Vegetarismo, religioni, inferno, paradiso e debito karmico
La convinzione diffusa nel mondo occidentale (prevalentemente intriso di cultura antropocentrica di matrice non solo cristiana) è che l’essere umano nell’altra vita darà conto a Dio del male commesso nei confronti dell’uomo, non degli animali. Credenza ingiustificabile sia sotto il profilo dell’etica e della logica sia nei riguardi di un Dio per definizione buono e giusto. Di tutt’altra visione sono altre religioni come l’Induismo, il Buddismo, il Jainismo, lo Zoroastrismo ed altre, secondo cui dopo la morte fisica l’uomo paga non solo per le colpe commesse nei confronti dei suoi simili umani ma di tutti gli animali considerati fratelli e figli dello stesso padre.
Proviamo idealmente ad immaginare che un uomo ed un cane vengano aggrediti da alcuni malviventi e che violentino, torturino e uccidano sia l’uomo che il cane. La violenza esercitata sui due è uguale e produce i medesimi effetti: paura, dolore, angoscia, terrore, morte. Ebbene, secondo i principi della religione cristiana, e non solo, quei malviventi risponderanno solo del male commesso nei confronti dell’uomo mentre nessuna colpa viene loro imputata per il medesimo delitto commesso a danno del cane, anche se al pari dell’uomo l’animale ha subito le stesse violenze dal momento che sente, gioisce, ha sensazioni, sentimenti, un sistema nervoso, sanguigno, immunitario.
Perché mai esseri dotati della medesima percezione sensoriale, con la medesima spinta all’esistere e la stessa paura della morte, esseri ugualmente dotati di intelligenza, capacità visiva, uditiva, motoria, dopo la morte fisica dovrebbero essere annullati nella loro essenza spirituale? Perché mai davanti ai medesimi effetti della stessa offesa sul piano del dolore fisico e mentale il giudizio di assoluzione o condanna dovrebbe essere differente? Che razza di giudice sarebbe quello che tratta in modo differente casi analoghi? Perché mai l’uccisione o la mutilazione di un uomo è grave agli occhi di Dio mentre non lo è se ad essere ucciso o mutilato è un cavallo? Perché il primo è considerato degno di castigo mentre gli effetti del secondo sono trascurabili?
La religione insegna che Dio punisce chi si è macchiato di colpe gravi verso il prossimo. E che cos’è la colpa se non l’ingiustizia che genera dolore e morte? E qual’è l’ingiustizia suprema se non l’uccisione di esseri indifesi e innocenti quali sono gli animali? Perché mai per l’Onnipotente il taglio di una gamba ad un uomo è un fatto esecrabile, degno di condanna e punizione, mentre il taglio della gamba di un vitello, di un agnello o di un coniglio non ha alcun valore al suo giudizio?
Perché accecare volutamente un uomo, avvelenarlo è considerato un delitto da Dio da far scattare la legge della punizione severa dopo la morte mentre accecare un cane, torturarlo, avvelenarlo, scorticarlo, sviscerarlo, non ha alcuna rilevanza?
Ogni atto delittuoso, ogni offesa, ogni azione che genera dolore è come un’onda disarmonica che viene prodotta all’interno del Tutto armonico. Tale perturbazione non può disperdersi nel nulla: deve necessariamente essere riassorbita per ristabilire l’armonia iniziale ricadendo su chi né è stato l’artefice. Tale concetto è avvalorato dalla stessa fisica, la 3^ legge di Newton che dice: “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Questo principio ci autorizza ad estendere i suoi effetti dalla materia all’energia che la pervade, portando alla logica conseguenza che l’uomo non paga solo per il male commesso verso quelli della sua stessa specie ma anche verso ogni creatura in grado di soffrire.
Non sappiamo se esiste o no una realtà ultraterrena, ma se esiste esisterà anche un Dio il quale non può certo ignorare il dramma universale degli animali a causa dell’uomo.
