a 19.371,2 M€ che, rispetto al bilancio approvato dal Parlamento per il 2014, sostanzia un decremento di -941,1 M€, con una variazione pari a -4,6%. Gli stanziamenti complessivi per il 2016 e il 2017 ammontano, rispettivamente, a 18.861,3 M€ e 18.847,4 M€. Con riferimento al PIL nominale per il 2015, lo stanziamento complessivo per la Difesa registra un rapporto percentuale dell’1,179%”.
Una cifra realistica su quanto andiamo a spendere effettivamente nel 2015 a scopo militare potrebbe essere 23 miliardi di euro circa: i 19,4 ufficiali più i 2 degli investimenti in sistemi d’arma, più gli 1,4 per le missioni all’estero.
Vi sono alcune distorsioni nella struttura di spesa che fanno delle FF.AA italiane una specie di “esercito della Via Paal”: nel romanzo per ragazzi di Ferenc Molnar la banda dei monelli di Budapest aveva tutti graduati ed un solo soldato semplice, il poveretto sempre sotto punizione che muore di polmonite per recuperare la bandiera. Così abbiamo 95mila graduati per 83mila militari di truppa e ben 476 tra generali e ammiragli. Gli Stati Uniti hanno, per fare un paragone, 900 generali per un milione e mezzo di militari!
Altri problemi sono individuati da una elencazione dell’ex Ammiraglio Falco Accame: “1) la pletorica struttura territoriale, in parte necessaria per giustificare l’esistenza di Comandi per la struttura di vertice (una struttura territoriale che risale ancora a quando era necessario inviare un messaggero a cavallo da Roma alla periferia per portare una notizia); 2) affidare l’attività di parata a pattuglie di acrobazia aerea costituite da piloti civili e quindi non incidenti sui bilanci della Difesa, mentre oggi un intero aeroporto (Rivolto), con centinaia di persone, oltre ai piloti degli aerei, gravano sulle spese del bilancio militare; 3) sospendere (almeno per qualche anno (mettendo in naftalina) l’attività della portaerei da 26 mila tonnellate, un “lusso militare” che l’Italia di questi tempi, non può permettersi; 4) una drastica riduzione delle nostre “Forze di proiezione”, con un ridimensionamento sostanziale di contingenti all’estero mantenuti più per questioni di rappresentanza che di esigenze operative”.
Torniamo al rapporto del SIPRI. Di gran lunga la superpotenza anche in termini quantitativi sono gli Stati Uniti, con una spesa ufficiale nel 2014 di 610 miliardi di dollari. (Nota necessaria: il fatto che gli USA siano la potenza egemone a livello mondiale non significa che vanno concepiti come l’unico attore agente confinando tutti gli altri nel ruolo di semplici re-agenti. I conflitti non sono creati, programmati e gestiti nell’unico laboratorio della CIA: alcuni, ad esempio quello tra sunniti e sciiti in Medio Oriente, risalgono a ben prima che Colombo “scoprisse” l’America!).
Se si sta ai soli bilanci dei ministeri della difesa, la spesa militare dei 28 paesi della NATO ammonta, secondo una sua statistica ufficiale relativa al 2013, ad oltre 1.000 miliardi di dollari annui, il che significa il 56% della spesa militare mondiale.
In realtà la spesa NATO è superiore, soprattutto perché al bilancio del Pentagono vanno aggiunte spese militari contabilizzate su altri ministeri.
Manlio Dinucci, sul Manifesto del 14 aprile 2015, così calcola: dobbiamo sommare ai 610 miliardi la spesa per le armi nucleari (12 miliardi di dollari annui), iscritta nel bilancio del Dipartimento dell’energia; quella per gli aiuti militari ed economici ad alleati strategici (47 miliardi annui), iscritta nei bilanci del Dipartimento di Stato e della USAID; quella per i militari a riposo (164 miliardi annui), iscritta nel bilancio del Dipartimento degli affari dei veterani. Vi è da mettere in conto anche la spesa dei servizi segreti, la cui cifra ufficiale (45 miliardi annui) sarebbe solo ciò che emerge.
La spesa militare reale degli Stati Uniti, per Dinucci, salirebbe quindi a circa 900 miliardi di dollari annui, che farebbero un quarto dell’intero bilancio statale: supererebbe la metà di quella mondiale, che secondo il SIPRI ammonta complessivamente a 1.776 miliardi di dollari!
Nella statistica del SIPRI, dopo gli Stati uniti vengono la Cina, con una spesa stimata in 216 miliardi di dollari (circa un terzo di quella ufficiale Usa), e la Russia con 85 miliardi (circa un settimo di quella Usa). Seguono l’Arabia Saudita, la Francia, la Gran Bretagna, l’India, la Germania, il Giappone, la Corea del sud, il Brasile, l’Italia, l’Australia, gli Emirati Arabi Uniti, la Turchia.
La spesa complessiva di questi 15 paesi ammonta, nella stima del SIPRI, all’80% di quella mondiale.
La statistica evidenzia il tentativo di Russia e Cina di accorciare le distanze con gli USA: nel 2013–14 le loro spese militari sono aumentate rispettivamente dell’8,1% e del 9,7%. Aumentate ancora di più quelle di altri paesi, tra cui: Polonia (13% in un anno), Paraguay (13%), Arabia Saudita (17%), Afghanistan (20%), Ucraina (23%), Repubblica del Congo (88%).
Ogni minuto si spendono nel mondo con scopi militari 3,4 milioni di dollari, 204 milioni ogni ora, 4,9 miliardi al giorno.
Le elaborazioni del SIPRI attestano che la spesa militare mondiale (calcolata al netto dell’inflazione per confrontarla a distanza di tempo) è risalita a un livello superiore a quello dell’ultimo periodo della guerra fredda: la corsa alla guerra è ripresa ed essa uccide non solo perché porta a un crescente uso delle armi, ma perché brucia risorse vitali necessarie alla lotta per la sopravvivenza degli esseri umani e dell’umanità.
