Chi tocca israele muore, soprattutto se è un “traditore” ebreo.. – La storia del rapimento a Roma di Mordechai Vanunu che osò rivelare al mondo la potenza nucleare israeliana
La storia del rapimento di Mordechai Vanunu che venne sequestrato a Roma nel 1986 da alcuni agenti del Mossad, per aver rivelato al mondo la potenza nucleare israeliana.
Poche parole tracciate malamente con un pennarello nero sul palmo della mano, aperta a sorpresa mentre il furgone bianco e azzurro usciva dal tribunale sulla via Salah Al Din, a Gerusalemme Est. Un messaggio, il piu’ chiaro possibile in quelle condizioni, mostrato a noi giornalisti, fotografi e cineoperatori fermi nella speranza di vedere l’uomo che aveva osato raccontare a un giornale inglese la verita’ sul programma nucleare israeliano.
In manette, da dietro il vetro sporco del cellulare della polizia israeliana, Vanunu denunciava il proprio rapimento avvenuto a Roma, dove era arrivato con un volo delle linee aeree britanniche.
Negli arsenali sparsi in varie localita’ d’Israele ci sono almeno duecento ordigni, di misura e potenza varia, pronti a bloccare o punire chi tenta di distruggere lo stato d’Israele. ”Mai piu’ un’altra Shoah” e’ il grido di battaglia dei politici e dei militari israeliani che, per anni, avevano giurato al mondo che non avrebbero mai introdotto per primi un’arma nucleare nello scacchiere mediorientale. Prima dell’exploit di Vanunu c’erano state tante polemiche e rivelazioni sul nucleare israeliano. Da dove era arrivata la tecnologia? Chi aveva fornito l’uranio? Dove venivano preparati gli ordigni? Un mistero ormai in buona parte svelato, anche se formalmente ancora coperto dalla massima segretezza.
Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione, ma la rivista Jane’s, specializzata in questioni militari, ha offerto al suo pubblico cio’ che le ispezioni delle Nazioni Unite non hanno mai potuto fornire. Descrizione dei luoghi di stoccaggio delle armi nucleari e della loro tipologia, segnalazioni delle zone dove, durante vari conflitti, erano dislocate le testate montate sui missili Gerico pronti al lancio e puntati in direzione del nemico. Inoltre, indicazioni sulle aree pattugliate dai sommergibili di fabbricazione tedesca, probabilmente in grado di sferrare dal mare una risposta a un eventuale attacco a Israele, se necessario anche con armi di distruzione di massa.
Chi, arrivando a Tel Aviv o a Gerusalemme Ovest, chiede l’accredito come giornalista, dive sottoscrivere un accordo per rispettare la censura su una miriade stupefacente di argomenti. Da qualche anno le due o tre pagine fitte di temi vietati, per i quali era necessaria una dispensa della censura, sono state ridotte, anche perche’ di rado le regole rimaste in piedi dai tempi del Mandato britannico venivano applicate in modo stringente. Come considerare segreto di stato uno sciopero? O un incidente ferroviario? Come non parlare di attentati e azioni di guerra quando la radio, sempre accesa anche sui mezzi pubblici, informava in tempo reale di cio’ che succedeva nel paese?
Qualche argomento, pero’, resta ancora tabu’: l’arsenale nucleare e le postazioni delle rampe di lancio, la centrale nucleare di Dimona nel deserto del Negev e cio’ che succede nei laboratori ultrasegreti della guerra chimica e biologica di Nes Tsiona, a sud di Tel Aviv.
Corrispondenti e inviati stranieri evitano di trattare questi temi ma piu’ di una volta giornalisti israeliani hanno fornito a quotidiani e settimanali stranieri informazioni ”riservate” perche’ fossero pubblicate.
Una volta di dominio pubblico all’estero, infatti, le storie possono essere trattate con tutte le cautele del caso anche dalla stampa locale.
Mordechai Vanunu lavorava alla centrale di Dimona. Cresciuto in una famiglia estremamente religiosa, cio’ che vide nei laboratori sotterranei, protetti da metri e metri di cemento armato, provoco’ in lui una crisi spirituale e morale. In impianti come quello nel Negev la sicurezza e’ ai massimi livelli. Un caccia israeliano che si era avvicinato troppo venne abbattuto quando il pilota, per un guasto agli apparati di bordo, non si rese conto di essere pericolosamente fuori rotta e non rispose all’ordine imperativo di allontanarsi. Impiegati e scienziati sono selezionati con cura. Il loro passato e’ sviscerato a fondo, le famiglie esaminate al microscopio. Eppure, il servizio preposto al controllo dell’impianto nucleare in collaborazione con lo Shin bet non si accorse della fragilita’ psicologica di Vanunu e nemmeno della piccola macchina fotografica con la quale scatto’ decine di immagini. La vicenda e’ relativamente lunga, ma a noi interessa soprattutto il finale romano.
Vanunu, con un pacco di fotografie nella borsa, lascio’ Israele e il suo lavoro senza sollevare sospetti. Se ne ando’ in Australia, dove cerco’ di far pubblicare la sua storia.
Un giornale del gruppo appartenente a Robert Maxwell, magnate della stampa molto vicino al Mossad e forse ucciso dal Mossad, non era interessato a far uscire il pezzo, ma il giornalista chiamo’ i servizi segreti australiani, che inviarono una segnalazione a Tel Aviv. Dalla base, sulle rive del Mediterraneo, partirono ordini chiari: rintracciate Vanunu e datevi da fare per capire se quelle foto possono costituire un pericolo. Scoprire che l’uomo aveva lavorato a Dimona fu questione di pochi minuti. Ogni israeliano senza carta d’identita’ e il suo prezioso numero che lo segue ovunque, dalla banca al supermercato, dall’ufficio passaporti al circolo, e’ nudo.
