Come nasce il Debito Pubblico irredimibile, vera causa della crisi economica. Tutti i politici assecondano perché ne beneficiano

La Banca D’Italia è un ente dove gli utili sono privati e i debiti
sono pubblici!

La Banca d’Italia (un vero abuso definirla tale) è per il 95% in mano a privati.

Gli utili vengono distribuiti tra i suoi soci (privati al 95%),
costituiscono un debito contratto dallo Stato e vanno ad incrementare
il debito pubblico.

Oggi quella che molti credono la Banca d’Italia, non è solo una Banca
privata, ma è una vera violazione costituzionale nell’esercizio della
politica monetaria.

Questa la natura giuridica e il funzionamento dell’attuale Banca d’Italia.
In Italia, dal 1936 grazie alla Legge bancaria (R.D.L. 375 del
12.03.1936 convertito nella Legge 441 del 07.03.1938) e al successivo
“Statuto” approvato con R.D. 1067 del 11.06.36, la Banca D’Italia,
trasformata in istituto di diritto pubblico, esercita in regime di
monopolio la funzione di emissione della carta moneta (con esclusione
delle monete metalliche la cui competenza esclusiva è riservata al
Tesoro dello Stato). Sin qui parrebbe che il potere sovrano di emettere moneta, essendo stato delegato ad un istituto di diritto pubblico, continui ad appartenere allo Stato e che sempre allo Stato vada il cosiddetto “reddito da signoraggio”. Ma non è così.

Per vedere come questo non corrisponda al vero è necessario andare ad
analizzare lo statuto della Banca D’Italia, il suo funzionamento e le
sue “anomalie”:

I° Anomalia
I principali compiti, e funzioni, che la legge del 1936 affida alla
Banca d’Italia sono:
Istituto di emissione. (Anche se, come vedremo dopo, dal 1° gennaio
2002, con il Trattato di Mastricht, l’emissione delle banconote in
euro aventi corso legale in Europa è compito della Banca centrale
europea);
Gestione della tesoreria provinciale dello Stato;
Funzione di vigilanza sul sistema creditizio
L’organizzazione interna ricalca sostanzialmente quella che è propria
di una società per azioni. Così vi troviamo:
un capitale sociale, suddiviso in quote detenute di partecipanti;
un consiglio di amministrazione;
un collegio sindacale;
gli Organi Amministrativi e di Controllo, come avviene nelle società
per azioni, sono nominati dall’assemblea Generale dei “partecipanti”:
in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra
i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale
e i due vice Direttori Generali1;
I portatori delle quote si riuniscono annualmente in assemblea
generale ordinaria.
Inoltre i partecipanti, come gli azionisti di una società per azioni,
hanno diritto;
al rendiconto annuale della gestione sulla base del bilancio (da
sottoporsi all’approvazione dell’assemblea);
alla partecipazione all’utile della gestione;
ai frutti derivanti dall’investimento delle riserve del patrimonio netto.
Questa analisi non ci porta ancora a privare la Banca D’Italia della
qualifica di ente pubblico. Infatti, come ribadito anche dalla
Cassazione, un ente si definisce pubblico quando, pur essendo
privatizzato, ha un fine pubblico e un sistema di controlli pubblici.

Ma la Banca d’Italia risponde a tali requisiti?

Sul fine pubblico nulla questio, trattandosi di un istituto di
emissione; il problema sono i controlli da parte dello Stato che nella
sostanza non esistono.

Questo perché gli organi amministrativi e di controllo della Banca
d’Italia sono nominati dall’Assemblea Generale dei partecipanti (che
sono al 95% dei privati). Il Governo può solo approvare la nomina, o
la revoca, di alcune cariche, ma l’approvazione da parte del Governo
non influisce minimamente sulla validità della nomina.
In soldoni è come se non esistesse.
In conclusione, la Banca d’Italia è un ente privato, strutturato come
società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la
funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da
parte dello Stato.

II° Anomalia
La Banca D’Italia abbiamo detto è per il 95% in mano a privati. Essi sono:
Gruppo Intesa (27,2%), BNL (2,83%)
Gruppo San Paolo (17,23%) Monte dei Paschi di Siena (2,50%)
Gruppo Capitalia (11,15%) Gruppo La Fondiaria (2%)
Gruppo Unicredito (10,97%) Gruppo Premafin (2%)
Assicurazioni Generali (6,33%) Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%)
INPS (5%) RAS (1,33%)
Banca Carige (3,96%) privati (5,65%)

Dall’analisi dei soci ci rendiamo conto che solo il 5% del capitale è
dell’INPS, ovvero di una società pubblica. Dunque la banca D’Italia è
per il 95% in mano a banche private. Ma qui risulta evidente la
seconda forte anomalia. Infatti abbiamo detto che con la legge
bancaria del 1936 a Banca D’Italia è stato demandato il compito di
vigilanza sulle altre banche. Ora, le banche sono proprietarie della
Banca che dovrebbe su di loro vigilare ed, attraverso i consigli di
amministrazione, nominano Governatori e Direttori; ciò vuol dire, in
altre parole, che i controllati controllano i controllori, e non
vicerversa.