Una sopravvivenza che è in bilico anche e soprattutto perché i conflitti militari oggi come oggi possono costituire elemento di drammatizzazione e di innesco per quella follia che ha nome di “deterrenza nucleare”.
Non solo il grande incidente nucleare, in ambito civile, è sempre dietro l’angolo, intendendo, ad esempio, il guasto al reattore che può fondere il nocciolo o l’incendio al deposito di scorie (in proposito possiamo tirare in ballo la catastrofe annunciata di Saluggia a rischio alluvione); in ambito militare, è duro da ammettere, ma è riconosciuto internazionalmente a livello ufficiale, la guerra nucleare tra potenze grandi e meno grandi può scoppiare, specie quando la tensione internazionale è complicata ed acuta, in ogni momento, persino per caso o per errore! I governanti ne sono pienamente informati, tanto è vero che invitano Erich Schlosser, l’autore del pregevole e documentatissimo “Comando e Controllo” (edizione italiana, Mondadori, 2015), a svolgere relazioni ufficiali nelle sedi ONU sulla affidabilità molto relativa dei sistemi di gestione degli apparati nucleari. Le circa 2000 testate, su un totale di oltre 16.000, in perenne stato di allerta sono la rappresentazione più evidente di una spada di Damocle che pende su 7 miliardi di esseri umani rendendoli ostaggio del folle gioco della deterrenza (“minaccio –implicitamente – l’uso per evitare l’uso”). La situazione del confronto “atomico”, se proprio dobbiamo semplificarla, non è quella, tutto sommato di stallo, di due personaggi ostili che si fronteggiano e si tengono a bada con le pistole spianate e puntate l’un contro l’altro con il colpo in canna e senza la sicura. E’ molto peggio: dobbiamo pensare a un numero di dinamitardi al chiuso dentro una polveriera (attualmente nove incendiari ufficiali) con i candelotti accesi che si gridano l’un l’altro: “Spegni prima tu la miccia!”. E’ evidente che è solo questione di tempo e prima o poi un candelotto esploderà e si finirà per saltare tutti per aria!
La “battaglia” politico-culturale (ci si scusi l’uso della terminologia militare, ma anche Gandhi si riferiva alla nonviolenza come all’”equivalente morale della guerra), di vitale importanza e di prepotente urgenza allo stesso tempo e modo, allora, è quella della denuclearizzazione, sia civile che militare.
La società civile che si è ritrovata come “base” di attivisti a Vienna il 6 e 7 dicembre del 2014, a ridosso del vertice ufficiale degli Stati l’8 e il 9 dicembre, fa capo a molti network internazionali (ad esempio alla WILPF) ed in Italia è collegata all’appello postumo “ESIGETE! il disarmo nucleare totale” di Albert Jacquard e Stéphane Hessel, il partigiano di “Indignatevi”!
L’appello è stato pubblicato dalla EDIESSE nel marzo 2014 ed è diventato una iniziativa politica di pressione sul governo italiano (”impegnati per il bando delle armi nucleari!”) con la petizione telematica che si trova alla URL: http://www.petizioni24.com/esigiamo; ma anche una sollecitazione al Segretario Generale dell’ONU: http://www.petizioni24.com/dirittoaldisarmonucleare.
Appendice – dal DPP 2015-2017 del Ministero della Difesa
IMPEGNO OPERATIVO ITALIANO NELL’UNIONE EUROPEA E NELLA NATO
Gli Stati membri dell’UE sono impegnati a rafforzare la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) dell’Unione europea attraverso lo sviluppo delle capacità civili e militari di pianificazione e condotta per la prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi, alla luce della nuova architettura europea consolidatasi a seguito dell’adozione del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 ed entrato in vigore nel dicembre 2009.
La Difesa, in continuità con gli obiettivi stabiliti per il semestre di Presidenza
italiana del Consiglio dell’UE del 2014 (II semestre) e nell’ambito del dibattito che ha seguito il
Consiglio Europeo sui temi della Difesa di dicembre 2013 ed in vista di quello previsto per
giugno 2015, continuerà – in collaborazione principalmente con il Ministero degli Affari Esteri e
della Cooperazione Internazionale – a supportare l’azione sistemica volta ad approfondire la
dimensione europea della Sicurezza e Difesa. L’impegno della Difesa si sviluppa nella
convinzione, derivante dalla tradizione europeista nazionale, che essa costituisca un
completamento necessario e imprescindibile del processo di ulteriore integrazione
continentale. In ciò, l’Italia auspica, in prospettiva di medio-lungo periodo, un impulso, anche
grazie al recente avvicendamento nella carica di Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la
Politica di Sicurezza dell’Unione (AR).
Durante gli eventi di PSDC sviluppatisi nel corso del semestre di Presidenza
nazionale, l’Italia ha fattivamente contribuito al dibattito in corso sul futuro della Difesa
europea, con particolare riferimento ai finanziamenti (riforma del meccanismo “Athena”), alla
cooperazione civile-militare, alla definizione del Piano d’Azione per l’implementazione della
Strategia di Sicurezza Marittima Europea (EUMSS), all’individuazione di efficaci sinergie nel
campo dello sviluppo congiunto dei Remotely Piloted Aircraft Systems (RPAS), fino ad arrivare al ruolo della cyber defence nella cornice di sicurezza e difesa europea.
L’Unione Europea costituisce indubbiamente una particolarità nel panorama
degli attori strategici globali in quanto è l’unica organizzazione a poter accompagnare un
intervento militare di stabilizzazione con una panoplia di altre misure, quali la ricostruzione
post-crisi, l’institution building, il sostegno alla ricostruzione del tessuto sociale e politico di un Paese o di un’area, il sostegno alla ripresa economica. Le discussioni in quest’ambito, tuttavia, non devono prescindere dalla necessità di poter disporre di uno strumento militare credibile e adeguato alla situazione di sicurezza internazionale attuale.