La sequenza di cifre apre le porte, ma e’ anche il modo con cui il Grande Fratello monitora ogni frammento della vita del cittadino. Shimon Peres, all’epoca primo ministro, venne immediatamente informato del problema.
Il Mossad dipende direttamente dal premier e Peres, oltretutto, e’ considerato il padre del nucleare israeliano. Non ha mai indossato la divisa o combattuto con un’arma in pugno, ma ha dato al suo paese la sua arma piu’ potente.
Mentre gli agenti israeliani gli davano la caccia, Vanunu si era trasferito dall’Australia a Londra, alla ricerca di un giornale disposto a pubblicare la sua storia. Non poteva sapere che anche Maxwell era un agente di Israele e nemmeno che il capo servizio esteri di uno dei suoi piu’ importanti quotidiani lavorasse, come molti altri giornalisti, per il Mossad.
Da Tel Aviv partirono altri agenti, inconsapevoli del fatto che Vanunu avesse contattato anche il Sunday Times e che il suo racconto, in mano a uno dei piu’ noti e stimati reporter del settimanale, stesser per essere pubblicato. Per anni Israele ha negato di aver rapito Vanunu. Soltanto nel marzo del 1995, quasi dieci anni dopo il fatto, la censura militare ha perso la battaglia scatenata dalla stampa israeliana per poter raccontare cio’ che ormai sapevano tutti. Era stato Peres in persona a dare l’ordine di catturare il traditore e riportarlo in patria.
Vanunu doveva essere interrogato; era necessario capire cosa sapeva e impedirgli di far pubblicare le immagini del cuore strategico di Dimona, con le prove che Israele aveva gia’ montato quasi duecento ordigni nucleari. Il premier, indirettamente, scelse Roma per portare a termine l’operazione. Yossi Melman, esperto di spionaggio del quotidiano Haaretz, scrisse in proposito : ‘Peres fece sapere che non intendeva creare uno scandalo con il governo della signora Thatcher. Occorreva trovare un luogo sicuro per l’operazione. Con Francia e Germania c’era il pericolo di una crisi. Allora fu scelta l’Italia. E’ risaputo che i rapporti tra i servizi segreti israeliani e italiani sono sempre stati ottimi. Oltretutto Roma e’ una citta’ dove risulta molto facile operare indisturbati.”
E dove, ormai e’ chiaro, la collaborazione tra i servizi segreti e la complicita’ del governo italianoe’ tale da mettere a tacere ogni forma di legalita’.
Ma come far arrivare Vanunu a Roma? Niente di piu’ facile per l’agente del Mossad Cheryl Hanin Bentov. Nelle prime versioni, filtrate attraverso le maglie dei servizi segreti, l’incontro a Leicester Square fu casuale. La verita’ e’ un’altra. Le spie a mezzo servizio con il giornalismo britannico sapevano piu’ o meno dove alloggiava. E gli agenti, arrivati di corsa da Tel Aviv, non ci misero molto a rintracciarlo. L’esca sarebbe stata Cheryl, nome scelto per l’occasione: Cindy. Come resisterle? Era carina, quasi bella, una bruna diventata bionda per essere piu’ seducente, un corpo pieno, giovane ma non troppo da insospettire. E poi, quel sorriso cosi’ ammaliante. Mordechai la vede per la prima volta riflessa nella vetrina di una bottega tra Soho e Piccadilly. I loro sguardi si incrociano. Gli occhi di Cindy, invece di sfuggire, restano fissi in quelli di lui.
Un invito a cui il timido Mordechai non puo’ resistere. ”Turista anche tu?”. Una domanda innocente, sufficiente per avviare una conversazione. Lei, gli dice, fa la parrucchiera, e’ un’ebrea americana. ”Un caffe’ insieme?” Fu il primo di molti. L’uomo scappato dalle viscere della centrale nucleare nel deserto aveva abboccato in pieno. Aveva bisogno di compagnia, di coccole, e la giovane donna sapeva cosa dire, di cosa parlare. ”Sto andando a Roma a trovare mia sorella. Ha un appartamento. Vieni anche tu, possiamo stare da lei”. Mordechai aveva appena finito di raccontare la sua storia ai giornalisti del Sunday Times.
La mattina del 30 settembre, pero’, e’ il Sunday Mirror, tabloid di Maxwell imbeccato dal Mossad e dalle autorita’ di Tel Aviv, a pubblicare una foto di Vanunu corredata da una storia di finte rivelazioni sul nucleare israeliano, nel tentativo di screditare l’articolo in uscita sul giornale concorrente e la testimonianza di Vanunu.
”Ho paura” disse Mordechai a uno dei giornalisti del Times ”vado via per un lungo weekend con Cindy”. L’incontro con la giovane donna americana non era un segreto, ma la storia non convinceva i giornalisti. Gli dissero di non partire. ”Potrebbe essere una trappola, qui in Gran Bretagna non ti succedera’ nulla”. Avevano ragione.
