Proclama per il Decennale della fondazione del Nuovo Partito Comunista Italiano
Avanti nella lotta per instaurare il socialismo e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale!
Il X anniversario della fondazione del (n) PCI è l’occasione per fare il punto sul lavoro che abbiamo fatto, le lezioni che ne tiriamo e il lavoro che ci resta da fare per arrivare a instaurare il socialismo nel nostro paese e avviare la transizione dal capitalismo al comunismo. Con questo contribuiamo alla rivoluzione proletaria mondiale perché il primo paese imperialista che rompe le catene della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti mostra la strada e apre la via anche alle masse popolari degli altri paesi imperialisti e ai popoli oppressi di tutto il mondo.
La prima ondata della rivoluzione proletaria nella prima parte del secolo scorso aveva fatto compiere grandi passi in avanti a tutta l’umanità. È impossibile (e qui è la fonte della confusione di idee e dell’impotenza sul terreno politico anche di quella parte della sinistra borghese che si proclama comunista, come i gruppi dell’Autonomia) capire la logica della storia dell’umanità negli ultimi cento anni, imparare da essa come fare a promuovere e dirigere la trasformazione che l’umanità deve compiere, capire i motivi delle grandi conquiste strappate dalle masse popolari nei decenni passati e i motivi della successiva eliminazione di quelle conquiste, fare un giusto bilancio del passato e fare una giusta analisi del presente corso delle cose, se si prescinde dalla concezione comunista del mondo e se si prescinde dal ruolo che nella storia degli ultimi cento anni ha svolto l’ondata rivoluzionaria sollevata nel mondo intero dalla Rivoluzione dell’Ottobre 1917 che ha portato alla creazione dell’Unione Sovietica, per trent’anni base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, dal movimento comunista guidato prima da Lenin e da Stalin e poi da Mao Tse-tung. Questi fu alla testa prima della rivoluzione di nuova democrazia che ha portato nel 1949 alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese e poi della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) con cui cercò di far svolgere alla RPC il ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale che l’Unione Sovietica aveva abbandonato a partire dal 1956, data che segnò anche l’inizio della sua decadenza fino alla dissoluzione nel 1991.
Ma la grande ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita e nella seconda metà del secolo scorso gran parte dei primi paesi socialisti si sono in diversa misura integrati nel sistema imperialista mondiale. Perché si è esaurita? Principalmente perché il movimento comunista nel corso di quell’ondata, nonostante la miseria e le guerre che la borghesia infliggeva anche alle masse popolari dei paesi imperialisti, nonostante l’eroismo di milioni di militanti e dirigenti comunisti, non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista. Perché?
A questa storia appartengono anche il movimento comunista italiano e il primo Partito comunista italiano fondato a Livorno nel 1921 per impulso dell’Internazionale Comunista. Prima con l’eroica resistenza al fascismo e poi con la Resistenza (1943-1945) il PCI aveva conquistato il cuore e la mente delle masse popolari del nostro paese e raggiunto il massimo della sua forza. Ma non seppe continuare la rivoluzione socialista e instaurare il socialismo. Divenne la rappresentanza delle masse popolari (la loro “sponda politica”) nelle istituzioni della Repubblica Pontificia formata dal connubio, basato sul comune anticomunismo, di Vaticano, imperialisti americani, malavita organizzata (le Organizzazioni Criminali) e borghesia italiana e via via disperse il patrimonio che aveva accumulato, fino alla disgregazione del 1989 in cui hanno prosperato vermi e mostri come Bertinotti e Napolitano. Non sono valsi ad arrestare la degenerazione del PCI né gli sforzi della sua sinistra alla Secchia, Alberganti e altri, né l’impresa generosa della Brigate Rosse di ricostruire il partito comunista con la propaganda armata nel fuoco delle lotte dell’Autunno caldo e degli anni ’70. Perché?
Il primo compito del nuovo Partito comunista italiano era quindi di tirare le lezioni di questa storia, capire i motivi della sconfitta e tracciare la linea della rinascita. È quello che il nPCI ha fatto e il Manifesto Programma pubblicato nel 2008 espone la sintesi dei risultati raggiunti.