Alla luce di ciò, il filo conduttore che dovrà guidare l’azione della Difesa in vista
del Consiglio Europeo 2015 – sicura occasione per misurare i risultati conseguiti sui vari work
strands fissati in dicembre 2013 – si incentrerà sul perseguimento degli obiettivi, già identificati per la Presidenza nazionale del Consiglio dell’UE nel 2014 e di seguito riportati:
- il rafforzamento del partenariato strategico NATO-UE, che continua a costituire la
cornice transatlantica per la difesa collettiva ed un forum essenziale per le consultazioni
e le decisioni sulla sicurezza tra gli Alleati;
- il potenziamento delle capacità di pianificazione e condotta delle Operazioni/Missioni nel contesto della Politica di Sicurezza e Difesa Comune, nell’ottica dell’integrazione tra gli strumenti e le strutture al fine di un’applicazione dell’approccio multidimensionale dell’UE, da inquadrarsi nell’ambito della revisione del Servizio Europeo di Azione Esterna che sarà avviata entro la fine del 2015. Si inserisce in tale alveo la promozione
dell’iniziativa nazionale volta all’individuazione di prospettive per migliorare le strutture
di comando e controllo delle missioni militari non executive;
- il rafforzamento delle capacità di intervento rapido e di risposta alle crisi dell’UE
(con particolare riferimento all’impiegabilità e all’efficacia dell’EU Battlegroup) anche
attraverso la promozione della piena applicazione dell’Art. 44 del Trattato sull’Unione
Europea, che prevede il lancio di una missione o una operazione la cui implementazione
è affidata a uno o più Stati Membri;
- il pieno sostegno all’EU Cyber Policy Framework, tematica che è al centro anche del
programma dell’attuale semestre di Presidenza della Lettonia, che si è avvicendata a
quella italiana conclusasi di recente;
- i seguiti operativi del Piano d’Azione discendente dalla EUMSS approvato nel 2014 –
grazie alla forte accelerazione impressa dalla Presidenza nazionale – deve ora trovare
concreta applicazione da parte degli Stati Membri;
- l’implementazione del documento programmatico “Policy Framework for a long
systematic and long-term defence cooperation”, nonché il pieno supporto e la
partecipazione a varie iniziative, sempre finalizzate alla collaborazione e cooperazione
per lo sviluppo di capacità militari, anche quelle a valenza duale;
- la valorizzazione dell’eccellenza tecnologica europea, garantendo un bilanciato ritorno a
livello nazionale, anche incoraggiando iniziative che rendano più integrata, sostenibile,
innovativa e competitiva la base industriale e tecnologica della Difesa Europea (ETDIB);
- la promozione di forme “standardizzate” di addestramento e di progetti relativi agli RPAS,
con l’EDA nel ruolo di facilitatore, impiegando il Centro d’Eccellenza di Amendola – la cui
valenza è ampiamente riconosciuta anche a livello europeo – valorizzando, in questo
modo, le eccellenze maturate in ambito nazionale.
Le principali operazioni/missioni in corso sono:
‒ ALTHEA in Bosnia Erzegovina: la partecipazione italiana alla missione proseguirà
anche nel 2015 con la sola componente non executive. Quanto detto fatto salvo
eventuali necessità contingenti inerenti al dispiegamento in teatro della riserva – ovvero
dell’Operational Reserve Force Battalion (ORF Bn) – assicurato dal novembre 2012
unicamente dall’Italia, a seguito del ritiro della componente austro-tedesca.
‒ EUPOL Afghanistan (European Police): la missione è volta alla ricostruzione della polizia locale attraverso attività di monitoring, advising e training in favore delle unità dell’Afghan National Police (ANP) e dell’Afghan Border Police (ABP).
- EUBAM Rafah (European Union Border Assistance Mission): missione di assistenza a favore delle Autorità palestinesi nella gestione del valico confinario di Rafah (Rafah Crossing Point – RCP) nella Striscia di Gaza.
‒ EUBAM LIBYA: la missione europea ha l’obiettivo strategico di contribuire allo sviluppo
di una autonoma e sostenibile capacità libica di gestione integrata delle frontiere (IBM -
Integrated Border Management), contribuendo/promuovendo l’approccio olistico al nord
Africa da parte di tutte le organizzazioni internazionali, con particolare riferimento
all’Unione Europea. La missione si prefigge di sostenere, a breve termine, le autorità
libiche nello sviluppo della capacità di sicurezza delle loro frontiere. Tuttavia, la
degenerazione del quadro di sicurezza ha imposto, a luglio 2014, il rischieramento della
missione a Tunisi. Pertanto, allo stato attuale, EUBAM non può operare concretamente
per perseguire i propri obiettivi. Inoltre, l’European Union Political Security Committee si
sta interrogando sui futuri sviluppi della missione, valutando tutte le opzioni possibili –
dalla chiusura, al mantenimento dello status-quo, alla sospensione con presenza
minima. L’Italia, stante la situazione corrente, ha disposto il disimpegno nazionale sino a
quando il quadro di sicurezza in Libia non permetterà il riavvio delle iniziative volte a
conseguire gli obiettivi della Missione.
‒ EUTM Mali (European Union Training Mission) in Mali: missione di training (a favore di n. 4 unità di fanteria maliane e altre unità specialistiche e di supporto) e assistenza alla riorganizzazione della catena di Comando e Controllo (C2) e, in un’ottica più a lungo
termine, alla ristrutturazione delle Forze armate locali, con un’area di operazioni limitata
al sud del Paese. L’Italia attualmente esprime il proprio contributo con una componente
training ed elementi di Staff. Nel mese di novembre 2013, era stata promulgata la
Strategic Review della missione che ha visto come punti principali l’estensione di ulteriori
24 mesi del mandato (sino al 28 maggio 2016); il potenziamento dello Strategic Advice al
Ministero della Difesa e alle Forze armate maliane, l’addestramento di ulteriori n. 4 Battle
Group maliani, e l’addestramento successivo all’impiego operativo dei battle group.
‒ EUCAP Sahel Niger (European Union Capacity Building Mission) in Niger: missione a supporto delle Forze armate e della gendarmeria locale e altre agenzie governative operanti nel settore della sicurezza e controllo del territorio e delle frontiere.