I servizi segreti britannici erano stati informati di tutto dai loro colleghi di Tel Aviv e non avevano problemi a collaborare. Unica richiesta : ”Non ci mettere in difficolta’ con un colpo di mano qui da noi”. In un primo momento il Mossad aveva pensato di eliminare Vanunu, ma l’idea fu scartata. Non avrebbero impedito al giornale di pubblicare le rivelazioni su Dimona e un assassinio avrebbe messo in difficolta’ sia Israele sia il governo di Londra. Ed ecco l’idea di portare il traditore fuori dalla Gran Bretagna. Fu un viaggio tranquillo. Vanunu era felice, Cindy sapeva giocare bene il ruolo di donna mezza innamorata. Una macchina li attendeva a Fiumicino e la cosa, ammise Vanunu molti anni dopo, l’aveva insospettito. Non ebbe il tempo di riflettere piu’ di tanto.
Arrivarono rapidamente all’appartamento ”della sorella di Cindy” e, invece di trovare una donna, ad accogliere Vanunu c’erano tre agenti del Mossad. Si accorse appena della siringa nel braccio. Il potente sonnifero fece subito effetto, dando modo ai rapitori di legare il prigioniero, bendarlo, imbavagliarlo e trascinarlo fuori dall’appartamento in una ‘comoda’ cassa. Una versione aggiornata di quel baule nel quale, anni prima, l’israeliano Mordechai Louk stava per essere spedito da Fiumicino in Egitto. Dove gli egiziani fallirono, gli israeliani, grazie anche ai loro rapporti privilegiati con i colleghi italiani, ebbero successo.
La cassa fu adagiata in uno di tre furgoni presi in affitto dal Mossad e trasportava alla Spezia, lo stesso porto da dove migliaia di profughi ebrei erano salpati per la Palestina. Secondo quanto accertato da un giornalista del Sunday Times. Vanunu venne imbarcato su un cargo israeliano, il Tapuz- significa ”arancia” in ebraico – battente bandiera panamense.
Questo il racconto di alcuni membri dell’equipaggio: ”Ci fecero attendere al largo del porto per tre giorni. Finche’, una sera, ricevemmo l’ordine di chiuderci tutti nella sala da pranzo al ponte inferiore. Poi sentimmo il rumore di un motoscafo, salirono a bordo due uomini e una donna con un prigioniero che sembrava narcotizzato. Ma non ci fu mai un vero contatto tra noi e loro, se non quando conducevano il prigioniero al gabinetto. La ragazza pero’ era molto dura. Pretendeva dal cuoco i pranzi piu’ elaborati a tutte le ore e si faceva almeno tre docce al giorno, pur sapendo che avevamo poca acqua dolce a bordo.”
La Spezia, Marsiglia, poi Israele. Il 9 novembre, a Tel Aviv, l’annuncio: Vanunu il Traditore e’ in un carcere segreto. Quattro giorni prima, constatata la sua scomparsa, il Sunday Times aveva pubblicato quanto avevano saputo dal tecnico israeliano e controllato grazie a vari esperti di strutture nucleari. Tre pagine piene di fotografie scattate a Dimona e del racconto del Traditore. ”Guarda, questo e’ l’immenso danno che hai fatto al tuo paese” gli dissero gli agenti che lo accolsero ad Ashdod mostrandogli il settimanale britannico. Vanunu fu confinato per anni in isolamento, prima e dopo il processo a porte chiuse e la condanna a 18 anni, tutti scontati. Per la stampa israeliana la vicenda aveva due aspetti da approfondire: l’identita’ delal donna-esca e la questione nucleare. Cindy-Cheryl fu rintracciata in Israele, che lascio’ per trasferirsi con la famiglia a Orlando, in Florida.
La versione accreditata da Tel Aviv parla di una specie di prepensionamento, visto che era stata individuata e non sarebbe piu’ stata utile al Mossad. Altri sostengono che sia in missione con il marito, un ‘ex’ dell’intelligence militare. I due, ufficialmente, gestiscono un’agenzia immobiliare in un quartiere molto ricco della citta’. Amici e conoscenti dicono di non sapere che fu lei a trascinare Vanunu a Roma.
E qui arriviamo a cio’ che ci interessa. Il rapimento e’ stato al centro di un’indagine giudiziaria finita nel nulla, come tante altre impostate dai magisrati inquirenti italiani sull’attivita’ dei servizi segreti israeliani.
Quella frase scritta sul palmo della mano di Vanunu e ripresa dalla stampa di mezzo mondo indusse il giudice romano Domenico Sica ad aprire un fascicolo sul ‘presunto rapimento’. Nell’estate del 1998, dopo essere stato criticato dall’avvocato israeliano del tecnico di Dimona e dalla stampa israeliana, il giudice fu costretto a spiegare perche’ aveva deciso di archiviare il caso. Sica aveva impiegato due anni per arrivare alla conclusione che Vanunu non era un traditore, bensi un agente del Mossad che aveva orchestrato l’intera vicenda per depistare gli ambienti interessati a conoscere la reale situazione della ricerca nucleare nel laboratorio di Dimona. Ma come e’ arrivato a tale certezza?
L’avvocato di Vanunu non ha dubbi sulla collusione tra le autorita’ italiane e israeliane e sul fatto che il magistrato deve aver agito per affossare il caso. E’ dello stesso parere Meir, fratello di Vanunu, intervistato dal quotidiano ‘Il manifesto’. Era in atto il solito scontro tra i componenti filoisraeliani e filoarabi all’interno dei servizi segreti italiani e del governo, e probabilmente il magistrato ha ritenuto piu’ facile far finire nel dimenticatoio l’intera questione.
