Tikrit – Le forze unite di Iran ed Iraq contro i terroristi dell’ISIL
Aspri combattimenti sono scoppiati per la città irachena di Tiqrit, a nord di Baghdad, meglio nota quale città natale di Saddam Husayn e considerata cuore del passato regime baathista. Le forze governative irachene hanno lanciato una operazione per riconquistare la città ai militanti dello Stato Islamico. Tale sviluppo estremamente importante ha tre dimensioni. In primo luogo, naturalmente, se le operazioni hanno successo, saranno un duro colpo per lo Stato Islamico.
Tiqrit non è solo un grande premio, ma il governo iracheno porterà la guerra nel territorio dello SI. Molto probabilmente, il prossimo obiettivo sarà Mosul, nel Kurdistan iracheno, dove il drammatico balzo dello SI si manifestò lo scorso giugno. Si è tentati di supporre che lo SI affronti a breve la prospettiva dell’estinzione militare.
La seconda dimensione riguarda il ruolo cruciale che le Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane (IRGC) svolgerebbero nelle operazioni a Tiqrit sotto bandiera irachena. La BBC ha riferito, citando fonti delle milizie sciite, che il carismatico e leggendario comandante della IRGC, Generale Qasim Soleimani, è stato visto in prima linea “guidare personalmente l’operazione”. È una deliziosa ironia che Soleimani guidi la liberazione della città natale del suo vecchio nemico Sadam. A parte ciò, l’Iran sciita guida la lotta di oggi contro un nemico sunnita che costituisce la minaccia esistenziale ai regimi sunniti del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, che non sono innamorati dell’Iran.
Infine, la lotta che infuria su Tiqrit pone una grande domanda: dove diavolo si nasconde la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti? L’Iran ha svergognato Stati Uniti e partner della coalizione portando da solo la guerra nella tenda dello SI. L’Iran inesorabilmente dimostra che lo SI è un parassita che si può schiacciare facilmente se si fa sul serio, rispetto al mitico titanico prode nemico che gli analisti occidentali dipingono.
Nel frattempo, gli spin doctor sono già al lavoro, sostenendo che gli Stati Uniti hanno deliberatamente chiarito Tiqrit sia una questione di politica, dato che i combattimenti lì sono guidati dalla milizia sciita con una tacita ‘divisione del lavoro’ con l’Iran; una proposizione ridicola, per non dire altro. Teheran sostiene, al contrario, che gli Stati Uniti in realtà mentano quando affermano di combattere lo SI, e che in realtà Washington ha un approccio sfumato anticipando un futuro ruolo dello SI da strumento delle sue strategie regionali. Il Viceministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian ha letteralmente ridicolizzato le rivendicazioni degli Stati Uniti di combattere lo SI, quando ha affermato a Teheran, “Gli Stati Uniti hanno creato la coalizione anti-SIIL con 60 Paesi, ma la principale misura pratica della coalizione si limita a controllare e amministrare il SIIL“. Abdollahian ha rivelato che aerei militari statunitensi trasportano rifornimenti allo SI in Siria e Iraq, volando da grandi distanze. Ha chiesto: “Come si può fare un errore di 900 chilometri” Bella domanda.
Anche in Afghanistan gli Stati Uniti intervennero militarmente nel 2001 con il pretesto di sconfiggere i taliban, che oggi subiscono una curiosa inversione dei ruoli divenendo interlocutori chiave di Washington e, forse, curati per divenire catalizzatori domani del cambio nelle vaste steppe dell’Asia centrale ancora sotto l’influenza russa, o nell’irrequieta regione autonoma cinese dello Xinjiang, alle prese con l’islamismo.