‒ EUCAP Sahel Mali (European Union Capacity Building Mission) in Mali: avviata il 15 aprile 2014, la missione fornisce sostegno addestrativo e assistenza alle tre Forze di sicurezza interna del Mali, segnatamente la Polizia, la Gendarmeria e la Guardia
Nazionale. La missione, pertanto, si affianca ad EUTM Mali che, invece, è destinata al
sostegno alle locali Forze armate. Il contributo alla missione è tratto dalla Forza
multinazionale EUROGENDFOR, composta dalle Forze di Polizia a ordinamento militare
di Italia, Francia, Spagna, Olanda, Portogallo e Romania. L’Italia partecipa alla missione
con un contributo limitato.
- EUTM Somalia (European Union Training Mission): l’Unione Europea ha avviato nel febbraio 2010 una missione militare volta a contribuire alla formazione delle reclute
somale in grado di condurre operazioni militari di livello basico (European Union Training
Mission in Somalia). EUTM Somalia nasce come missione addestrativa, a carattere
prettamente non esecutivo, svolta in contesto permissivo (dal 2010 al 2013 in Uganda e
Kampala). Ha contribuito e sta ancora collaborando agli sforzi della Comunità
Internazionale per la stabilizzazione del Corno d’Africa ed è considerata una delle più
efficaci missioni PSDC, presente nel Corno d’Africa insieme a EUNAVFOR Atalanta e
EUCAP Nestor e molto apprezzata dai partner dell’UE, Stati Uniti, Uganda e UA
(AMISOM) con la quale si interfaccia quotidianamente. La missione ha contribuito a
formare, dall’inizio del suo insediamento, oltre 3.600 soldati somali integrati nelle Forze
di Sicurezza Somale che hanno affiancato AMISOM nelle azioni contro Al Shabaab. Dal
2014, su richiesta del Governo Federale ed in linea con l’orientamento della Comunità
Internazionale, a seguito della Conferenza UE sulla Somalia tenutasi a Bruxelles nel
mese di settembre 2013, il suo baricentro è stato spostato a Mogadiscio, anche grazie al
contributo dell’Italia, e in particolare degli uomini e mezzi totalmente italiani del Security
Support Element.
Il 24 febbraio 2014 la Missione ha inaugurato presso il “Jazeera Training Camp” di
Mogadiscio l’attività di addestramento “Train the Trainers” (TTT).
L’Italia ha ottenuto la posizione di Comandante della Missione per il mandato 2014. Per il
biennio 2013-2014 (EUTM-3) il focus della missione è rimasto l’addestramento
specialistico e il programma “train the trainers” delle truppe somale e la revisione
strategica della missione proposta dal Crisis Management Planning Directorate (CMPD) ed avallata dall’European Union Military Committee (EUMC), ha previsto:
· una maggiore coordinazione tra EUSR (European Special Representative) ed EUTM;
· il trasferimento definitivo (febbraio 2013) delle attività di training a Mogadiscio, a cura
del personale europeo e di quello somalo che ha superato i corsi T3 (corsi “train the
trainers”) organizzati da EUTM. In pratica, l’attività delle unità di EUTM si sostanzia in
mentoring/assistance a favore degli istruttori somali;
· la predisposizione di un’attività di assistance/mentoring nei confronti degli incarichi di
vertice della Difesa (Ministro e capo di SMD), al fine di dare avvio al progressivo
consolidamento di tali strutture centrali.
Inoltre, alla fine del 2014, è stata approvata la strategic review, con la quale si gettano le
basi per creare le condizioni per un allargamento del mandato, una maggiore
integrazione tra le missioni presenti nel Corno d’Africa ed infine l’estensione del mandato
sino alla fine del 2016.
L’Italia ha riottenuto il comando della missione che deterrà sino a marzo 2016.
A margine delle summenzionate attività l’Italia, oltre ad assicurare le posizioni apicali di
Mission Commander e di Consigliere Strategico del Ministro della Difesa in ambito
EUTM, sta finalizzando degli accordi bilaterali (MoU) che prevedono diverse iniziative
messe in campo dalla Difesa e dal sistema paese.
- EUCAP NESTOR (European Union Capacity Building Mission) in Corno d’Africa: la missione ha l’obiettivo di assistere lo sviluppo nel Corno d’Africa e negli Stati dell’Oceano Indiano occidentale di una capacità autosufficiente per il costante rafforzamento della loro sicurezza marittima, compresa la lotta alla pirateria, e della governance marittima.
L’EUCAP Nestor ha la focalizzazione geografica iniziale su Gibuti, Kenya, Seychelles e
Somalia e potrà essere altresì dispiegata in Tanzania, su invito delle relative autorità.
La missione ha avviato il Mission Headquarter in Gibuti raggiungendo la Full Operational Capability (FOC). La FOC è stata raggiunta anche alle Seychelles iniziando il mentoring, l’advice ed il training. Il paese si è rivelato ricettivo nell’incrementare il sistema di Guardia Costiera, ivi compresa la forza aerea, pertanto è un partner regionale privilegiato nel contrasto alla pirateria. Le capacità sono già superiori a quelli degli altri Paesi della regione e si sta tentando di elevarne il livello da un ruolo di beneficiario a un ruolo di mentore/esempio regionale in collaborazione con EUCAP Nestor.
- EUNAVFOR ATALANTA (operazione antipirateria): attività condotta nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano, cui l’Italia implementerà il proprio contributo per il 2015
prevedendo un’unità navale per 12 mesi, nonché con personale presso gli Headquarters.
- EUMM Georgia (European Union Monitoring Mission): la missione è finalizzata ad osservare la situazione sul terreno, riportando gli incidenti e, in generale, a fornire un importante contributo nella riduzione delle tensioni tra le parti coinvolte al fine di
migliorare la situazione di sicurezza. L’Italia ha partecipato alla missione – con un
contributo limitato – fino al primo trimestre 2015.
- EULEX Kosovo (European Union Rule of Law Mission): la missione ha lo scopo di assistere le istituzioni kosovare (autorità giudiziaria e di polizia) nello sviluppo di capacità autonome tese alla realizzazione di strutture indipendenti, multi-etniche e basate su
standard internazionali riconosciute a livello europeo. L’Italia partecipa alla missione con
un contributo limitato.
