Libia: cosa fare, cosa non fare
Da 4 anni la Libia si trova nel caos più totale. Il territorio è disputato da feroci bande confessionali e tribali tra cui si distinguono le bande assassine e razziste di Misurata, già distintesi nel massacro dei cittadini di Tawerga – rei di essere di pelle troppo scura e di avere parteggiato per il governo di Gheddafi – e che hanno occupato anche Tripoli, angariando la popolazione locale. Loro alleate sono le bande integraliste di Ansar Al Sharia che imperversano a Bengasi. Oggi intervengono, in concorrenza con le altre, anche le bande che si ispirano all’ISIS, che hanno la loro base principale a Derna ed hanno occupato anche Sirte.
Cosa fare in questa situazione tragica per i cittadini della Libia, che già si estesa a vari paesi africani come Mali e Nigeria e si proietta anche sull’Italia con l’arrivo di masse di disperati?
1) Certamente tra le cose da fare vi è innanzitutto una piena autocritica, e la presentazione di pubbliche scuse al popolo libico, da parte del governo italiano, per i danni irreversibili causati alla Libia con la criminale e sciagurata guerra del 2011, con la quale abbiamo distrutto la Libia a suon di bombe in collaborazione con gli altri paesi della NATO ed in alleanza con dittature confessionali arabe come il Qatar che continua a tutt’oggi a finanziare le bande terroriste.
Nel 2011 è stato attaccato un paese che stava in pace da 42 anni sotto l’intelligente guida di Muhammar Gheddafi che era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù in cui il paese è diviso, che era diventato il più prospero dell’Africa (il PIL pro-capite era il più alto di tutto il continente), che ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, che aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione, che riconosceva pienamente i diritti delle donne, che aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare, che aveva allontanato dal paese tutte le basi militari straniere acquisendo una piena indipendenza.
2) Per cominciare a far riemergere la Libia dalla crisi è necessaria un’azione internazionale, sotto l’egida dell’ONU, per bloccare il traffico di armi ed i finanziamenti alle bande estremiste e criminali da parte di paesi come il Qatar e la Turchia, dove il nuovo sultano Erdogan sta cercando di re-islamizzare un paese laico comprimendo anche i diritti delle donne. E’ necessario anche bloccare la vendita di petrolio da parte dei jihadisti per autofinanziarsi e bloccare tutti i conti bancari riconducibili ai gruppi terroristi.
3) E’ opportuno invece appoggiare gli sforzi dei paesi arabi laici del Nord-Africa (come l’Egitto, ed in prospettiva anche l’Algeria e la Tunisia) che stanno tentando di arginare l’estremismo islamista e cercano di favorire quel nucleo di forze laiche ancora presenti in Libia, che, pur con tutti gli evidenti limiti politici, possono costituire un primo momento di rilancio di un dialogo interno nazionale. Troviamo assurda la posizione anche di certi giornali e certi giornalisti sedicenti di “sinistra” che esprimono comprensione per le bande di tagliagole di Misurata legate ai “Fratelli Musulmani” e criticano l’intervento dell’Egitto.
4) Da evitare assolutamente l’inizio di folli avventure armate unilaterali come quelle proposte dai ministri Gentiloni e Pinotti che prospettavano l’invio di 5000 militari italiani per andare a fare una nuova guerra in Libia. Queste sconsiderate proposte sono state per ora accantonate, ma, in assenza di qualsiasi strategia politica e di autocritica per i disastri causati in passato, il pericolo di nuove avventure e nuovi crimini è sempre presente.
Solo con una oculata azione di “intelligence” antiterrorismo e una collaborazione con la quella parte del mondo arabo che si oppone concretamente alla deriva estremista e terrorista (di cui fa parte a pieno titolo anche il governo della Siria ingiustamente demonizzato da anni) si potrà contenere il pericolo e far uscire dalle rovine anche un paese “fallito” come la Libia attuale.
Rete No War – brandienzo@libero.it