Nereo Villa: “Viviamo nel paese di Bengodi, ovvero dei cretini..”
“Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!” Questo detto di George Orwell oggi è superato. L’inganno presume un ingannatore e un ingannato. Ma oggi data l’imbecillità incalzante bisognerebbe parlare di AUTOINGANNO.
Oggi più che nel tempo dell’inganno universale ci troviamo nel tempo dello scemo universale, cioè di coloro che sono stati resi schiavi soprattutto dal fatto che da loro è “scemata”, appunto, la facoltà del giudizio critico che li faceva umani. Per cui oggi sarebbe più esatto dire che nel tempo dello schiavo scemo, pensare in modo non scemo è visto come alienazione, mentre i più scemi passano per scienziati.
Lo schiavo odierno, scientificamente persuaso dei limiti della conoscenza umana, parla della fallibilità del conoscere umano scimmiottando Karl Popper e tutti gli altri maestri del dubbio, i quali dubitano di tutto eccetto che dell’assoluta certezza della “finitezza” del pensiero umano, in base alla quale non hanno alcun dubbio del fatto che oggi non si debba credere possibile, non dico di possedere ma nemmeno di ricercare la verità, perché anche il solo cercarla genererebbe totalitarismi o… pensiero unico.
Questa genìa di persone sembra davvero figlia nostalgica del marxismo o del comunismo o dello scientismo radicale, ed è evidentemente ancora talmente innamorata del pensiero unico bolscevico da inventarsene subito un altro similare, come nuovo muro, sostitutivo di quello di Berlino crollato.
Per questo nuovo “pensiero” da cui è completamente scemato il pensare, chi ha due mele e ne mangia una, diventa un fascista se, restando con una mela, osa affermare la certezza che 2 – 1 = 1. Perché nel tempo dello schiavo scemo anche la matematica è un’opinione… Insomma, in questo tempo, per essere in “regola” col pensiero debole è d’obbligo dubitare assolutamente di tutto.
Le seguenti domande di Emanuele Severino sono rivolte allo schiavo scemo, che lui si limita a chiamare “nichilista” o tutt’al più “nichilista di superficie”, mentre io vorrei chiamarlo poppante di Popper.
«Domando: chi si dichiara pronto ad abbandonare i propri valori se altri si rivelano più credibili è uno che dubita di essere così pronto? È uno che dice: “Forse son pronto ad abbandonarli se ne vedo di più credibili?”. È uno che dice: “Forse son pronto, perché non escludo che anche se ne vedessi di più credibili non abbandonerei mai i miei?”. Se si son capite le domande, la risposta non può che essere negativa» (E. Severino, “La potenza dell’errore”, p. 183, Ed. Rizzoli, Milano 2013).
E qui Severino non lo dice, ma pensa esattamente come me che costoro sono cretini, e scrive “se si son capite le domande” come se queste domande fossero molto difficili. In verità sono difficili solo per coloro dai quali la facoltà del pensare è scemata!
E continua: «Anche questo relativista, cioè, non mette in dubbio, è sicuro del fatto suo: più o meno consapevolmente, considera come irrefutabile, indiscutibile e dunque assolutamente vero il proprio trovarsi nello stato in cui egli è disposto ad abbandonare le proprie convinzioni se ne vede di migliori. Infatti l’uomo non apre bocca se dubita di quel che dice. E se dice: “Dubito di quel che dico”, egli non dubita di dubitare. (Che è cosa del tutto diversa dal cogito cartesiano, perché se l’uomo apre bocca solo se non dubita, la maggior parte delle volte che l’apre dice però cose false; mentre le considerazioni di Cartesio sul cogito intendono pervenire alla suprema verità incontrovertibile)» (ibid.).
E dando un bello schiaffo anche a Popper, megapoppante fanatico dei seni di Mania (mitologica personificazione della follia) così conclude: «A Popper che afferma il carattere fallibile e congetturale di tutta la nostra conoscenza va dunque replicato che, d’altra parte, l’uomo – dunque anche Popper e tutti i relativisti di questo mondo – è sempre convinto, più o meno consapevolmente, di conoscere verità assolute e incontrovertibili (anche se sbaglia quasi sempre)» (ibid.).
Nereo Villa