Avanziamo a un passo inferiore ai nostri desideri stante gli errori in una certa misura inevitabili in chi ha una direzione giusta ma si apre la strada in un terreno impervio che nessuno ha mai attraversato e stante i nostri propri limiti che dobbiamo superare. Ma il primo e più importante risultato è che abbiamo fatto nostro il patrimonio del movimento comunista, la concezione comunista del mondo elaborata da Marx e da Engels, sviluppata principalmente da Lenin, da Stalin e da Mao Tse-tung. Forti di quest’arma, abbiamo fatto un giusto bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, abbiamo ricavato dai suoi grandi successi, dai suoi errori e soprattutto dai suoi limiti e dal suo esaurimento di cui tutta l’umanità oggi sta pagando le conseguenze, grandi lezioni che stiamo applicando alla situazione particolare del nostro paese. Non ci lasciamo deviare da quelli che nel mezzo della crisi generale del capitalismo riproducono vecchi errori in forma nuova:
né dall’opportunismo di quelli per i quali la lotta contro il corso presente delle cose si riassume nell’elaborare obiettivi di buon senso e proclamare buone intenzioni per riprendere un posto nelle istituzioni della Repubblica Pontificia e dell’Unione Europea come rappresentanti (“sponda politica”) delle masse popolari: il Partito comunista è anzitutto promotore e dirigente della lotta per instaurare il socialismo ed eliminare quindi la Repubblica Pontificia, non “sponda politica”, portavoce delle masse popolari nelle istituzioni della RP,
né dal rivoluzionarismo di quelli che si riempiono la bocca di frasi rivoluzionarie e perfino comuniste, ma assimilano la storia dell’Unione Sovietica di Lenin e Stalin e dell’Internazionale Comunista alla triste vicenda del “socialismo reale” di Krusciov e di Breznev e del revisionismo di Togliatti e Berlinguer e ancora oggi riducono la lotta degli operai e delle masse popolari alla protesta, alla manifestazione combattiva, alla rivendicazione di un salario maggiore e di migliori condizioni di vita: in definitiva racchiudono la mente, il cuore e la lotta delle masse popolari nell’orizzonte della società borghese, non hanno alcuna strategia per instaurare il socialismo.
Noi dall’esperienza della prima ondata abbiamo imparato che la rivoluzione socialista non scoppia, non arriva come risultato spontaneo della propaganda comunista e delle lotte rivendicative delle masse popolari. La rivoluzione socialista è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, una guerra promossa, organizzata e diretta dal Partito comunista. Il primo passo della rivoluzione socialista è quindi la creazione di un Partito capace di promuovere la GPR. La strategia per instaurare il socialismo nel nostro paese è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.
Abbiamo fatto una giusta analisi del presente corso delle cose e definito una tattica adeguata alla fase. Forti di queste conquiste, facciamo i conti con gli ostacoli e risolviamo i problemi che incontriamo sul nostro cammino, man mano che ce ne rendiamo conto superiamo i nostri limiti e correggiamo i nostri errori e avanziamo.
Il precipitare tra il 2007 e il 2008 della crisi generale del capitalismo, l’inizio della fase acuta e terminale della crisi generale, richiedeva un cambiamento della nostra tattica, delle forme della GPR che conduciamo. È quello che il Partito ha fatto con la tattica del Governo di Blocco Popolare, della creazione delle condizioni per la sua costituzione, della promozione della costituzione di Organizzazioni Operaie nelle aziende capitaliste e di Organizzazioni Popolari nelle aziende pubbliche e nelle zone d’abitazione, delle Amministrazioni Locali d’Emergenza, dei Comitati di Salvezza Nazionale, il tutto finalizzato a costituire il GBP e farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia: la tattica che oggi stiamo applicando. La lotta per difendere l’esistenza e sviluppare l’attività del GBP contro l’aggressione della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti e contro le manovre dei vertici della RP porterà la rinascita del movimento comunista a un livello tale che sarà possibile instaurare il socialismo.