Crisi di fiducia in Iraq
MK Bhadrakumar Indian Puchline 4 marzo 2015
Non si saprà mai quali pensieri dolorosi attraversavano la mente militare del generale Martin Dempsey, presidente del Joint Chiefs of Staff degli Stati Uniti, quando relazionava ai senatori degli Stati Uniti, a Washington, ma di certo non gli sarà stato facile complimentarsi con l’Iran “per l’azione assai evidente… della sua artiglieria e altro” nell’operazione in corso per riprendere la città irachena di Tiqrit al controllo dello Stato islamico. Di sicuro, il generale Dempsey sapeva in realtà di complimentarsi con un generale iraniano da tempo immemore bersaglio degli israeliano-statunitensi, il Generale Qasim Suleimani, comandante della Forza al-Qudsdel Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) dell’Iran. Per chiarire la cosa, mi si permetta una digressione tirando fuori dal mio archivio il profilo dello sfuggente, carismatico e brillantissimo Generale dell’IRGC, che la rivista New Yorker tracciò nel settembre 2013, con un articolo dall’avvincente titolo “Il comandante nell’ombra“. Leggetelo qui e capirete perché il generale Dempsey masticava amaro durante la testimonianza di ieri. Ma quale opzione avrebbe il generale Dempsey se non complimentarsi con Teheran e distogliere l’attenzione dalla questione centrale, cioè che Baghdad ha tenuto all’oscuro Washington sulle operazioni a Tiqrit, decidendo semplicemente di seguire i comandi di Suleimani? IlNew York Times ha un resoconto perspicace di Anne Barnard da Baghdad, su quanto sia andato storto tra il governo iracheno e gli statunitensi. Secondo lei, gli iracheni sono frustrati da “pigrizia e pessimismo statunitensi su quanto ci sarebbe voluto per scacciare lo Stato Islamico da Mosul e dalla provincia occidentale di Anbar“. Barnard cita uno stretto collaboratore del primo ministro iracheno Haydar al-Abadi dire, “Gli statunitensi continuano a procrastinare il momento necessario per liberare il Paese“, ha detto in un’intervista. “L’Iraq libererà Mosul e Anbar senza di loro”. Ora, una possibilità per Washington sarà sedersi e sperare, contro ogni speranza, che l’operazione congiunta iracheno-iraniana a un certo punto richieda l’aiuto delle forze statunitensi. Cosa che appare sempre più improbabile con le relazioni sul campo che concludono sempre che lo SI subisce una pesante sconfitta a Tiqrit. Una seconda opzione per gli statunitensi sarebbe invocare il fatto che si tratta di un’operazione sciita e che gli Stati Uniti non possono identificarsi con i conflitti settari. Ma gli ultimi rapporti indicano che migliaia di combattenti sunniti iracheni affiancano le forze governative irachene e i quadri dell’IRGC. In breve, si tratta della classica guerra al terrore, pura e semplice.
Di sicuro, il presidente Barack Obama deve qualche risposta. Perché la “coalizione internazionale” degli USA si gira i pollici e segna il passo esagerando inutilmente la potenza dei combattenti dello Stato Islamico? Baghdad e Teheran svergognano USA e partner della coalizione, dagli australiani agli arabi del Golfo, illustrandoli come assai vili o infidi (o entrambe); infatti c’è un silenzio assordante da parte dell’Arabia Saudita, anche se la sua progenie di un tempo viene massacrata.
L’Iraq si libera senza gli statunitensi
al-Manar – Reseau International 5 marzo 2015
Dato il controllo del gruppo terroristico SIIL a Mosul e vasta parte del territorio iracheno, gli statunitensi insistono a dichiararsi “liberatori esclusivi” della Mesopotamia e a rifiutarsi di riconoscere alcun ruolo a forze armate e forze popolari irachene. Eppure, negli ultimi combattimenti contro i terroristi, senza alcuna copertura aerea e coordinamento con gli USA, riescono a limitare la presenza del SIIL nelle province di Niniwa e Anbar. Gli statunitensi non si sono accontentati della sconfitta del 2011 in Iraq. Ora cercano di legittimare la presenza militare e di sicurezza in più di una regione irachena. Gli Stati Uniti sostengono che sono nel Paese su richiesta del governo di Baghdad. Come al solito, gli Stati Uniti cacciano gli altri solo per gestire il Paese. Perciò, da giugno scorso continuano a parlare incessantemente dello Stato “deplorevole” dell’Iraq, sottolineando l’”incapacità” delle forze militari irachene, ufficiali o popolari, nel respingere il SIIL.
Minimizzare le azioni dell’esercito iracheno
Anche se i fatti sul terreno dimostrano il contrario, gli statunitensi insistono a seguire tale politica. Tutti ricordano ciò che realmente avvenne a fine gennaio, mentre le forze irachene avrebbero dovuto liberare la provincia di Miqdadiya, ultimo baluardo del SIIL a Diyala, il Pentagono pubblicava un rapporto con i dati sulle operazioni delle forze irachene dopo la crisi di Mosul del giugno 2014. Secondo il rapporto, il SIIL non ha perso che l’1% dei territori occupati a seguito delle operazioni dell’esercito e delle forze di mobilitazione irachene, 700 kmq su 55 mila che il gruppo terroristico occupa. Il portavoce del Pentagono affermava che le forze curde riconquistarono la maggior parte dei territori nel nord dell’Iraq. Purtroppo l’Iraq non rigettò come errati tali dati, né denunciò gli scopi di tale sospetta propaganda degli Stati Uniti. Al momento, un alto funzionario degli Stati Uniti assicurava che le forze irachene non potevano liberare un villaggio senza aiuto straniero. Tali commenti furono ripresi un paio di giorni fa dal direttore del servizio segreto militare statunitense, Vincent Stewart, sostenendo che “le forze irachene non possono sconfiggere il SIIL a causa di carenze logistiche, corruzione e altri problemi nell’istituzione militare irachena“. Per gli statunitensi, le forze ufficiali e popolari irachene non dovevano affrontare il SIIL per evidenti motivi legati ai loro interessi strategici in Iraq. Ma sorpresa degli statunitensi, alcuni partiti iracheni e i loro alleati iraniani, decisero di affrontare il SIIL con tutte le forze. Così l’Ayatollah Sayed Ali Sistani, eminente figura religiosa sciita dell’Iraq, ha decretato una fatwa per usare le armi e il jihad contro il SIIL, una fatwa qualificata “inutile” dal Capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, generale Martin Dempsey. Da parte sua, il leader supremo della rivoluzione islamica in Iran, Sayed Ali Khamenei assicurava che il popolo iracheno poteva liberare il territorio.