- EUFOR CAR (European Union Force in Repubblica Centrafricana): la missione EUFOR CAR ha il compito di contribuire alla stabilizzazione dell’area di Bangui
instaurando e mantenendo un ambiente sicuro, per le operazioni umanitarie e per la
protezione della popolazione. La missione è stata lanciata Il giorno 1 aprile 2014 sulla
base della Risoluzione delle Nazioni Unite 2134 del 28 gennaio 2014, ex Capitolo VII
della Carta, per un periodo iniziale di 6 mesi, successivamente esteso di ulteriori 3 mesi.
L’Italia si è resa disponibile a partecipare, oltre che con il personale inserito negli HQs,
anche con una unità Genio (capacità considerata fondamentale per il lancio della
missione). La missione si è conclusa a marzo, effettuando il passaggio di consegne alla
nuova missione della Unione Europea nell’area EUMAM RCA, missione a cui l’Italia ha
valutato di non partecipare.
- EU Delegation Tripoli: il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (European External Action Service – EEAS) mira a rendere l’azione esterna dell’UE più coerente ed
efficiente, aumentando in tal modo l’influenza dell’Unione europea nel mondo.
Nell’assistere l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri ad adempiere il suo
mandato, l’EEAS opera in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri. In
tale ambito, EU Delegation TRIPOLI svolge il delicato compito di instaurare uno stretto
legame tra l’UE e le Autorità libiche, nonché di supportare la popolazione libica in uno
sforzo congiunto finalizzato a basi legali solide e a principi democratici e di tutela dei
diritti umani.
Inoltre, l’Italia è attivamente impegnata a migliorare le capacità di pianificazione
e condotta (P&C) delle operazioni militari e delle missioni civili e in tale ottica rileva lo sviluppo
dell’Operations Centre dello Staff militare dell’Unione Europea (EUMS), quale primo passo di un processo per la realizzazione di una capacità di P&C permanente a Bruxelles.
NATO: Al Summit di Lisbona (2010) i Capi di Stato e di Governo Alleati hanno
approvato la riforma per riorganizzare la Struttura di Comando e le procedure di
funzionamento del Quartier Generale. Lo scopo era quello di ridurre i costi ed ottimizzazione le
funzioni, in modo tale da poter assolvere più efficacemente ai tre compiti principali derivanti dal
nuovo Concetto Strategico, ovvero la collective defence, il crisis management e la cooperative security. La crisi tra la Russia e l’Ucraina, verificatasi agli inizi 2014 e culminata con l’annessione da parte russa della penisola di Crimea, ha riportato l’attenzione della NATO sulla effettiva capacità dell’Alleanza di assolvere il compito primario della difesa collettiva e, in particolare, di proteggere e rassicurare gli Alleati orientali (Repubbliche baltiche e Polonia in primis) direttamente confinanti con la Russia e più esposti a pressioni di tipo “ibrido”.
Il Summit di Newport (settembre 2014) ha – conseguentemente – sancito ufficialmente il ritorno ad una maggiore attenzione della NATO alla difesa del territorio e delle popolazioni alleate, con particolare riferimento ai pericoli e alle minacce provenienti dai fianchi est e sud. A tale proposito, è stato deciso di implementare un piano di risposta rapida denominato Readiness Action Plan (RAP) che, tra i suoi elementi principali, prevede la revisione dello strumento di risposta della NATO (NATO Response Force – NRF) e la costituzione di un contingente ad altissima prontezza operativa, denominato Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), capace di intervenire all’interno ovvero oltre i confini della Area di responsabilità alleata con brevissimo preavviso. In siffatto contesto, l’Italia ha reso nota agli Alleati la propria disponibilità a ricoprire il ruolo di “Framework Nation”.
Il perdurare della crisi finanziaria globale, che aveva già reso difficoltoso il
percorso per conseguire gli obiettivi definiti nel 2010, potrebbe incidere anche sulla piena
implementazione delle decisioni di Newport, sebbene proprio in questo contesto sia stato
richiesto agli Alleati di arrestare il declino – e possibilmente aumentare – le assegnazioni ai
budget per la Difesa. Continua, pertanto, ad assumere un ruolo rilevante l’iniziativa della Smart Defence, nata per stimolare la cooperazione tra i Paesi Alleati attraverso progetti
multinazionali e altre forme innovative di sviluppo capacitivo.
In maniera complementare alla Smart Defence, si colloca anche la Connected
Forces Initiative (CFI), finalizzata a incrementare il livello di interoperabilità tra le forze armate delle nazioni Alleate, dei Paesi partner e di quelli partecipanti alle operazioni NATO ed ai vari programmi di cooperazione tramite il ricorso ad esercitazioni joint complesse dette High Visibility Exercise (la prima esercitazione di questo ciclo sarà la Trident Juncture 2015, alla quale parteciperanno le forze di NRF 16. L’Italia sarà Host Nation insieme a Spagna e Portogallo) e ad un migliore utilizzo della tecnologia. L’attività assume ancor più rilevanza in considerazione che con la fine dell’Operazione ISAF nel 2014 stanno diminuendo
tutte le attività specificamente mirate all’addestramento ed alla interoperabilità delle truppe
alleate e dei Paesi partner impiegate nel teatro afghano.
Nel 2014 è stata anche avviata l’iniziativa del Framework Nations Concept
(FNC), finalizzata allo sviluppo di capacità per l’esecuzione delle operazioni/missioni previste
dal Livello di Ambizione dell’Alleanza, sulla base di assetti/capacità forniti da un gruppo di
Paesi membri che si aggregano a quelle di un Paese guida. L’Italia è leader di un Framework Grouping con Albania, Austria, Croazia, Slovenia e Ungheria.