”Dissi a Sica che la cosa da fare era richiedere un incontro con mio fratello, perche’ Mordechai era l’unico in grado di fare chiarezza sulla vicenda del rapimento. Sica avrebbe dovuto recarsi in Israele, ma non lo fece. Nell’agosto 1987 andai di nuovo in Italia con Peter (Hounam, il reporter che pubblico’ per primo le rivelazioni di Vanunu, Ndr) e diedi a Sica informazioni sul rapimento, di cui ero venuto a conoscenza a seguito di un incontro con mio fratello in carcere. Quelle stesse rivelazioni furono rese pubbliche poco dopo a Londra. La conseguenza fu che le autorita’ israeliane sentenziarono, in base all’accusa di spionaggio, che il mio ritorno in Israele entro i successivi 15 anni avrebbe comportato il mio arresto. Tornai in Israele nove anni dopo, nel settembre 1996, a condizione di rispondere alle domande dei servizi segreti israeliani. Mi ritirarono il passaporto, ma alla fine non fu intrapresa alcuna azione nei miei confronti.”
Sul perche’ il rapimento sia avvenuto a Roma, Meir ha le idee abbastanza chiare ‘Forse la Gran Bretagna rispetta a propria sovranita’ piu’ dell’Italia. O almeno lo ha fatto in quella circostanza. Forse la scelta di Roma e’ stata determinata dal fatto che l’Italia era un terreno piu’ facile. E il modo in cui sono andate le cose lo dimostra. Inoltre esiste una condizione piu’ ampia, legata alla collaborazione tra servizi di diversi paesi.
Il fatto che l’Italia fosse piu’ docile dipende anche dal ruolo della CIA nel paese, e poi non dimentichiamo che l’allora governo Peres era vicino al governo italiano. Comunque, e’ ora di riaprire il caso. Un turista e’ stato rapito in terra italiana, drogato e trasportato sull’altra sponda del Mediterraneo da agenti segreti di un altro paese, in barba al diritto internazionale e alle leggi italiane. Violando la sovranita’ dello stato italiano. Per l’Italia va bene cosi? ”
Ci furono, come per altri casi sospetti, molte interrogazioni parlamentari. C’era chi voleva capire se per l’Italia tutto andasse ”bene cosi”. Nella seduta della Camera del 17 febbraio 1988, Mario Capanna si rivolse al ministro degli Esteri per sapere: ‘’se in seguito a queste nuove conferme del fatto che Mordechai Vanunu e’ stato rapito e trasportato illegalmente fuori dal nostro paese a opera dei servizi israeliani, in dispregio alle leggi e alla sovranita’ nazionale, non intenda chiarire gli aspetti oscuri di questa vicenda inquietante, non essendo certamente credibile la versione ufficiale delle autorita’ israeliane che vorrebbe Vanunu rientrato volontariamente nel proprio paese, dove rischia la pena capitale in un clima di intimidazione anche nei confronti della sua famiglia; se non intenda muovere passi verso le competenti autorita’ israeliane allo scopo di conoscere i motivi per i quali abbiano deciso ed attuato un atto contrario alla legislazione internazionale e di salvaguardare la vita di Mordechai Vanunu.”
Gli rispose l’allora sottosegretario Raffaelli, sollecitando tutti ad attendere il risultato dell’inchiesta giudiziaria.
Vale la pena leggere qualche brano della sterminata deposizione resa dall’ammiraglio Martini il 6 ottobre 1999 alla ”Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabili delle stragi”. Dopo aver confermato che i servizi da lui diretti erano in ottime relazioni con quelli israeliani, ha parlato dell’affare Vanunum affermando di aver ‘minacciato di espellere il capo del centro israeliano a Roma, fintanto che un emissario del Governo israeliano non venne a spiegare al Governo italiano come era andata al faccenda” :
”PRESIDENTE : Capisco cio’ che lei dice, la logica occidentale, giusta e legittima del nostro sistema di alleanze, in cui era coerente alla fedelta’ occidentale essere amici di Israele. Le volevo fare pero’ un’altra domanda. La possibilita’ di ”concludere azioni spesso spettacolari, non consentite ad altri servizi che operano con le regole del tempo di pace”, e’ stata consentita al Mossad anche in territorio italiano, cioe’ un po’ di ammazzamenti.
MARTINI : Durante il mio periodo non ci sono stati ammazzamenti.C’e’ stato il rapimento Vanunu, che poi e’ stato risolto per le vie…
PRESIDENTE : Quindi questo libro, ‘Vendetta. La storia vera di una missione dell’antiterrorismo israeliano” di George Jonas, che racconta come diversi agenti di Al Fatah siano stati uccisi a Roma nel territorio urbano….
MARTINI : Uno e’ stato ucciso prima che arrivassi io. E’ stato ucciso in via Veneto. D’altra parte se il governo di Israele autorizzava questo tipo di operazioni (…). Anche i francesi durante la guerra di Algeria fecero saltare….
PRESIDENTE : Ammiraglio Martini, mi sto misurando con questo problema laicamente. Forse facevano anche bene dal loro punto di vista e probabilmente coloro che lo facevano rischiavano la vita. La mia domanda pero’ intendeva conoscere in base a che tipo di intese un Servizio segreto puo’ ammazzare della gente in territorio italiano con noi che facciamo finta di niente.
MARTINI : Non e’ che facciamo finta di niente, perche’ quando Vanunu dichiaro’,mostrando la mano al di la’ del finestrino, che era stato rapito a Roma , si ebbe quasi una rottura delle relazioni diplomatiche tra noi e Israele. Evidentemente Israele non si comporto’ bene in quell’occasione. Se poi Israele – sempre precedentemente al periodo in cui sono stato capo del servizio- ha ammazzato qualcuno a Roma, io non posso saperne nulla”
Se vogliamo credere alla parole di Martini, dovrebbe venire come minimo qualche dubbio sulla capacita’ operativa dei nostri servizi segreti.
