Pseudo democrazia in pseudo repubblica (che scricchiola)
Gli uomini e le donne che occupano il parlamento non sono stati eletti
da nessuno: nessun cittadino, votando, ha scelto uno solo di quei nomi
(mancando, infatti, il voto di preferenza).
Quelle 945 persone, dunque, non rappresentano semplicemente niente.
Le loro leggi non hanno alcun valore, poiché nessun elettore ha
nominato, votando, quei figuri, delegandoli a scriverle.
Si tratta semplicemente di una banale colossale truffa per gonzi,
distratti e/o illusi.
In Italia non esiste alcuna Repubblica, solo una finzione mal fatta,
invalida (si noti che il termine “invalido” include un significato di
genere patologico) e non credibile.
Nessuno stato che rappresenti la popolazione, non c’è niente del genere.
Lo stato è un corpo separato e deviato della società: è meglio non dimenticarlo.
Forse non sono così in pochi a capirlo, visto che la tornata
elettorale di ieri ha visto un nuovo ulteriore calo di affluenza: il
38% di votanti indica che 3 cittadini su 5 considerano le istituzioni
un corpo estraneo, ed evidentemente la società reale si sta
riorganizzando sempre di più senza lo stato.
E’ un fatto.
L’arte del vivere include la minimizzazione del tempo ed energia che
siamo disposti a dedicare a ciò che non ci interessa. Perché la vita
sociale reale si svolge secondo rapporti di forza.
E la forza sociale di qualsiasi gruppo umano dipende da quanta gliene
concede la rimanente umanità.
Facciamo l’esempio della televisione: chi trasmette in realtà non ha
nessun speciale potere se non quello fornitogli da chi ascolta. Un
milione di individui che guardano e ascoltano il medesimo speaker
conferiscono un grande potere alle parole di un uomo solo, che vengono
amplificate dalla attenzione di un milione.
Se, il giorno dopo, zero persone ascoltano lo speaker, costui rimane
nudo e crudo così com’è: un uomo solo.
Ogni grande numero è dato dalla somma di tante unità: 1 + 1 + 1 + 1 +
1 +………..
Lo so, lo ho già scritto, ma torna utile anche qui: il potere sociale
è quello che viene dato da consenso e obbedienza, taciti o espliciti
che siano, il potere dunque discenda dalla partecipazione.
Senza partecipazione, potere non c’è.
E’ significativo il nuovo crollo di partecipazione elettorale di ieri:
appena il 38%.
Ciò vale a dire che 3 cittadini su 5 considerano le istituzioni un
corpo estraneo della società, e che il paese reale è occupato a
riorganizzare la sua vita senza lo stato, mentre l’intera classe
politica rappresenta una minoranza della popolazione, e figuriamoci
dunque un partito o una coalizione.
Lo stato è ladro e violento, ma il cittadino sembra interessato ad
espellerlo dalla sua esistenza, smettendo di alimentarlo col proprio
consenso.
Cosa sia lo stato è chiarissimo: è l’organizzazione politica,
amministrativa e militare che pretende di dirigere la società e
comandarla, attraverso leggi ed imposizioni delle medesime.
Finché la società lo sopporti, però, il che è tutto da vedere, stante
la continua disaffezione dei cittadini alle istituzioni vigenti,
disaffezione ampiamente motivata, e che si manifesta progressivamente
in modo sempre più evidente.
Alle elezioni, ormai, lo stato viene sostenuto da una minoranza di cittadini.
Lo stato è in minoranza nel paese.
Insomma, piaccia o no, lo stato è progressivamente sempre più debole,
per difetto di consenso.
Allora, si tratta di vedere se la società reale riesce a produrre
qualcosa di meglio al suo posto.
L’introduzione dei referendum abrogativi, deliberativi e legislativi
senza quorum mi sembra una ottima idea, ma, considerando che il potere
non si autoriforma, come osservava Giordano Bruno, ciò comporta
l’ipotesi di uno scontro frontale non indifferente tra popolazione e
resistenza di autodifesa dell’apparato statale.
Tuttavia, deve pur essere la società a comandare lo stato (o quale
altra forma organizzativa sia data), non viceversa.
Altrimenti si configura la condizione di tirannide, che è condizione
da abbattere.
Attualmente, siamo di fronte ad una tirannide pseudodemocratica:
finge di essere una democrazia, ma non lo è, si tratta di una
plutocrazia.
Forse hanno ragione i pessimisti, io questo non ho modo di saperlo, al
di là delle mie speranze personali.
In ogni caso, alla fine, qualunque barca va nel verso in cui spinge il
maggior numero di rematori: più che cercare di influire sulla
mentalità dei medesimi, proponendo di cambiare direzione non si può
fare.
La vita sociale procede in base a rapporti di forza, e solo cambiando
quelli può cambiare il risultato.
Infatti io ho scritto: “si tratta di vedere se la società reale riesce
a produrre qualcosa di meglio”.
A farla breve, nel luogo di lavoro dovrebbe contare lo scontro tra i
lavoratori e chi li sfrutta.
Se non c’è questo confronto e lotta non vedo cosa ci si possa
aspettare di utile.
Viviamo nella società fondata sullo sfruttamento di molti da parte di
pochi, questo è il nocciolo del problema da affrontare.
Vincenzo Zamboni