Anche l’evoluzione del concetto di partnership sta diventando un punto fermo nel
dibattito interno all’Alleanza, dove l’obiettivo del momento è quello di consolidare le idee e i
meccanismi sviluppati a partire da Lisbona e che a Newport hanno avuto un’ulteriore spinta
con il lancio della Piattaforma di Interoperabilità finalizzata a formalizzare il contributo dei
Partner che hanno partecipato maggiormente alle attività dell’Alleanza, in primis alle
operazioni. Per quanto riguarda i rapporti con la Russia, le attività di cooperazione nell’ambito
del NATO-Russia Council (NRC) rimangono sospese, dalla crisi con l’Ucraina.
Le relazioni con le Organizzazioni Internazionali rimangono ancora un obiettivo
importante per la NATO che continua a sentire l’esigenza di rafforzare il proprio impegno nella
ricerca di sinergie, in particolare con l’ONU e l’UE. In tale ambito, l’Alleanza riconosce il
contributo sostanziale dell’ONU per la pace e la stabilità internazionale e sta intensificando il
livello di consultazione politica e le attività di cooperazione pratica relativamente alla gestione
delle crisi, cui le due organizzazioni sono interessate.
In merito all’Unione Europea, l’Alleanza persegue l’obiettivo di realizzare un
maggior livello di cooperazione in un contesto di complementarietà nel campo delle capacità
militari (evitando inutili e costose duplicazioni) e nella gestione delle crisi; ma si auspica una
maggiore concretezza
L’Italia continua a sostenere con determinazione gli sforzi della NATO
impegnandosi in maniera fattiva in molti campi quali:
- l’iter di attuazione della riforma della Struttura di Comando della NATO e delle Agenzie
della NATO che stanno procedendo sulla base delle previste tempistiche. In particolare,
l’Italia segue con attenzione ed è impegnata a supportare i Comandi dislocati sul proprio
territorio (Joint Force Command di Napoli, Deployable Air Command and Control Centre di Poggio Renatico, 2° Signal Battalion del CIS Group, NATO Defence College e, nell’ambito delle Agenzie NATO, il Centro per la Maritime Research and Experimentation di La Spezia e la NATO CIS School di Latina);
- lo sviluppo capacitivo, pilotando alcuni progetti nell’ambito della Smart Defence e, per
quanto riguarda il programma AGS, ospitando la Main Operating Base dei sistemi
unmanned Global Hawk presso la base dell’Aeronautica Militare di Sigonella (CT);
- la CFI, nel cui ambito la Difesa continuerà ad operare al fine di dare concreta attuazione
alle attività correlate e per quanto concerne l’High Visibility Exercise del 2015, che la
vedrà agire, insieme a Spagna e Portogallo, nell’importante ruolo di Host Nation;
- la partnership, con il forte supporto alle iniziative di partenariato condotte dalla NATO e,
in particolare, con i Paesi Balcanici, con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo e del Medio
Oriente.
Ciò premesso, le principali missioni dell’Alleanza Atlantica, attualmente in corso,
che vedono la partecipazione di contingenti italiani, sono:
- Resolute Support Mission (RSM) – Afghanistan: la missione, su invito del governo afgano, riflette gli impegni assunti dalla NATO ai vertici di Lisbona (2010), Chicago
(2012) Newport in Galles (2014), appoggiati dalla risoluzione 2189 (2014), adottata dal
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 12 dicembre 2014, che ha sottolineato
l’importanza del continuo sostegno internazionale per la stabilizzazione della situazione
in Afghanistan e l’ulteriore miglioramento della funzionalità e capacità delle forze di
difesa e sicurezza afgane, per consentire loro di mantenere la sicurezza e la stabilità in
tutto il paese. Resolute Support Mission (RSM) subentra ad ISAF ed è diretta
all’irreversibilità della transizione e all’integrazione regionale e internazionale
dell’Afghanistan. RSM è stata pianificata per essere una “different mission” rispetto ad
ISAF e prevede:
· una differente configurazione di forze per supportare l’Afghanistan al fine di conferire
sostenibilità ed autonomia al Governo di Kabul;
· una natura no-combat, no counter-terrorism/narcotics dell’impegno;
· compiti di advising/assistance/training a supporto delle ANSF con focus al livello
governativo e advising esteso a livello Corpi d’Armata e Comandi di polizia.
- Joint Enterprise – Kosovo Force (KFOR): missione atta alla verifica ed attuazione del Military Technical Agreement in previsione della sottoscrizione di un Peace Settlement.
La situazione estremamente “volatile” sul terreno, condizionata da molteplici fattori
essenzialmente di ordine politico ed etnico soprattutto nell’area Nord del Kosovo, stava
ritardando il passaggio al Gate 3 tanto che è stato definito un nuovo processo di
evoluzione della KFOR posture in base al quale si abbandona il concetto dei Transition
Gates per passare ad un processo più flessibile e graduale di rimodulazione, nonché più
aderente alla situazione in Kosovo, delegando al SACEUR l’autorità di procedere alla
riduzione progressiva delle Forze in Teatro Operativo. Altresì, detto processo assegna al
NAC la possibilità di avviare il processo di concludere l’attuale fase “Deterrence
Presence” e, contestualmente, dare avvio alla “Minimum Presence”. Il contributo
nazionale, significativo anche soprattutto in virtù della leadership della missione, si
ridurrà gradualmente in virtù del citato processo. Quanto detto, fatte salve necessità
contingenti inerenti al dispiegamento in Teatro della Riserva Operativa (ORF Bn italiano).
- Active Endeavour: l’Operazione è volta ad assicurare la presenza della NATO nel
Mediterraneo in funzione antiterroristica assumendo, al contempo, un elevato valore
strategico quale “catalizzatore” dei Paesi mediterranei – e non – non appartenenti alla
NATO in un processo di avvicinamento e stretta cooperazione con l’Alleanza per il
mantenimento di una information dominance nell’area mediterranea. Data la posizione
baricentrica occupata dall’Italia nel bacino mediterraneo, da cui conseguono interessi e
rischi non trascurabili, la presenza nazionale in tale operazione è confermata anche nel
2015.