Fonte : Mossad base Italia
Rapimento a Roma
Poche parole tracciate malamente con un pennarello nero sul palmo della mano, aperta a sorpresa mentre il furgone bianco e azzurro usciva dal tribunale sulla via Salah Al Din, a Gerusalemme Est. Un messaggio, il piu’ chiaro possibile in quelle condizioni, mostrato a noi giornalisti, fotografi e cineoperatori fermi nella speranza di vedere l’uomo che aveva osato raccontare a un giornale inglese la verita’ sul programma nucleare israeliano.
In manette, da dietro il vetro sporco del cellulare della polizia israeliana, Vanunu denunciava il proprio rapimento avvenuto a Roma, dove era arrivato con un volo delle linee aeree britanniche.
Negli arsenali sparsi in varie localita’ d’Israele ci sono almeno duecento ordigni, di misura e potenza varia, pronti a bloccare o punire chi tenta di distruggere lo stato d’Israele. ”Mai piu’ un’altra Shoah” e’ il grido di battaglia dei politici e dei militari israeliani che, per anni, avevano giurato al mondo che non avrebbero mai introdotto per primi un’arma nucleare nello scacchiere mediorientale. Prima dell’exploit di Vanunu c’erano state tante polemiche e rivelazioni sul nucleare israeliano. Da dove era arrivata la tecnologia? Chi aveva fornito l’uranio? Dove venivano preparati gli ordigni? Un mistero ormai in buona parte svelato, anche se formalmente ancora coperto dalla massima
segretezza. Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione, ma la rivista Jane’s, specializzata in questioni militari, ha offerto al suo pubblico cio’ che le ispezioni delle Nazioni Unite non hanno mai potuto fornire. Descrizione dei luoghi di stoccaggio delle armi nucleari e della loro tipologia, segnalazioni delle zone dove, durante vari conflitti, erano dislocate le testate montate sui missili Gerico pronti al lancio e puntati in direzione del nemico. Inoltre, indicazioni sulle aree pattugliate dai sommergibili di fabbricazione tedesca, probabilmente in grado di sferrare dal mare una risposta a un eventuale attacco a Israele, se necessario anche con armi di distruzione di massa.
Chi, arrivando a Tel Aviv o a Gerusalemme Ovest, chiede l’accredito come giornalista, dive sottoscrivere un accordo per rispettare la censura su una miriade stupefacente di argomenti. Da qualche anno le due o tre pagine fitte di temi vietati, per i quali era necessaria una dispensa della censura, sono state ridotte, anche perche’ di rado le regole rimaste in piedi dai tempi del Mandato britannico venivano applicate in modo stringente. Come considerare segreto di stato uno sciopero? O un incidente ferroviario? Come non parlare di attentati e azioni di guerra quando la radio, sempre accesa anche sui mezzi pubblici, informava in tempo reale di cio’ che succedeva nel paese? Qualche argomento, pero’, resta ancora tabu’ : l’arsenale nucleare e le postazioni delle rampe di lancio, la centrale nucleare di Dimona nel deserto del Negev e cio’ che succede nei laboratori ultrasegreti della guerra chimica e biologica di Nes Tsiona, a sud di Tel Aviv. Corrispondenti e inviati stranieri evitano di trattare questi temi ma piu’ di una volta giornalisti israeliani hanno fornito a quotidiani e settimanali stranieri informazioni ”riservate” perche’ fossero pubblicate.
Una volta di dominio pubblico all’estero, infatti, le storie possono essere trattate con tutte le cautele del caso anche dalla stampa locale.
Mordechai Vanunu lavorava alla centrale di Dimona. Cresciuto in una famiglia estremamente religiosa, cio’ che vide nei laboratori sotterranei, protetti da metri e metri di cemento armato, provoco’ in lui una crisi spirituale e morale. In impianti come quello nel Negev la sicurezza e’ ai massimi livelli. Un caccia israeliano che si era avvicinato troppo venne abbattuto quando il pilota, per un guasto agli apparati di bordo, non si rese conto di essere pericolosamente fuori rotta e non rispose all’ordine imperativo di allontanarsi. Impiegati e scienziati sono selezionati con cura. Il loro passato e’ sviscerato a fondo, le famiglie esaminate al microscopio. Eppure, il servizio preposto al controllo dell’impianto nucleare in collaborazione con lo Shin bet non si accorse della fragilita’ psicologica di Vanunu e nemmeno della piccola macchina fotografica con la quale scatto’ decine di immagini. La vicenda e’ relativamente lunga, ma a noi interessa soprattutto il finale romano.
Vanunu, con un pacco di fotografie nella borsa, lascio’ Israele e il suo lavoro senza sollevare sospetti. Se ne ando’ in Australia, dove cerco’ di far pubblicare la sua storia. Un giornale del gruppo
appartenente a Robert Maxwell, magnate della stampa molto vicino al Mossad e forse ucciso dal Mossad, non era interessato a far uscire il pezzo, ma il giornalista chiamo’ i servizi segreti australiani, che inviarono una segnalazione a Tel Aviv. Dalla base, sulle rive del Mediterraneo, partirono ordini chiari: rintracciate Vanunu e datevi da fare per capire se quelle foto possono costituire un pericolo. Scoprire che l’uomo aveva lavorato a Dimona fu questione di pochi minuti. Ogni israeliano senza carta d’identita’ e il suo prezioso numero che lo segue ovunque, dalla banca al supermercato, dall’ufficio passaporti al circolo, e’ nudo. La sequenza di cifre apre le porte, ma e’ anche il modo con cui il Grande Fratello monitora ogni frammento della vita del cittadino. Shimon Peres, all’epoca primo ministro, venne immediatamente informato del problema. Il Mossad dipende direttamente dal premier e Peres, oltretutto, e’ considerato il padre del nucleare israeliano. Non ha mai indossato la divisa o combattuto con un’arma in pugno, ma ha dato al suo paese la sua arma piu’ potente.
