Storia dello schiavismo sino ai giorni nostri

Introduzione di Giorgio Vitali

QUESTO ARTICOLO CHE SEGUE HA APERTO GLI OCCHI ANCHE A ME CHE PUR CONOSCEVO LE COSE. ma come capita spesso CI SI DIMENTICA DI QUANTO NON ABBIAMO SPESSO SOTTO GLI OCCHI.
Aggiungo: Uno dei più eroici combattenti CONTRO lo SCHIAVISMO fu il mio concittadino (ravennate) Romolo Gessi a fine ottocento. Egli dava la caccia ai razziatori di schiavi (arabi) e quando li beccava li fucilava. Morì in conseguenza di una delle sue spedizioni (fecero in modo che morisse…). Pur essendo in ogni città italiana una via col suo nome, egli NON è mai citato. E gli Italyoti vi passano accanto senza sapere né essere interessati a conoscere. OGGI il nome di Romolo Gessi ed anche quello di un altro ravennate, Pellegrino Matteucci (che fu compagno di scuola di Alfredo Oriani) dovrebbero essere di moda perché le loro esplorazioni si svolsero nella zona africana diventata conflittuale (CINA contro OCCIDENTE).
UNA CONSIDERAZIONE IMPORTANTYE: SIAMO TUTTI A RISCHIO SCHIAVITU’ PERCHE LA RIDUZIONE IN SCHIAVITU’ E’ UNA COSTANTE DELLA STORIA UMANA. Ricordo che abbiamo denunciato Napolitano e soci per RIDUZIONE IN SCHIAVITU’ Reato internazionale con precise definizioni e delimitazioni. Tutte presenti nel comportamento ossequioso dei nostri vertici politici nei confronti dei NEGRIERI internazionali.
A PROPOSITO di EUNUCHI. Ricordo le cronache di uno dei primi esploratori (un italiano) che visitò l’Egitto del sud. Siamo a fine settecento, che raccontava come vedesse nei villaggi da lui visitati la preparazione dei poveri eunuchi. Ragazzini evirati e poi seppelliti per qualche giorno in un buco praticato nel terreno. Senza cibo ed acqua. Se sopravvivevano erano pronti per la vendita.
Abbiamo anche letto che in Etiopia, al nostro arrivo nel 1936 esistevano un paio di milioni di schiavi. CHE NOI liberammo. In un prossimo VIDEO farò vedere un paio “manette” di ferro battuto che tenevano legate le caviglie costringendo quei poveracci a camminare saltellando. G.V.

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Una storia dimenticata. Sovrastata dall’immagine delle navi zeppe di negri che attraversano l’atlantico per riversare il loro carico nelle piantagioni americane. Eppure parliamo di una storia molto più lunga, di un sistema che è andato avanti per più di mille anni (circa tredici secoli), sul quale la storiografia ha preferito parlare a mezza bocca. O tacere.

Il traffico di schiavi sahariani e sub-sahariani attraverso il Nilo era già piuttosto sviluppato in epoca romana. Una volta preso il loro posto in nord-africa, i musulmani lo migliorarono. L’uso delle piste del Sahara aumentò l’afflusso di schiavi anche dalle regioni dell’africa occidentale e, mano a mano che l’Islam estendeva i suoi confini, il limite dei territori “Dar El Islam” (i cui abitanti si erano sottomessi all’Islam) si spinse sempre più a sud. I territori al di fuori del “Dar el Islam”, detti “Dar el Harb”, erano, almeno in linea teorica, i soli dai quali i musulmani potessero prendere i loro schiavi.

Attorno al XII-XIII secolo, la zona del “Dar el Harb” era ormai coincidente con la “Bilad es Sudan”, ovvero la “Terra dei Neri”. Una fonte di schiavi quasi illimitata.

1. Schiavi Neri

I procacciatori di schiavi catturavano gli schiavi direttamente (specie le tribù nomadi), o tramite compravendite con i regni locali, come ad esempio quello del Ghana, l’Impero Gao o, in seguito, l’Impero del Mali. In questo caso, tutto quello che i musulmani dovevano fare era recarsi presso i vari mercati regionali (Gao, Aghordat, o altri locali) ed acquistare i prigionieri catturati nelle guerre interne.