Dopo la scoperta della strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria, viene la scoperta della Riforma Morale e Intellettuale, seconda per importanza solo alla prima. Nell’applicazione della linea tracciata ci siamo resi conto che dobbiamo sviluppare la cura e la formazione di quanti aspirano a diventare comunisti e dei membri stessi del Partito fino a determinare la loro trasformazione. Nei paesi imperialisti per essere all’altezza del suo compito, per essere capace di dirigere la Guerra Popolare Rivoluzionaria, il Partito deve promuovere nelle sue file una riforma intellettuale e morale, che consta di studio (della concezione comunista del mondo, della storia del nostro paese, della sua composizione di classe e delle sue relazioni internazionali, del corso delle cose e della nostra linea) e di processi di critica-autocritica-trasformazione (per trasformare la concezione del mondo, la mentalità e in una certa misura anche la personalità dei singoli compagni). Bisogna distinguere nettamente e sistematicamente la riforma morale e intellettuale che i comunisti devono fare oggi grazie allo sforzo particolare e alla volontà che porta ognuno di loro a voler essere comunista, dalla riforma morale e intellettuale (in larga misura analoga per contenuto) che le masse popolari oggi non possono fare a causa delle condizioni in cui borghesia imperialista e il clero le confinano e che faranno via via nel corso della GPR ma soprattutto domani nella fase socialista (cioè dopo l’instaurazione del socialismo). Chiamare oggi le masse popolari a questa riforma come se fosse loro compito immediato, è anarchismo: in effetti se essa fosse possibile, sarebbe inutile il Partito. È principalmente sulla base della loro diretta esperienza assistita dall’opera del Partito che le masse popolari si libereranno dalle abitudini, dalla condotta, dalla morale e dalle idee e concezioni che riflettono la condizione pratiche in cui la borghesia e il clero le confinano e assurgeranno a un livello morale e intellettuale superiore all’attuale. Ma chiedere di scrivere poesie a uno a cui per le condizioni materiali in cui vive nessuno insegna a scrivere, è pazzia di chi lo chiede.
Confondere la rivoluzione morale e culturale che i comunisti devono compiere perché il loro partito sia all’altezza del suo compito, con la rivoluzione morale e intellettuale che farà delle masse popolari le protagoniste della società comunista (della “associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”) ha l’unico effetto pratico di limitare l’impegno nella rivoluzione morale e intellettuale dei singoli compagni e di conseguenza limitare la capacità dei singoli organismi del Partito e del Partito nel suo complesso di promuovere la GPR, vale a dire di:
portare in ogni gruppo delle masse popolari quella concezione dei compiti che il gruppo si pone che è più adatta a mobilitare la sua sinistra, promuovere le azioni che più mobilitano la sinistra del gruppo, individuare e far avanzare gli elementi più generosi e desiderosi di andare oltre, reclutandoli nel Partito;
vedere i mille appigli e spiragli che la società borghese in decomposizione presenta, approfittare di ognuno per raccogliere forze e risorse per far diventare ogni OO e OP un’istituzione e autorità del Nuovo Potere raccolto attorno al Partito e rendere la vita impossibile alle classi dominanti.
L’arretratezza nel promuovere nelle nostre file la riforma intellettuale e morale è la causa principale della lentezza con cui avanziamo. Promuovendo la riforma morale e intellettuale noi riprendiamo le fila dell’opera a cui invano Lenin nel IV congresso dell’IC (1922) avevano chiamato i comunisti dei paesi imperialisti. Essi furono deviati dal loro compito dall’eredità che ricevevano dal passato (le grandi organizzazioni di massa idealmente dedite a instaurare il socialismo, senza darsi gli strumenti per farlo effettivamente: cosa di cui solo pochissimi di essi si resero conto per cui erano “sorpresi dagli eventi”, impotenti) e dall’esistenza dell’Unione Sovietica (che sembrava fornire ad essi un irreversibile punto di riferimento e di inizio se non una guida, mentre essa era solo la base rossa che lo stesso movimento comunista dei paesi imperialisti aveva fatto sorgere, ispirando i suoi creatori con il proprio ideale e la propria fiducia nel futuro).