Mentre gli agenti israeliani gli davano la caccia, Vanunu si era trasferito dall’Australia a Londra, alla ricerca di un giornale disposto a pubblicare la sua storia. Non poteva sapere che anche Maxwell era un agente di Israele e nemmeno che il capo servizio esteri di uno dei suoi piu’ importanti quotidiani lavorasse, come molti altri giornalisti, per il Mossad. Da Tel Aviv partirono altri agenti, inconsapevoli del fatto che Vanunu avesse contattato anche il Sunday Times e che il suo racconto, in mano a uno dei piu’ noti e stimati reporter del settimanale, stesser per essere pubblicato. Per anni Israele ha negato di aver rapito Vanunu. Soltanto nel marzo del 1995, quasi dieci anni dopo il fatto, la censura militare ha perso la battaglia scatenata dalla stampa israeliana per poter raccontare cio’ che ormai sapevano tutti. Era stato Peres in persona a dare l’ordine di catturare il traditore e riportarlo in patria. Vanunu doveva essere interrogato; era necessario capire cosa sapeva e impedirgli di far pubblicare le immagini del cuore strategico di Dimona, con le prove che Israele aveva gia’ montato quasi duecento ordigni nucleari. Il premier, indirettamente, scelse Roma per portare a termine l’operazione. Yossi Melman, esperto di spionaggio del quotidiano Haaretz, scrisse in proposito :
‘Peres fece sapere che non intendeva creare uno scandalo con il governo della signora Thatcher. Occoreva trovare un luogo sicuro per l’operazione. Con Francia e Germania c’era il pericolo di una crisi. Allora fu scelta l’Italia. E’ risaputo che i rapporti tra i servizi segreti israeliani e italiani sono sempre stati ottimi. Oltretutto Roma e’ una citta’ dove risulta molto facile operare indisturbati.”
E dove, ormai e’ chiaro, la collaborazione tra i servizi segreti e la complicita’ del governo italianoe’ tale da mettere a tacere ogni forma di legalita’.
Ma come far arrivare Vanunu a Roma? Niente di piu’ facile per l’agente del Mossad Cheryl Hanin Bentov. Nelle prime versioni, filtrate attraverso le maglie dei servizi segreti, l’incontro a Leicester Square fu casuale. La verita’ e’ un’altra. Le spie a mezzo servizio con il giornalismo britannico sapevano piu’ o meno dove alloggiava. E gli agenti, arrivati di corsa da Tel Aviv, non ci misero molto a rintracciarlo. L’esca sarebbe stata Cheryl, nome scelto per l’occasione : Cindy. Come resisterle? Era carina, quasi bella, una bruna diventata bionda per essere piu’ seducente, un corpo pieno, giovane ma non troppo da insospettire. E poi, quel sorriso cosi’ ammaliante. Mordechai la vede per la prima volta riflessa nella vetrina di una bottega tra Soho e Piccadilly. I loro sguardi si incrociano. Gli occhi di Cindy, invece di sfuggire, restano fiss in quelli di lui. Un invito a cui il timido Mordechai non puo’ resistere. ”Turista anche tu?”. Una domanda innocente, sufficiente per avviare una conversazione. Lei, gli dice, fa la parrucchiera, e’ un’ebrea americana. ”Un caffe’ insieme?” Fu il primo di molti. L’uomo scappato dalle viscere della centrale nucleare nel deserto aveva abboccato in pieno. Aveva bisogno di compagnia, di coccole, e la giovane donna sapeva cosa dire, di cosa parlare. ”Sto andando a Roma a trovare mia sorella. Ha un appartamento. Vieni anche tu, possiamo stare da lei”. Mordechai aveva appena finito di raccontare la sua storia ai giornalisti del Sunday Times. La mattina del 30 settembre, pero’, e’ il Sunday Mirror, tabloid di Maxwell imbeccato dal Mossad e dalle autorita’ di Tel Aviv, a pubblicare una foto di Vanunu corredata da una storia di finte rivelazioni sul nucleare israeliano, nel tentativo di screditare l’articolo in uscita sul giornale concorrente e la testimonianza di Vanunu.
”Ho paura” disse Mordechai a uno dei giornalisti del Times ”vado via per un lungo weekend con Cindy”. L’incontro con la giovane donna americana non era un segreto, ma la storia non convinceva i giornalisti. Gli dissero di non partire. ”Potrebbe essere una trappola, qui in Gran Bretagna non ti succedera’ nulla”. Avevano ragione.