‒ Baltic Air Policing (operazione di Interim Air Policing a favore dei Paesi Baltici): la
contribuzione nazionale all’Interim Air Policing nel 2015 – oltre a prevedere il ricorrente
contributo per il concorso alla difesa aerea integrata dell’Albania e della Slovenia
confermando l’impiego degli assetti in “Quick Reaction Alert” schierati e/o operanti dalle
basi aeree nazionali – prevedrà la contribuzione alla Baltic Air Policing quale concorso
alleato per la Difesa dello Spazio Aereo della NATO nei cieli dei paesi Baltici. L’Italia ha
da tempo stabilito la propria partecipazione – nel primo quadrimestre del 2015 – alla BAP
con una Task Force dell’AM composta da 4 velivoli EFA 200 Typhoon, dislocati presso la
base aerea di Siauliai (Lituania). Detta contribuzione è reiterata anche per il secondo
quadrimestre in concorso alle attività di Air Policing nell’Area dei Paesi Baltici.
‒ NATO Interim Ballistic Missile Defence: Active Fence (support to Turkey): la missione Active Fence, autorizzata dal NAC in data 4 dicembre 2012, scaturisce da una richiesta alla NATO da parte della TURCHIA di poter schierare batterie antimissili “Patriot” lungo il confine turco-siriano a difesa del proprio territorio, minacciato
dall’instabilità nell’area che crea la crisi siriana, nonché dalla presenza di elementi
estremisti che si confondono nel crescente flusso dei profughi per compiere gesti
criminali. Lo schieramento delle batterie antimissile ha raggiunto la “Full Operational
Capability” (FOC) il 13 febbraio 2013. L’Italia, allo stato attuale, contribuisce alla
missione con un contributo limitato nell’ambito del NATO Communication Information
System GROUP (NCISG) che fornisce lo specifico supporto CIS agli assetti schierati.
A tali operazioni, si aggiunge il contributo nazionale alle attività poste in essere
dall’Alleanza a seguito della crisi russo-ucraina. In particolare, l’Italia sta sostenendo sia il
processo di implementazione del Readiness Action Plan (RAP) sin dalla sua approvazione al Summit di Newport (settembre 2014), ritenendo i relativi prodotti una garanzia per la credibilità della NATO di fronte ad uno scenario internazionale complesso ed imprevedibile, sia le Assurance Measures, misure adottate per rassicurare gli Alleati situati sul confine est.
Al contributo alle operazioni dell’Alleanza si aggiunge quello degli assetti/forze
resi disponibili per la “NATO Response Force” (Forza di Risposta della NATO), intesa a
garantire all’Alleanza la disponibilità di uno Strumento caratterizzato da elevata prontezza e
flessibilità, capace di rispondere celermente ad un ampio spettro di situazioni di crisi,
costituendo il principale banco di prova per l’interoperabilità interforze e multinazionale. L’Italia
partecipa attivamente a questa Forza garantendo un livello di contribuzione a carattere
interforze, terrestre, navale, aereo, di forze speciali e di polizia militare, quantitativamente e
qualitativamente fra i più elevati dell’Alleanza. In tale senso il NATO Rapid Deployable Corps (NRDC-IT) che già da tempo viene fornito in qualità di Land Component Command, sta acquisendo ulteriori capacità di comando e controllo (C2) interforze, per le Smaller Joint Operation e generare un Joint Task Force HQ, per esercitare C2 di Teatro e a livello tattico sulle unità dipendenti. Analogamente l’Italia fornisce un comando di componente marittima rapidamente schierabile (ITMARFOR) in grado di contribuire, in ogni momento, a potenziali operazioni marittime future.
AMBITO BI-MULTILATERALE: su un piano bilaterale o multilaterale, non
inquadrato negli ambiti delle O.I. di cui sopra, l’Italia è stata ed è impegnata, ovvero lo sarà, in
altre importanti iniziative, tra cui le principali sono:
- Operazione Inherent Resolve/Prima Parthica: a seguito dell’offensiva in Iraq del gruppo estremista sunnita denominato DAESH, intento a rafforzare il controllo sulle
regioni dell’autoproclamato Califfato, l’Italia – sin da subito – ha fornito il suo contributo
alla popolazione irachena colpita da una grave crisi umanitaria ed alle autorità irachene,
attraverso il trasporto di materiali di conforto e la cessione di materiale d’armamento a
favore dei combattenti del Governo Regionale Curdo (Nord Iraq). In tale contesto, l’Italia
ha supportato l’esigenza di dar vita ad una Coalition of Willing, fornendo un proprio
dispositivo militare per contrastare DAESH e, nel contempo, avviare attività di
addestramento a favore delle forze governative del Kurdistan (KSF) iracheno (Nord Iraq).
- MIADIT – Somalia: missione addestrativa condotta con lo scopo di fornire un contributo
capacitivo alle Forze di Sicurezza somale principalmente nei settori della sicurezza e del
controllo del territorio.
L’iniziativa è nata nel 2013 per addestrare di 200 unità delle forze di polizia somale a
cura di un contingente dei Carabinieri presso Gibuti, conducendo un corso all’anno.
L’attività, a seguito dei successi sia operativi sia in termini di riconoscimenti in ambito
internazionale, è stata sviluppata e dal 2015 si è incluso anche l’addestramento di
personale delle forze di polizia gibutiane (40 u.), conducendo due corsi/anno.
- MIADIT – Palestina: si tratta di un’attività addestrativa nazionale, volta a favore delle
forze di sicurezza palestinesi. Una Training Unit dei Carabinieri, a partire dal 1 febbraio
2015, addestra, presso il General Mail Training Center (GMTC) di Gerico, 185
appartenenti alle forze di polizia palestinesi. L’attività viene svolta con il pieno consenso,
oltre che delle autorità palestinesi, anche di quelle israeliane e dell’United States Security
Coordinator for Israel and Palestine (USCC).
- Task Force Air Al Bateen: la Task Force Air (TFA) di Al Bateen (Emirati Arabi Uniti) opera ininterrottamente dal 2002 per garantire l’afflusso del personale, mezzi e materiali
diretti ai contingenti nazionali in Teatro di Operazioni (Asia e Medio Oriente), assicurare
l’efficienza dei velivoli e dei mezzi tecnici impiegati per il trasporto, mantenere in
esercizio le comunicazioni con la Patria e i contingenti schierati e gestire le evacuazioni
sanitarie.