Quindi, voi, religiosi e non che mangiate la carne o il pesce con la benedizione del vostro Dio, o che rubate il latte ai vitellini, agli agnellini, voi che allevate e che come Giuda consegnate nelle mani dei loro carnefici i nostri fratelli animali, statene certi: il conto da pagare prima o poi arriva per tutti, e sarà pesante.
Ma vediamo cosa dicono in tal proposito le grandi dottrine religiose.
Secondo la tradizione induista nell’altra vita non paga solo colui che ha ucciso l’animale ma colui che lo ha allevato, cucinato e mangiato. Inoltre: “Coloro che ignorano il vero Dharma e, pur essendo ignoranti e malvagi, si ritengono virtuosi uccidendo gli animali senza alcun rimorso o timore di essere puniti, in seguito, nelle loro vite future, questi peccatori saranno mangiati dalle stesse creature che hanno ucciso in questo mondo” (Srimad Bhagavatam 11.5.14). E ancora:”O governatore del popolo, mio caro re, osserva nel cielo gli animali che hai immolato, senza compassione e senza misericordia, nell’arena sacrificale. Tutti questi animali stanno aspettando la tua morte per vendicarsi delle loro ferite.
Quando sarai morto ti squarceranno il corpo con corna di ferro e mangeranno la tua carne” (Srimad Bhagavatam 4.25.7). La licenza di mangiare la carne delle vittime sacrificali era accompagnata dalla frase: “Così come ora io mangio te nella prossima vita tu mangerai me”.
E secondo la ancor più rigorosa dottrina jainista l’uomo non paga solo per il male fatto consapevolmente agli animali ma anche quello causato accidentalmente. Per questo i monaci camminano spazzano il terreno davanti ai loro piedi per evitare di uccidere animaletti e portano una pezzuola sulla bocca per non nuocere anche ai batteri dell’aria.
Nello Zoroastrismo la condanna di Zarathustra contro chi uccide gli animali è durissima. Egli dice: “O Signore, se qualcuno uccide la cagna che allatta, quale pena merita? Settecento colpi di bastone ferrato e altri settecento di scudiscio”.
Nei precetti dell’Islamismo sta scritto che una donna meritò i tormenti dell’inferno per aver imprigionato una gatta e lasciata morire di fame. Mentre il Califfo Omar Bin Abdul Aziz si preoccupava che le mulattiere fossero rese sicure perché temeva che nel giorno del Giudizio Dio potesse interrogarlo circa il perché non si fosse preoccupato di salvaguardare le vie percorse dagli animali.
Per quanto riguarda la civiltà Egizia interessante è ciò che sta scritto sulla piramide di Unas, V dinastia, 2300 c. a.C.: “Contro l’anima di quest’uomo non c’è accusa di un vivente. Contro di lui non c’è accusa di un morto, di un’oca, di una mucca”. Al cospetto di Iside il defunto recita questa confessione: “Eccomi, Signore della verità, io sono venuto a te portandoti la verità…Io non ho maltrattato gli animali, non ho scacciato le greggi dall’erba, non ho preso alla rete gli uccelli del Dio, non ho rapito i pesci dai loro laghi…non ho ucciso bestiame divino”. Questa formula rituale scritta su rotoli di papiro del Libro dei morti, a partire dal IV al III millennio a.C. viene depositata nel sarcofago del defunto.
Anche nel Vecchio Testamento troviamo in (Is. 66,3) “Colui che uccide un bue è come colui che uccide un uomo”.
E nel Vangelo Esseno della Pace, secondo l’apostolo Giovanni delle Chiese Cristiane d’Oriente, originale in aramaico del 3° sec. (Bibl. Vatic. N.156-P), perentorio Gesù afferma: “Chi uccide un animale uccide suo fratello e la carne degli animali uccisi nel suo corpo diventerà la sua stessa tomba…Non uccidete dunque né uomini né animali perché i vostri corpi diventano ciò che mangiate e il vostro spirito ciò che pensate. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso come di ogni uomo”.
Franco Libero Manco