I servizi segreti britannici erano stati informati di tutto dai loro colleghi di Tel Aviv e non avevano problemi a collaborare. Unica richiesta : ”Non ci mettere in difficolta’ con un colpo di mano qui da noi”. In un primo momento il Mossad aveva pensato di eliminare Vanunu, ma l’idea fu scartata. Non avrebbero impedito al giornale di pubblicare le rivelazioni su Dimona e un assassinio avrebbe messo in difficolta’ sia Israele sia il governo di Londra. Ed ecco l’idea di portare il traditore fuori dalla Gran Bretagna. Fu un viaggio tranquillo. Vanunu era felice, Cindy sapeva giocare bene il ruolo di donna mezza innamorata. Una macchina li attendeva a Fiumicino e la cosa, ammise Vanunu molti anni dopo, l’aveva insospettito. Non ebbe il tempo di riflettere piu’ di tanto. Arrivarono rapidamente all’appartamento ”della sorella di Cindy” e, invece di trovare una donna, ad accogliere Vanunu c’erano tre agenti del Mossad. Si accorse appena della siringa nel braccio. Il potente sonnifero fece subito effetto, dando modo ai rapitori di legare il prigioniero, bendarlo, imbavagliarlo e trascinarlo fuori dall’appartamento in una ‘comoda’ cassa. Una versione aggiornata di quel baule nel quale, anni prima, l’israeliano Mordechai Louk stava per essere spedito da Fiumicino in Egitto. Dove gli egiziani fallirono, gli israeliani, grazie anche ai loro rapporti privilegiati con i colleghi italiani, ebbero successo.
La cassa fu adagiata in uno di tre furgoni presi in affitto dal Mossad e trasportava alla Spezia, lo stesso porto da dove migliaia di profughi ebrei erano salpati per la Palestina. Secondo quanto accertato da un giornalista del Sunday Times. Vanunu venne imbarcato su un cargo israeliano, il Tapuz- significa ”arancia” in ebraico – battente bandiera panamense. Questo il racconto di alcuni membri dell’equipaggio :
”Ci fecero attendere al largo del porto per tre giorni. Finche’, una sera, ricevemmo l’ordine di chiuderci tutti nella sala da pranzo al ponte inferiore. Poi sentimmo il rumore di un motoscafo, salirono a bordo due uomini e una donna con un prigioniero che sembrava narcotizzato. Ma non ci fu mai un vero contatto tra noi e loro, se non quando conducevano il prigioniero al gabinetto. La ragazza pero’ era molto dura. Pretendeva dal cuoco i pranzi piu’ elaborati a tutte le ore e si faceva almeno tre docce al giorno, pur sapendo che avevamo poca acqua dolce a bordo.”
La Spezia, Marsiglia, poi Israele. Il 9 novembre, a Tel Aviv, l’annuncio: Vanunu il Traditore e’ in un carcere segreto. Quattro giorni prima, constatata la sua scomparsa, il Sunday Times aveva pubblicato quanto avevano saputo dal tecnico israeliano e controllato grazie a vari esperti di strutture nucleari. Tre pagine piene di fotografie scattate a Dimona e del racconto del Traditore. ”Guarda, questo e’ l’immenso danno che hai fatto al tuo paese” gli dissero gli agenti che lo accolsero ad Ashdod mostrandogli il settimanale britannico. Vanunu fu confinato per anni in isolamento, prima e dopo il processo a porte chiuse e la condanna a 18 anni, tutti scontati. Per la stampa israeliana la vicenda aveva due aspetti da approfondire: l’identita’ delal donna-esca e la questione nucleare. Cindy-Cheryl fu rintracciata in Israele, che lascio’ per trasferirsi con la famiglia a Orlando, in Florida. La versione accreditata da Tel Aviv parla di una specie di prepensionamento, visto che era stata individuata e non sarebbe piu’ stata utile al Mossad. Altri sostengono che sia in missione con il marito, un ‘ex’ dell’intelligence militare. I due, ufficialmente, gestiscono un’agenzia immobiliare in un quartiere molto ricco della citta’. Amici e conoscenti dicono di non sapere che fu lei a trascinare Vanunu a Roma. E qui arriviamo a cio’ che ci interessa. Il rapimento e’ stato al centro di un’indagine giudiziaria finita nel nulla, come tante altre impostate dai magisrati inquirenti italiani sull’attivita’ dei servizi segreti israeliani.
Quella frase scritta sul palmo della mano di Vanunu e ripresa dalla stampa di mezzo mondo indusse il giudice romano Domenico Sica ad aprire un fascicolo sul ‘presunto rapimento’. Nell’estate del 1998, dopo essere stato criticato dall’avvocato israeliano del tecnico di Dimona e dalla stampa israeliana, il giudice fu costretto a spiegare perche’ aveva deciso di archiviare il caso. Sica aveva impiegato due anni per arrivare alla conclusione che Vanunu non era un traditore, bensi un agente del Mossad che aveva orchestrato l’intera vicenda per depistare gli ambienti interessati a conoscere la reale situazione della ricerca nucleare nel laboratorio di Dimona. Ma come e’ arrivato a tale certezza?
L’avvocato di Vanunu non ha dubbi sulla collusione tra le autorita’ italiane e israeliane e sul fatto che il magistrato deve aver agito per affossare il caso. E’ dello stesso parere Meir, fratello di Vanunu, intervistato dal quotidiano ‘Il manifesto’. Era in atto il solito scontro tra i componenti filoisraeliani e filoarabi all’interno dei servizi segreti italiani e del governo, e probabilmente il magistrato ha ritenuto piu’ facile far finire nel dimenticatoio l’intera questione.
”Dissi a Sica che la cosa da fare era richiedere un incontro con mio fratello, perche’ Mordechai era l’unico in grado di fare chiarezza sulla vicenda del rapimento. Sica avrebbe dovuto recarsi in Israele, ma non lo fece. Nell’agosto 1987 andai di nuovo in Italia con Peter (Hounam, il reporter che pubblico’ per primo le rivelazioni di Vanunu, Ndr) e diedi a Sica informazioni sul rapimento, di cui ero venuto a conoscenza a seguito di un incontro con mio fratello in carcere. Quelle stesse rivelazioni furono rese pubbliche poco dopo a Londra. La conseguenza fu che le autorita’ israeliane sentenziarono, in base all’accusa di spionaggio, che il mio ritorno in Israele entro i successivi 15 anni avrebbe comportato il mio arresto. Tornai in Israele nove anni dopo, nel settembre 1996, a condizione di rispondere alle domande dei servizi segreti israeliani. Mi ritirarono il passaporto, ma alla fine non fu intrapresa alcuna azione nei miei confronti.”
Sul perche’ il rapimento sia avvenuto a Roma, Meir ha le idee abbastanza chiare
‘Forse la Gran Bretagna rispetta a propria sovranita’ piu’ dell’Italia. O almeno lo ha fatto in quella circostanza. Forse la scelta di Roma e’ stata determinata dal fatto che l’Italia era un terreno piu’ facile. E il modo in cui sono andate le cose lo dimostra. Inoltre esiste una condizione piu’ ampia, legata alla collaborazione tra servizi di diversi paesi. Il fatto che l’Italia fosse piu’ docile dipende anche dal ruolo della CIA nel paese, e poi non dimentichiamo che l’allora governo Peres era vicino al governo italiano. Comunque, e’ ora di riaprire il caso. Un turista e’ stato rapito in terra italiana, drogato e trasportato sull’altra sponda del Mediterraneo da agenti segreti di un altro paese, in barba al diritto internazionale e alle leggi italiane. Violando la sovranita’ dello stato italiano. Per l’Italia va bene cosi? ”
Ci furono, come per altri casi sospetti, molte interrogazioni parlamentari. C’era chi voleva capire se per l’Italia tutto andasse ”bene cosi”. Nella seduta della Camera del 17 febbraio 1988, Mario Capanna si rivolse al ministro degli Esteri per sapere :
‘’se in seguito a queste nuove conferme del fatto che Mordechai Vanunu e’ stato rapito e trasportato illegalmente fuori dal nostro paese a opera dei servizi israeliani, in dispregio alle leggi e alla sovranita’ nazionale, non intenda chiarire gli aspetti oscuri di questa vicenda inquietante, non essendo certamente credibile la versione ufficiale delle autorita’ israeliane che vorrebbe Vanunu rientrato volontariamente nel proprio paese, dove rischia la pena capitale in un clima di intimidazione anche nei confronti della sua famiglia; se non intenda muovere passi verso le competenti autorita’ israeliane allo scopo di conoscere i motivi per i quali abbiano deciso ed attuato un atto contrario alla legislazione internazionale e di salvaguardare la vita di Mordechai Vanunu.”
Gli rispose l’allora sottosegretario Raffaelli, sollecitando tutti ad attendere il risultato dell’inchiesta giudiziaria.
Vale la pena leggere qualche brano della sterminata deposizione resa dall’ammiraglio Martini il 6 ottobre 1999 alla ”Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabili delle stragi”. Dopo aver confermato che i servizi da lui diretti erano in ottime relazioni con quelli israeliani, ha parlato dell’affare Vanunum affermando di aver ‘minacciato di espellere il capo del centro israeliano a Roma, fintanto che un emissario del Governo israeliano non venne a spiegare al Governo italiano come era andata al faccenda” :
”PRESIDENTE : Capisco cio’ che lei dice, la logica occidentale, giusta e legittima del nostro sistema di alleanze, in cui era coerente alla fedelta’ occidentale essere amici di Israele. Le volevo fare pero’ un’altra domanda. La possibilita’ di ”concludere azioni spesso spettacolari, non consentite ad altri servizi che operano con le regole del tempo di pace”, e’ stata consentita al Mossad anche in territorio italiano, cioe’ un po’ di ammazzamenti.
MARTINI : Durante il mio periodo non ci sono stati ammazzamenti.C’e’ stato il rapimento Vanunu, che poi e’ stato risolto per le vie…
PRESIDENTE : Quindi questo libro, ‘Vendetta. La storia vera di una missione dell’antiterrorismo israeliano” di George Jonas, che racconta come diversi agenti di Al Fatah siano stati uccisi a Roma nel territorio urbano….
MARTINI : Uno e’ stato ucciso prima che arrivassi io. E’ stato ucciso in via Veneto. D’altra parte se il governo di Israele autorizzava questo tipo di operazioni (…). Anche i francesi durante la guerra di Algeria fecero saltare….
PRESIDENTE : Ammiraglio Martini, mi sto misurando con questo problema laicamente. Forse facevano anche bene dal loro punto di vista e probabilmente coloro che lo facevano rischiavano la vita. La mia domanda pero’ intendeva conoscere in base a che tipo di intese un Servizio segreto puo’ ammazzare della gente in territorio italiano con noi che facciamo finta di niente.
MARTINI : Non e’ che facciamo finta di niente, perche’ quando Vanunu dichiaro’,mostrando la mano al di la’ del finestrino, che era stato rapito a Roma , si ebbe quasi una rottura delle relazioni diplomatiche tra noi e Israele. Evidentemente Israele non si comporto’ bene in quell’occasione. Se poi Israele – sempre precedentemente al periodo in cui sono stato capo del servizio- ha ammazzato qualcuno a Roma, io non posso saperne nulla”
Se vogliamo credere alla parole di Martini, dovrebbe venire come minimo qualche dubbio sulla capacita’ operativa dei nostri servizi segreti.
Fonte: Mossad base Italia