- TIPH 2 (Temporary International Presence in Hebron): è una missione multinazionale di osservazione per favorire la normalizzazione delle relazioni tra Israeliani e Palestinesi nella città di Hebron (Palestina). L’Italia partecipa con un contributo limitato.
- MFO Egitto (Multinational Force and Observers): la forza di pace svolge compiti di vigilanza e di controllo su un’area a ridosso del confine Israeliano e lungo la costa orientale del Sinai, dal Mediterraneo al Golfo di Aqaba. In tale area si contano più di 30 siti di
osservazione e la missione assegnata alle unità è, sostanzialmente, quella di “osservare”,
“verificare” e “riportare”. Compiti specifici della MFO sono:
· attuare dei punti di controllo e siti di osservazione, nonché effettuare dei
pattugliamenti;
· verificare periodicamente l’implementazione delle disposizioni dell’Annesso al Trattato
di Pace, da effettuare non meno di due volte al mese fintantoché non diversamente
concordato tra le parti;
· effettuare ulteriori verifiche entro 48 ore dopo la ricezione di una richiesta da una delle
due parti;
· assicurare la libertà di navigazione attraverso lo Stretto di Tiran.
Al contingente militare italiano, denominato anche Coastal Patrol Unit (CPU) in ambito
MFO, è stato affidato il compito di pattugliare le zone contigue dello stretto di Tiran. La
partecipazione nazionale alla missione potrebbe essere soggetta ad una rivisitazione in
senso riduttivo.
- Missione Bilaterale in Libano (MIBIL): l’obiettivo della missione bilaterale è quello di incrementare le capacità complessive delle Forze di Sicurezza libanesi attraverso attività
di training, tese a renderle capaci di far fronte, efficacemente ed in autonomia, alla
precaria situazione di sicurezza in Libano provocata dallo spillover della crisi siriana e
dell’area mediorientale più in generale. Nell’ambito dell’attività in parola, concretizzatasi
nel 2014 e tesa a incrementare il livello capacitivo delle LAF, l’Italia ha assunto l’impegno
con l’International Support Group (ISG) di costituire un Centro di Addestramento nel Sud
del Paese.
- Base Logistica Avanzata presso GIBUTI: tenuto conto della posizione strategica, la base, a carattere marcatamente joint, è impiegata per fornire supporto logistico alle Unità
Navali impiegate in missioni antipirateria, ai Mobile Training Team, nonché a tutte le
iniziative nazionali insistenti nell’area.
ONU: per quanto concerne la disponibilità di contingenti nelle operazioni di pace
per il c.d. “stand-by arrangements” – forze pronte e disponibili per l’impiego – è previsto,
compatibilmente con l’approntamento dei contingenti e la loro sostenibilità nel tempo, un
contributo di personale, mezzi, navi ed aerei di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri.
‒ MINUSMA: missione delle Nazioni Unite in Mali, istituita con la risoluzione n. 2100/2013
al fine di assorbire, integrandola, la missione dell’Unione Africana AFISMA con compiti di
mantenimento del controllo sulle città liberate, protezione dei civili, facilitazione del
rientro di sfollati/rifugiati e degli aiuti umanitari e della preparazione delle elezioni. L’Italia
partecipa con un contributo limitato.
- UNIFIL: a seguito della Risoluzione n. 1701/2006 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
continua la partecipazione italiana alla missione UNIFIL in LIBANO, che dal 2012 è stata
particolarmente qualificata dalla rinnovata leadership assegnata all’Italia. L’impegno
nazionale in UNIFIL, tenuto conto dei rischi connessi con il possibile spillover della crisi
siriana e visto il successo della leadership italiana rimane un contributo sostanziale per il
conseguimento degli obiettivi dell’ONU.
‒ UNFICYP: è una missione di pace dell’ONU, istituita nel 1964, per prevenire ulteriori
scontri tra le due etnie presenti sul territorio (greco-cipriota e turco-cipriota), per
contribuire al ripristino, mantenimento e rispetto della legge e permettere un ritorno alle
normali condizioni ed attività civili. L’Italia ha partecipato alla missione – con un
contributo limitato – fino al primo trimestre 2015.
‒ UNMOGIP: (United Nations Military Observer Group India Pakistan) a seguito delle Risoluzioni ONU n. 39 e n. 47 del 1948 nasce nel luglio 1949 con il compito di vigilare sul
cessate il fuoco nello Stato di JAMMU e KASHMIR, oggetto della controversia tra India e
Pakistan. L’Italia ha partecipato alla missione – con un contributo limitato – fino al primo
trimestre 2015.
‒ UNTSO: la United Nations Truce Supervision Organization è la più datata missione di peacekeeping delle Nazioni Unite. Disposta con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 50 in data 29 maggio 1948 e successive modifiche, la missione effettua sia il controllo del rispetto del trattato di tregua, concluso separatamente tra
ISRAELE, EGITTO, GIORDANIA e SIRIA nel 1949, sia il controllo del cessate il fuoco
nell’area del Canale di Suez e le alture del Golan conseguente la guerra arabo-israeliana
del giugno 1967. L’Italia ha partecipato alla missione – con un contributo limitato – fino al
primo trimestre 2015.
‒ MINURSO: istituita con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 in data 29 aprile
1991, a seguito delle “proposte di accordo” accettate in data 30 agosto 1988 dal Marocco
e dal Fronte POLISARIO (Frente Popular para la Liberacion de Saguia el-Hamra y de Rio de Oro), con il compito di monitorare il cessate il fuoco e far cooperare le parti in
merito al non uso di mine e UXO (Unexploded ordnance). L’Italia ha partecipato alla
missione – con un contributo limitato – fino al primo trimestre 2015.
Lista Disarmo – Alfonso Navarra
alfonsonavarra@virgilio.it
COORDINAMENTO CAMPAGNA PER L’OBIEZIONE ALLE SPESE MILITARI