III° Anomalia
Riguarda gli art. 543 e 564 del Titolo IV (BILANCI, UTILI, SPESE E
PERDITE, RISERVE)Vediamo perché:
In baseall’art. 54 la quota di utili da assegnare allo Stato
corrisponde circa al 50% dell’Utile di Esercizio del Bilancio Annuale,
dedotto il 40% accantonato a riserve e il 10 % del capitale sociale
attribuiti ai partecipanti.

L’art. 56, inoltre, prevede che una quota, a valere sul fruttato delle
riserve medesime, sia distribuita ai partecipanti al capitale sociale
(come annualmente deliberato dall’assemblea).
Analizziamo nei fatti le conseguenze di queste norme. Come sottolinea
la CTU redatta dal perito nella sentenza n. 2978/05 del giudice di
pace di Lecce, nella causa sul signoraggio, l’accantonamento dei
frutti delle riserve (e l’assegnazione di parte di essi ai
partecipanti) determina una incremento (e una decurtazione) delle
riserve stesse quale partita negativa del conto economico e, pertanto,
il risultato di esercizio è rappresentato in bilancio al netto di tale
posta.

Gli accantonamenti a riserve generano patrimonio e frutti ad esclusivo
vantaggio dei partecipanti al capitale sociale dell’Istituto e, per
converso, rappresentano un reddito sottratto alla competenza dello
Stato.

Inoltre, la quota di riserve attribuita annualmente ai partecipanti
(quota stabilita in assoluta autonomia dal Consiglio di
Amministrazione della Banca d’Italia), ai sensi dell’art. 56 dello
Statuto, è sovente sensibilmente superiore alla quota di utile
assegnata allo Stato (ad esempio nel 2003, al netto degli
accantonamenti a riserve, sia stato corrisposto un dividendo per ogni
quota di partecipazione unitaria pari a circa il 300% del valore della
stessa. Dividenti andati tutti a privati (le banche) e che formano il
debito pubblico).

Insomma è evidente come la Banca D’Italia assolva ai fini che
dovrebbero essere di natura pubblica in piena autonomia e
indipendenza, ritraendone utili e frutti che divide tra i
“partecipanti” privati.

Quindi, ricapitoliamo:
la Banca D’Italia è una società privata, detenuta per il 95% da
privati; gli Organi Amministrativi e di Controllo della Banca
d’Italia, come avviene nelle società per azioni, sono nominati
dall’assemblea Generale dei “partecipanti” (cui il 95% sono privati):
in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra
i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale
e i due vice Direttori Generali; con la legge 82 del 07.02.1992 varata
dal ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca
d’Italia), è stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di
variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con
il Tesoro. Ovvero autonomamente un gruppo di banche private decide per lo Stato italiano il costo del denaro.

Annualmente, il Consiglio di Amministrazione, autonomamente eletto
(dai soci privati), stabilisce quote di riserva variabili che, spesso,
producono una quota di utili superiore alla quota di utili che viene
data allo Stato tali utili (risultato degli interessi sul prestito) la
Banca d’Italia li distribuisce tra i suoi soci che sono al 95%
privati; gli utili distribuiti alle banche private costituiscono un
debito contratto dallo Stato e vanno ad incrementare il debito
pubblico. Stante la situazione appena descritta appare chiaro che la
sovranità monetaria è esercitata da una società a capitale privato con
scopo di lucro che decide in piena autonomia il costo del denaro.
Da questi elementi può affermarsi che lo Stato, da tempo, ha ceduto la
propria sovranità monetaria in favore di un ente privato (non certo
pubblico), ovvero la Banca d’Italia.

Bisogna istituzionalizzare una Banca dello Stato, come Ente pubblico
interamente detenuto dal Ministero del Tesoro. La sovranità monetaria
è fondamentale per un Stato.Dobbiamo uscire da questa Ue. Dobbiamo
tornare sovrani.
Basta vassallaggio!

(Fonte: sovranidade.org)

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