…renzie e il def che pesa!

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La definizione del Documento di economia e finanza dovrà fare i conti con una economia ancora stagnante e al contempo con l’aumento della necessità di trovare risorse per coprire le misure sull’occupazione altrimenti destinate a un inevitabile flop

Evitare di aumentare le tasse per l’ennesima volta, affrontare il problema del lavoro che non c’è, reimpostare gli incarichi istituzionali dopo l’ingresso del nuovo ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio. Il governo Renzi è costretto a ripartire in velocità dopo la pausa pasquale, dovendosi però misurare da subito con la salita più difficile: la definizione del Def, il documento di economia e finanza, che dovrà fare i conti con una economia che continua ad essere stagnante e contemporaneamente con l’aumento della necessità di trovare risorse finanziarie (qui e ora) per coprire le misure sull’occupazione che altrimenti si incaglierebbero in un inevitabile flop. ll compito che spetta a Matteo Renzi e alla sua compagine di governo non è dunque dei più semplici, ma la complicazione maggiore, anzi il rischio più alto è intanto uno, ed è ben identificabile: l’aumento delle tasse. Magari camuffate o occultate tra le altre misure.

Alla vigilia della presentazione del Def, il premier ha messo le mani avanti e da politico ormai navigato ha pronunciato la frase chiave per qualunque personaggio pubblico che voglia mantenere il consenso: noi non aumenteremo la pressione fiscale. Renzi ha fatto anche capire che i suoi tecnici sono già al lavoro per rimettere mano alla tassazione sulla casa con una ‘Local tax’ che unifichi Imu e Tasi e ha cercato di smorzare in anticipo le eventuali polemiche con i sindaci e gli amministratori locali sulle risorse da destinare ai territori e sull’inevitabile nuova impennata della tassazione locale. Renzi deve rispondere direttamente anche a Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), che proprio a nome di tutti gli amministratori ha lanciato un appello al governo affinché si arrivi ad un decreto specifico sugli enti locali che possa risolvere le tante questioni ancora aperte, tra cui quella del fondo di 625 milioni, indispensabile per non veder ridotto il gettito, dal passaggio dall’aliquota Imu a quella Tasi, per circa 1800 Comuni. E poi c’è tutta la partita dei nuovi ammortizzatori sociali e del Jobs Act, oltre alle risorse che servirebbero per rilanciare gli investimenti pubblici. Insomma di soldi per governare nel corso di quest’anno e del prossimo ne serviranno davvero tanti. Dove si andranno a recuperare?

Il quadro generale non è certo confortante. Le attese sul rapporto tra deficit e Pil italiano sono state confermate solo per un soffio e quasi per miracolo. L’Istat ci ha infatti fatto sapere che il tasso tra indebitamento netto e crescita economica si è attestato al 3% nell’intero 2014, restando appunto per un soffio nei limiti indicati dalle autorità europee. Ma sempre nel 2014 la pressione fiscale è risultata pari al 43,5%, in aumento dello 0,1% rispetto all’anno precedente. E nel 2015 l’aumento potrebbe essereconfermato di nuovo.

Nel 2014 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è aumentato dello 0,2% mentre il potere d’acquisto è rimasto congelato. Nell’ultimo trimestre del 2014 è diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Tenuto conto dell’andamento dell’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel 2014 è rimasto dunque invariato, anzi nel quarto trimestre del 2014 è sceso dello 0,5%. Date queste premesse, sono molti i commentatori (lo ha fatto di recente Luca Ricolfi sul Sole 24 ore per esempio) che prevedono qualche taglio di spesa, un aumento del deficit pubblico e naturalmente il consueto aumento della pressione fiscale complessiva, poco importa se attuato alzando l’Iva dal gennaio del 2016, o attraverso un cocktail di inasprimenti fiscali. Uno scenario aggravato dal fatto che i 2 miliardi stanziati per il 2015 dalla Legge di stabilità per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato potrebbero non bastare. Ricolfi ci ricorda infatti che quest’anno si cumuleranno tre tipi di assunzioni: le assunzioni rimandate a fine 2014 in attesa dello sgravio; le assunzioni “normali”del 2014; le assunzioni del 2016 anticipate al 2015 per usufruire dello sgravio. Di qui un aumento apparente dell’ occupazione, e un’ulteriore falla nei conti pubblici. Per questo nessuno può essere ottimista sull’evoluzione prossima ventura della pressione fiscale.

Un pessimismo fiscale dell’intelligenza che viene supportato (purtroppo) da altri dati. L’ aumento dell’ Iva e delle accise, previsto dalla clausole di salvaguardia, costerebbe per esempio 842 euro l’ anno a famiglia, come hanno calcolato le associazioni dei consumatori. Un aggravio che avrebbe come effetto immediato una nuova contrazione della domanda.

Paolo Andruccioli

Stralcio di un articolo tratto da: www.radioarticolo1.it

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