Siria – I resistenti kurdi ce l’hanno fatta, Kobane è libera

Kobane libera

Siria. Dopo 134 giorni di resistenza, le Unità di Difesa kurde cacciano definitivamente l’Isis dalla città. Dall’altro lato della frontiera, l’esercito iracheno libera la provincia di Diyala. Ma il califfo cresce in Libano

Kobane si è libe­rata: una ban­diera del Kur­di­stan, lunga 75 metri, ieri sven­to­lava sulla col­lina di Miste­nur, strap­pata al con­trollo dello Stato Isla­mico. Ad issarla sul tra­lic­cio della cor­rente, quello che da set­tem­bre i rifu­giati di Kobane guar­da­vano ogni giorno dal vil­lag­gio turco di Meh­ser, sono stati gli uomini e le donne delle Unità di Difesa Popolare.

Una vit­to­ria dal sapore di sto­ria, impen­sa­bile 4 mesi fa quando gran parte della popo­la­zione della città fu costretta alla fuga dall’avanzata bru­tale del calif­fato: in pochi giorni gli isla­mi­sti hanno occu­pato 300 vil­laggi kurdi e tra­sfor­mato 150mila per­sone in pro­fu­ghi, ospiti inde­si­de­rati in Turchia.

Kobane ha com­bat­tuto pres­so­ché da sola, gua­da­gnan­dosi l’appellativo di «Sta­lin­grado kurda», con­tro la mac­china da guerra isla­mi­sta, forte delle armi made in Usa raz­ziate dalle basi mili­tari ira­chene. Ha com­bat­tuto da sola per­ché i raid della coa­li­zione, sep­pur con­ti­nui (l’80% dei bom­bar­da­menti Usa in Siria hanno avuto come tar­get le aree intorno Kobane), non erano così pre­cisi da riu­scire a fre­nare l’offensiva isla­mi­sta. Ha com­bat­tuto da sola per­ché i 150 pesh­merga inviati da Irbil erano una goc­cia nel mare del pro­se­li­ti­smo del calif­fato che a Kobane riu­sciva ad inviare ogni giorno forze fresche.

Ha com­bat­tuto da sola per­ché la vicina Tur­chia ha impe­dito – o cer­cato di impe­dire – il pas­sag­gio di aiuti e armi a chi resi­steva, ma anche l’arrivo di altri rifu­giati, spa­ran­do­gli addosso men­tre ten­ta­vano di attra­ver­sare la fron­tiera. Ha indi­ret­ta­mente soste­nuto l’Isis, come dimo­strato da video e foto pub­bli­cate dagli atti­vi­sti al con­fine che per mesi hanno moni­to­rato eser­cito turco e miliziani.

A fianco di Kobane si è sol­le­vata la soli­da­rietà di tanti movi­menti inter­na­zio­nali e inter­na­zio­na­li­sti e del Pkk, che da subito ha man­dato com­bat­tenti e armi a difesa della città, sim­bolo – insieme al resto di Rojava – del modello di demo­cra­zia diretta e par­te­ci­pa­zione popo­lare che le comu­nità kurde in Siria hanno messo in piedi dopo lo scop­pio della guerra civile. A Kobane non si è com­bat­tuto solo per la libe­ra­zione della città: si è difeso quel pro­getto poli­tico con­tro l’oppressione socioe­co­no­mica impo­sta dallo Stato-nazione libe­ri­sta (di cui la Tur­chia è modello) e con­tro il fasci­smo e l’autoritarismo del califfo.

Ad una set­ti­mana dalla presa della stra­te­gica col­lina di Miste­nur, ieri le Ypg e le Ypj hanno assunto il con­trollo della strada pro­ve­niente da Aleppo che l’Isis ha uti­liz­zato per oltre 130 giorni per rifor­nire i suoi mili­ziani di cibo e armi. Chiusa quella strada, Kobane si è libe­rata: «L’Isis è stato scon­fitto. Le loro difese sono col­las­sate e i suoi mili­ziani sono fug­giti», ha com­men­tato il fun­zio­na­rio kurdo Idriss Nas­san, aggiun­gendo che negli ultimi giorni i raid aerei Usa si sono inten­si­fi­cati per­met­tendo alla resi­stenza kurda di lan­ciare la con­trof­fen­siva decisiva.

«Non ave­vamo dubbi, avremmo ripreso Miste­nur. Così abbiamo rispet­tato i desi­deri di tutti i com­pa­gni caduti nella lotta – ha com­men­tato il coman­dante Ken­dal – Adesso abbiamo il con­trollo di tutta la città e dei vil­laggi a est e a sud».

Ora è il momento di pen­sare alla rico­stru­zione e all’apertura di un cor­ri­doio uma­ni­ta­rio: la città è ancora cir­con­data dagli isla­mi­sti che occu­pano molti vil­laggi, i quar­tieri sono deva­stati dai mis­sili dell’Isis e dai com­bat­ti­menti strada per strada, scuole e ospe­dali distrutti insieme alle infra­strut­ture base, ordi­gni giac­ciono ine­splosi tra le mace­rie e reti idri­che e elet­tri­che non funzionanti.

E men­tre Kobane festeg­giava, dall’altro lato del con­fine orien­tale si cele­brava un’altra libe­ra­zione: l’esercito ira­cheno ha annun­ciato ieri la fine dell’occupazione isla­mi­sta della pro­vin­cia di Diyala, est del paese, uno dei due con­fini imma­gi­nati dal califfo al-Baghdadi per il suo calif­fato. Avrebbe dovuto cor­rere da Diyala a Aleppo (o magari Bei­rut), ma ieri il gene­rale ira­cheno al-Zaidi gli ha rotto le uova nel paniere: «Annun­ciamo la libe­ra­zione di Diyala dall’Isis. Le forze ira­chene hanno il con­trollo totale di tutte e città e i distretti della provincia».

Con Kobane e Diyala libere cre­sce la spe­ranza di scon­fig­gere l’Isis e il modello di sepa­ra­zione di cui è indi­ret­ta­mente por­ta­tore, spec­chio delle agende poli­ti­che di tanti attori regio­nali. Ma non man­cano le fonti di pre­oc­cu­pa­zione: secondo il quo­ti­diano Asharq ala­w­sat, oltre il 4% del Libano sarebbe oggi sotto il con­trollo dei mili­ziani dell’Isis e del suo alleato a metà, il Fronte al Nusra. In un simile con­te­sto il dia­logo for­zato tra Dama­sco e oppo­si­zioni siriane, comin­ciato ieri a Mosca, sem­bra già desti­nato a fal­lire: buona parte della Coa­li­zione Nazio­nale ha rifiu­tato di pren­dervi parte, men­tre il pre­si­dente Assad in un’intervista ha defi­nito le oppo­si­zioni «i burat­tini di Qatar, Ara­bia Sau­dita e Occidente».

Chiara Cruciati (Lista Disarmo)

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