Sia nel promuovere la GPR in forme efficaci, adeguate alle condizioni del nostro paese sia nel promuovere la riforma morale e intellettuale nelle nostre file noi ci gioviamo largamente del contributo di Antonio Gramsci. Infatti nel breve periodo (dicembre 1923-novembre 1926) in cui su incarico dell’Internazionale Comunista diresse il primo PCI, Gramsci si mise alla testa dello sforzo per trasformarlo “in un partito di tiponuovo, realmente rivoluzionario e realmente comunista” per dire la cosa con le parole di Lenin che nel marzo 1922 giudicava la “trasformazione di un partito europeo di tipo vecchio, parlamentare, riformista di fatto e appena sfumato di colore rivoluzionario … un’impresa estremamente ardua” benché fosse convinto che i comunisti italiani l’avrebbero compiuta. A questa impresa Gramsci ha dedicato le sue riflessioni durante i lunghi anni di morte lenta a cui il regime fascista lo costrinse, riflessioni che ci sono giunte attraverso i Quaderni del carcere di cui facciamo tesoro.
Alcuni dicono che il nuovo PCI è una setta. Siamo veramente una setta? Dipende da cosa volete dire, cari denigratori!
Noi non nascondiamo le nostre concezioni, i nostri metodi e i nostri obiettivi. Nascondiamo accuratamente alle forze di repressione, di controllo e di investigazione della Repubblica Pontificia e della NATO i nostri effettivi, i nostri legami, la nostra struttura organizzativa. Voi vi fidate di loro, noi assolutamente no, ed incitiamo tutti a non fidarsi, a praticare la vigilanza rivoluzionaria.
Noi siamo portatori di una ben precisa concezione del mondo che ognuno dei membri del Partito deve assimilare. Non siamo “uniti al di sopra delle nostre divergenze”, “uniti mantenendo ognuno la sua identità”, ecc. La nostra concezione del mondo non è un tesoretto che ognuno si tiene stretto il suo: è guida della nostra attività. Come potremmo agire uniti se avessimo concezioni del mondo diverse? Ma la nostra concezione del mondo è una scienza: quindi ogni verità si misura con la pratica, si verifica nella sperimentazione.
Si arricchisce elaborando l’esperienza, come ogni scienza, tenendo conto delle contraddizioni di classe (non tutto quello che è vero per l’oppressore, è vero anche per l’oppresso), della contraddizione tra nuovo e vecchio (ogni cosa è ciò che è, ma è anche quello che può diventare), tra giusto e sbagliato (spesso una cosa non la si vede e capisce di colpo). In definitiva, la prova della verità di ogni teoria è il successo dell’attività che noi svolgiamo grazie ad essa.
Noi selezioniamo e formiamo con cura ogni membro del Partito, perché si trasformi moralmente e intellettualmente in modo da essere capace di fare la rivoluzione socialista. Ma proprio grazie a questo il Partito è capace di mobilitare le larghe masse a creare una nuovo mondo, ma non un mondo qualsiasi purché nuovo e diverso. Indichiamo un tipo ben preciso di società che corrisponde ai presupposti esistenti nella società attuale, quindi effettivamente realizzabile, che le masse popolari della società attuale hanno bisogno di realizzare anche se non ne sono consapevoli: si sentono male, ma non conoscono e tanto meno sanno curare la malattia stante le condizioni si asservimento materiale, morale e intellettuale in cui la borghesia e il clero le costringono.
Alcuni ci rinfacciano di essere ancora una piccola cosa. È vero noi oggi, dopo dieci anni di lavoro, siamo ancora una piccola organizzazione, siamo un fuoco piccolo ma vivace nella grande prateria della lotta di classe sempre più agitata dal vento della crisi generale del capitalismo.
Oggi nel nostro paese molti gruppi e personaggi che si dicono comunisti (e la questione non è l’onestà delle loro intenzioni, perché certamente molti sono onesti e sinceri) si agitano, starnazzano, si dimenano, sguazzano, annaspano, si barcamenano nel grande mare della lotta di classe. Tra di loro il nuovo PCI è il solo che, tanto più ampiamente quanto maggiori sono le sue forze, pubblicamente propone un bilancio della storia del passato, un’analisi sistematica e coerente del corso presente delle cose che gli avvenimenti confermano, una strategia e una tattica per costruire il futuro e salvo limiti ed errori sistematicamente la applica. Proprio perché abbiamo un preciso piano d’azione (che ci accusino pure di essere schematici e dogmatici, ma senza un preciso piano d’azione si fanno chiacchiere, non rivoluzioni!), noi abbiamo in ogni fase, in ogni momento e in ogni ambiente obiettivi definiti e precisi (e consideriamo arretrati quelli di noi che non hanno obiettivi precisi, che ciondolano da assemblea a manifestazione anziché perseguire obiettivi precisi).
Nelle relazioni con gli organismi e i movimenti esterni al Partito, nella nostra azione di massa (in breve, nel nostro lavoro esterno), noi non mettiamo in primo piano l’affinità di concezione e di linea con noi, le concezioni che professano, le parole d’ordine che proclamano e i distintivi che ostentano. Tutte cose che in molti casi cambiano rapidamente.
Noi mettiamo in primo piano il contributo che possono dare, che siamo capaci di far loro dare per la realizzazione del nostro piano e il raggiungimento del nostro obiettivo. Più importante di quello che Grillo, Vendola, Landini, Renzi o Papa Francesco pensano e anche di quello che dicono, è il ruolo che effettivamente hanno nel corso delle cose, quello che siamo capaci di cavarne ai fini della realizzazione del nostro piano generale per instaurare il socialismo e del nostro piano particolare del momento. Alcuni hanno difficoltà a capire quello che noi facciamo, solo perché loro non hanno un piano d’azione e cercano solo gruppi e personaggi che parlano come loro.
Il nostro modo di agire è coerente con la nostra concezione che la storia la fanno gli uomini, che ora grazie a una nuova scienza, alla scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, cioè alla concezione comunista del mondo, gli uomini possono fare la storia con scienza e coscienza, che il futuro sarà quello che gli uomini costruiranno, quindi “dipende da noi”, non dal destino, dalle classi dominanti, da forze oscure. Né i soldi né le armi di per sé fanno la storia: la borghesia imperialista e il clero ne accumulano senza limiti come matti, ma questo non li salva dalla rovina: sono come un carrettiere che non dirige più i cavalli anche se ha ancora in mano le briglia e agita furiosamente la frusta.
Certo noi facciamo molti errori anche se avanziamo nella direzione giusta, perché il terreno lo conosciamo man mano che avanziamo. Certo abbiamo molti limiti: non siamo la fine del mondo e molte cose dobbiamo impararle e siamo grati a chi ce le insegna.
Alcuni ci rimproverano di credere di “avere la verità in tasca”. Certamente noi cerchiamo di farci idee precise e giuste e di praticarle. Usiamo quello che sappiamo e mettiamo alla prova quello che capiamo: chi esita e si culla nei dubbi, non agisce e non verifica. Correggiamo le nostre idee quando ci rendiamo conto che sono sbagliate o superate. Siamo grati a chi ci fa capire un errore, non a chi semina dubbi, anche perché è sempre possibile trovare una qualche buona ragione anche a sostegno della tesi più sballata. Combattiamo anche al nostro interno ogni segno di cedimento e ogni tendenza all’attendismo, alla dispersione e alla disperazione. Se sbagliamo, ci correggeremo.
Se necessario, ricominceremo dieci volte. Ogni volta che troveremo abbiamo imboccato un vicolo cieco, ritorneremo indietro e ricominceremo. Ma alla fine vinceremo perché la nostra causa è la causa di tutte le classi sfruttate e dei popoli oppressi di tutto il mondo, è l’unico futuro dell’umanità dati i progressi che ha compiuto finora, dato il punto a cui la società borghese l’ha portata.
È determinismo, è fatalismo questo? Il mondo del futuro non può che essere comunista; il nostro futuro immediato non può che essere il socialismo, fase inferiore del comunismo. Si tratta di un sistema di relazioni sociali e di comportamenti individuali che gli uomini devono adottare per andare avanti, dato il punto in cui sono oggi.
Analogamente a come, quando erano a uno stadio grossomodo eguale a quello a cui sono rimaste le scimmie, per sopravvivere e diffondersi nel mondo dovettero lavorare, inventare strumenti e creare condizioni per produrre cibo e ripararsi dagli eventi naturali e dal clima avverso. Quindi quello che devono compiere, il passaggio dalla società borghese al comunismo è un passaggio determinato dalle condizioni in cui l’umanità è oggi. `L’umanità può compierlo perché ha i mezzi materiali, intellettuali e morali per compierlo. Ma è possibile compierlo solo se gli individui in numero sufficiente e a un livello sufficiente hanno coscienza del passaggio che devono compiere, imparano ed elaborano la scienza della costruzione che devono fare e guidano a farlo anche quelli che non ne hanno ancora coscienza.
Quindi è qualcosa che gli uomini fanno perché vogliono farlo, hanno coscienza di doverlo fare, imparano come farlo.
È con questo spirito che celebriamo il X anniversario della fondazione del Partito, mentre la borghesia imperialiste e in particolare la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti travolgono nuovamente l’umanità in una tormenta dolorosa e sanguinosa, da un capo all’altro della terra, analoga ma più grave di quella che il sistema imperialista mondiale impose all’umanità cento anni fa.
I capitalisti nostrani e di altri paesi, i loro portavoce, amministratori e servi (servi sono anche se si tratta di illustri professori, premi Nobel e grandi dirigenti sindacali) si accapigliano tra loro, non riescono a mettersi d’accordo. Hanno interessi contrastanti e valutano diversamente le circostanze e cosa gli convenga fare. Alti prelati e dirigenti di alto rango si accalcano ognuno con le sue proposte.
Devono spogliare gli operai, eliminare diritti. Più spogliano ed eliminano, maggiori i profitti: in questo sono tutti d’accordo. Ma quanto tirare la corda senza che si spezzi? Qui si creano divergenze.
Per soddisfare il capitale finanziario mondiale (una massa enorme di capitale che vuole crescere, una massa che ai prezzi correnti dei titoli dovrebbe essere dell’ordine di 10 milioni di miliardi di dollari, cento volte il PIL mondiale) non basta comunque spremere gli operai. Devono tagliare i redditi dei dipendenti pubblici. Devono eliminare quello che ancora resta delle conquiste di civiltà e di benessere strappate dalle masse popolari durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Devono succhiare i risparmi dovunque le masse popolari ne hanno ancora: che siano soldi, case o altre proprietà. Devono spogliare il ceto medio, spremere i lavoratori formalmente autonomi con imposte, tasse, tariffe, interessi, con affitti e altre rendite, con regolamenti, con il sistema dei prezzi di monopolio. Qui incominciano altre divergenze, perché molti capitalisti devono pur vendere e le masse popolari per loro sono clienti: se non hanno soldi, se salari, pensioni, stipendi calano, come comprano?
Ma dove i contrasti esplodono più diretti e diffusi è che i campi per fare buoni affari ogni capitalista li trova già occupati da altri capitalisti.
Per fare affari li deve soppiantare. “Siamo in guerra”, riassume Marchionne. Questo quadro di contrasti è alla base delle relazioni internazionali: dei contrasti, delle alleanze e delle guerre. In ogni paese si esprime nelle relazioni tra classi, gruppi e individui. Il capitalismo per sua natura contrappone individui, gruppi, classi e paesi. Oggi, date le dimensioni che ha raggiunto e la crisi generale che ne è derivata, rende difficile se non impossibile la vita a una parte crescente dell’umanità. Per di più sull’umanità incombe il disastro ambientale: è il risultato inevitabile del sistema capitalista e la crisi generale del capitalismo lo accelera e aggrava.
Noi comunisti sappiamo come l’umanità esce da tutto questo marasma.
Né la destra né la sinistra borghesia possono portare il mondo fuori dal marasma creato dal sistema borghese. Di fronte alla malattia che affligge l’umanità, la destra borghese ha le conoscenze e gli strumenti del cerusico o dello stregone e le applica: dirige e coinvolge l’umanità in una catastrofe sempre più grave. La sinistra borghese chiacchiera, le ripugnano le azioni della destra borghese ma se agisce, agisce come la destra: “non c’è alternativa”, “non si può fare diversamente”. Noi comunisti conosciamo la scienza medica, sta a noi applicarla.
Viva il nuovo Partito comunista italiano!
NPCI – nuovopci@autistici.org