La missione del Generale Souleimani
Rapidamente, le cose si chiarirono quando Sayed Khamenei inviava in Iraq il comandante delle Forze al-Quds delle Guardie Rivoluzionarie, Generale Qasim Souleimani. Poche ore dopo la caduta di Mosul, Souleimani iniziò a coordinare gli sforzi della resistenza irachena. Souleimani supervisionava una missione centrale il cui obiettivo era ritrovare l’iniziativa contro il SIIL, arrivato ai margini settentrionali della capitale Baghdad. In due giorni, una forza militare e le fazioni della resistenza irachena guidate da Souleimani liberavano Balad dall’assedio aprendo la strada per Samara, liberando la città, obiettivo raggiunto dopo aspri combattimenti, e poi iniziò una serie di operazioni estese e veloci permettendo di liberare ampi territori occupati dal SIIL, sotto gli occhi degli statunitensi che si rifiutavano di riconoscere questi fatti inattesi.
Successione di vittorie
Negli ultimi sette mesi hanno avuto successo le operazioni delle forze irachene e delle unità di mobilitazione popolare, una serie di fazioni attivatesi durante l’occupazione degli Stati Uniti dal 2003 come “brigateSalam“,”brigate Hezbollah“,” fazioni Ahlul Haq“,”organizzazione Badr“,”brigate Qurasani”,”Soldati dell’Imam”,”Brigate del Maestro dei Martiri”,”Brigate Imam Ali”, ecc… I successi della Forza di mobilitazione popolare irritano gli statunitensi, perché hanno dimostrato grande capacità nel sconfiggere i gruppi iracheni del SIIL senza di loro, anche perché questi gruppi sono gli stessi che combatterono e respinsero l’occupazione statunitense dell’Iraq nel 2003. Ecco perché ogni volta che le forze irachene vincono, gli statunitensi si sentono sempre più esclusi dalla scena irachena.
Il ponte aereo iraniano
Gli statunitensi scommettevano sulle carenze dei materiali nell’esercito iracheno. Anche in questo caso l’aiuto iraniano ha cambiato la situazione. Le guardie della rivoluzione iraniana hanno stabilito un ponte aereo per trasportare munizioni negli aeroporti di Baghdad, Sulaymaniya, Kirkuk e Irbil. Cittadini iracheni avrebbero visto camion carichi di armi iraniane attraversare la frontiera.
Rifiuto di qualsiasi coinvolgimento degli Stati Uniti
Quando gli statunitensi hanno capito di aver perso in Iraq, si offrirono di partecipare alle operazioni, assicurando tiro di sbarramento e copertura aerea. Il Generale Souleimani respinse fermamente tale richiesta, e il governo iracheno ha fatto lo stesso. Gli statunitensi furono anche sorpresi dal rifiuto del generale iraniano di coordinarsi sul campo e d’incontrare i capi militari statunitensi. Poi rifiutò un incontro con il capo diplomatico degli USA John Kerry. La risposta delle forze di mobilitazione popolare è stata decisiva: le forze statunitensi saranno considerate nemiche se operassero nelle regioni delle operazioni della mobilitazione popolare. Mentre l’esercito iracheno ha condotto decine di operazioni militari riuscendo a scacciare il SIIL da molti villaggi iracheni, per 10000 kmq, le forze dell’alleanza internazionale degli Stati Uniti colpiscono sporadicamente qua e là, senza finora liberare un solo villaggio iracheno! Pertanto la liberazione di regioni come Amarli, Miqdadiya, Jarf al-Saqr, ponte di Zarqa, Jalula, Sadiya e Balad in nessun caso può passare inosservata. Queste operazioni hanno contribuito ad assicurare le province di Diyala e Babil e i margini meridionali, occidentali e settentrionali di Baghdad. La liberazione totale delle province di Kirkuk e Salahudin, con una superficie di 9000 kmq, sembra imminente, mentre il SIIL si limita in questo caso alle province di Niniwa e Anbar. Sapendo che in queste due province forze di Stati Uniti e occidentali sono presenti come “consiglieri”, una domanda sorge spontanea: perché tali forze non hanno fatto alcun progresso sul terreno? Compiranno mai un importante passo contro il SIIL senza l’intervento delle forze popolari e governative irachene?
MK Bhadrakumar – Indian Puchline, 3 marzo 2015
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora