Crisi e debito… dal nulla
Victor Constancio, socialista, già governatore della Banca Centrale portoghese, nome di solito poco noto al pubblico (me compreso), è vicepresidente della Banca Centrale europea.
Dato il suo ruolo è dunque interessante andare a rivedere alcuni passi di un suo importante discorso pubblico del maggio 2013 sulla crisi economica, in particolare quando spiega come l’idea che essa sia stata provocata dal debito pubblico è completamente sbagliata.
“Nei paesi in cui il debito pubblico è oggi sotto attacco, durante i primi anni della moneta unica non c’è stato alcun incremento uniforme del livello complessivo di debito pubblico. …. Contrariamente al livello del debito pubblico complessivo, quello del debito privato è cresciuto del 27% nei primi 7 anni dell’Unione. L’incremento è stato particolarmente pronunciato in Grecia (217%), Irlanda (101%), Spagna (75,2%) e Portogallo (49%). …. La rapida crescita del debito pubblico, viceversa, è cominciata solo dopo la crisi finanziaria. ….. Le regole europee sulla libera circolazione dei capitali, …. , il credo nell’efficienza dei mercati finanziari, che si supponeva fossero in grado di autoequilibrarsi, tutto questo ha concorso a rendere estremamente difficile qualunque politica di controllo”.
Dunque, gli stessi vertici Bce sanno ed ammettono, quando è il caso, che la gigantesca crisi non è provocata dalla spesa pubblica, un settore che casomai ha funzionato per decenni e decenni come generatore di ricchezza sociale, espressa dalla somma di beni prodotti dal lavoro pubblico più aumento di capacità di spesa e circolazione indotti dal loro pagamento, bensì dalle politiche economiche completamente deregolamentate del neoliberismo finanziario privato, che ebbe origine planetaria dalla deregulation voluta da Ronald Reagan (presidente Usa) ed Alain Grennespan (presidente Fed), e trovò poi la sua grande espansione ai tempi del cosiddetto “turbocapitalismo” propugnato da Bush e Cheney, catastrofici presidente e vicepresidente degli Stati Uniti in uno dei periodi in assoluto peggiori della loro storia.
Grennespan, in particolare, fu lo strenuo difensore della non regolamentazione dei contratti finanziari derivati, sostenendo che in qualità di accordi privati essi non dovevano piegarsi a normative di legge, il che equivale a dire che l’intera attività umana, salvo quella degli uffici pubblici, dovrebbe funzionare senza alcuna normativa a garanzia, e i risultati di una simile miopia politica di parte si sono visti: i capitali in libertà dell’enorme volume di derivati ha invaso l’intera economia bancaria occidentale portandola al collasso, e costringendo nel solo 2008 il governo degli Usa ad erogare 8000 miliardi di dollari per salvare le banche a spese dei cittadini.
L’intera politica finanziaria delle banche occidentali ne è stata contaminata, e i continui fallimenti degli azzardi del settore hanno costretto ad una infinità di operazioni di salvataggio bancario i cui costi sono stati scaricati sui cittadini attraverso il prelievo fiscale destinato a ripianare i bilanci delle banche, non ad investimento in servizi.
Lo conferma la struttura delle erogazioni della stessa Bce, che anche quest’anno, con il famigerato “quantitative easing”, replica un meccanismo già visto negli anni scorsi: la banca centrale presta soldi alle banche commerciali a tassi di interesse bassi (tipicamente, dell’ordine dell’1%), impone tassi alti ai titoli di stato (intorno al 5%), sicchè le banche commerciali con il prestito comperano i titoli, e guadagnano gratuitamente la differenza di interesse a spese delle tasche dei cittadini, una operazione congegnata fin dall’inizio come prelievo alla nazione per regalare alle banche ciò che le banche perdono con le loro operazioni azzardate.
La ex Repubblica si è trasformata così in una Res Privata bancaria, e i direttori d’orchestra lo sanno benissimo, visto che lo stesso Constancio lo ammette.
Chi non lo sa, o meglio finge di non saperlo, sono i mass media di regime, con la loro ossessiva campagna contro lo stato democratico e le sue strutture, che vogliono tagli alla spesa pubblica e privatizzazione dei beni, strumenti della lotta del capitale contro il lavoro.
Chi non lo sa sono anche quei cittadini che abboccano alla propaganda di regime ipercapitalista, pronti a maledire stupidamente l’economia statale e le sue regolamentazioni (sempre più incrinate da una gestione di demenziale distruzione del settore pubblico) mentre quella privata monopolista li sta rapinando e riducendo in miseria.
Lo stesso Mario Draghi Manolesta si è fatto sfuggire, il mese scorso, una importante ammissione durante il suo discorso all’europarlamento: ha scoperto, bontà sua, che di fronte alla crisi della produzione e del commercio le erogazioni di liquidità della banca centrale risultano impotenti ad intervenire per riavviare l’economia. La sua ricetta, peraltro, è chiedere ulteriori cessioni di sovranità statale, da rimettere all’Unione, il che significa “Abbiamo creato il problema quindi dateci più poteri per risolverlo”, che è come chiedere di gettare più benzina dopo averne usata per appiccare un incendio.
E’ sorprendente che un uomo mai eletto da nessuno a dirigere i finanziamenti di mezzo continente dichiari di scoprire solo ora ciò che anche un bambino è in grado di capire: di fronte ad una caduta di domanda che deprime la produzione e fa fallire le imprese non si risolve assolutamente nulla prestando capitali alle banche e nemmeno agli imprenditori, perché ciò che serve è la creazione di nuovo capitale da destinare alle tasche dei consumatori, ovvero dei lavoratori, che se hanno soldi da spendere comperano e forniscono stimolo alla produzione, altrimenti tutto rimane come prima o un po’ peggio di prima, visto che i capitali a prestito debbono rientrare pure con gli interessi, sicché non sono lo strumento adatto a creare ricchezza, bensì solo a spostarla.
Ma queste cose le aveva scritte persino Enrico Cuccia a Londra nel 1930: nemmeno al capitalista conviene affamare il popolo, che per conseguenza non avrà soldi da spendere, lasciando invendute le merci e conducendo il capitalista al fallimento.
In queste circostanze l’intervento della spesa pubblica come regolatore economico diventa particolarmente indispensabile, come sapevano, molto tempo prima di John Maynard Keynes, anche gli imperatori romani, che facevano ampio uso dei lavori pubblici per risolvere le crisi di allora.
Chi non lo sa sono probabilmente i lettori del Corriere della Serva, da anni schiavo della propaganda antikeynesiana ed antistatalista perennemente a favore dei tagli, del controllo di spesa, dell’austerità, della privatizzazione e della distruzione di ogni bene pubblico, mentre i grandi istituti del capitale privato ingrassano a spese dei lavoratori sempre più rapinati.
D’altronde attualmente il governo, in Italia, è nelle mani di un partito (anzi, della sua segreteria) che si presentava a congresso sotto l’enorme cartello “assieme alle banche, con responsabilità e fiducia”, onde chiarire bene di che morte vuole farci morire.
Allora basta, è ora di finirla: il turbocapitalismo avvelena anche te, digli di smettere.
La produzione deve essere per i bisogni, la distribuzione per la collettività, contro ogni logica di accumulo e sperequazione.
La macchina dell’organizzazione statale deve essere in mano al popolo, che la controlli politicamente, senza lasciarla preda dello sfruttamento del grande capitale.
Autogoverno del popolo è riprendersi la vita rapinata dai grandi ladri di tirannico regime plutocratico.
Il popolo deve dirigere politicamente l’economia, non esserne diretto.
Purché il popolo si studi l’economia e se ne impadronisca, naturalmente, invece di lasciarsene truffare.
Vincenzo Zamboni