Oltre a questo, i regni vassalli venivano spesso costretti a pagare un tributo in schiavi. Il primo fu istituito nel 652 a carico del regno di Nubia, e prevedeva l’invio di 360 schiavi l’anno (un numero che probabilmente fu aumentato nel tempo), oltre a elefanti e altri animali selvatici. Il regno di Nubia continuò a pagare ininterrottamente per circa cinquecento anni.

Musa bin Nusair, uno dei più grandi generali arabi di tutti i tempi, ridusse in schiavitù 300.000 Berberi infedeli, di cui 30.000 divennero schiavi-soldato. Successivamente, durante la campagna che lo portò a disintegrare il regno Visigoto (711–15), Musa riuscì a riportare in nord-Africa 30.000 vergini gote.
Se, come nella maggior parte dei casi, l’acquisto veniva effettuato in territorio sub-sahariano, per gli schiavi iniziava una marcia di oltre 1.000 km a piedi, della durata di 40-60 giorni. Il traffico veniva gestito interamente dai Berberi o dalle già citate tribù arabe nomadi, che non avevano altra fonte di introito se non quella di scortare le carovane o depredarle. A causa della lunghezza del viaggio, delle condizioni atmosferiche terrificanti e della scarsità d’acqua e di cibo, la percentuale di schiavi morti durante il tragitto era enorme.

Mappa delle rotte sahariane del traffico di schiavi. Molte rimasero attive fino agli anni’30 del secolo scorso.

Henry Drummond, in “Slavery in Africa” (1889), dice:

They march all day; at night, when they stop to rest, a few handfuls of raw ‘sorgho ‘ are distributed among the captives. This is all their food. Next morning they must start again.

In pratica, la razione giornaliera di cibo di uno schiavo era composta da poche manciate di sorgo grezzo. E’ una testimonianza importante, poiché per secoli e secoli la “dieta” degli schiavi doveva essere rimasta più o meno la stessa.

Alcuni studiosi, come Fischer (1975) e Baet (1967), hanno calcolato che circa il 50% degli schiavi non giungevano dai loro padroni, mentre altri parlano di 80%.

Sempre Henry Drummond ci fornisce un particolare raccapricciante:

Therefore it has been truly said that, if a traveler lost the way leading from Equatorial Africa to the towns where slaves are sold, he could easily find it again by the skeletons of the negroes with which it is strewed.

Una vera e propria carneficina, specie se paragonata al 10% di morti complessive calcolato per i traffici europei lungo le rotte atlantiche. Un dato, quest’ultimo, molto attendibile, riportato nel 1785 da Thomas Clarkson’s nel libro “Slavery and Commerce In the Human Species”.

Riguardo allo schiavismo islamico, una fonte del XIX secolo dice:

the sale of a single captive for slavery might represent a loss of ten in the population—from defenders killed in attacks on villages, the deaths of women and children from related famine and the loss of children, the old and the sick, unable to keep up with their captors or killed along the way in hostile encounters, or dying of sheer misery.

A questa, si aggiungono le testimonianze del capitano V.L. Cameron e del nostro conoscente Richard Burton, che nei suoi scritti parla di 1000-2000 morti complessivi per catturare poco più di 50 donne. Anche Drummond è su cifre simili, visto che parla di 30.000 morti per 5.000 schiavi. Keltie “The Partition of Africa” (1920) reputa che per ogni arabo che raggiungeva il mercato ne morivano almeno 6, mentre Livingstone parla di 10.
Alle morti per fame, fatica e soprusi devono aggiungersi quelle dovute ad una pratica particolarmente amata dai padroni musulmani: la castrazione.

Nel mondo islamico infatti ci fu sempre un’alta richiesta di eunuchi; da un lato erano considerati più adatti a svolgere un gran numero di mansioni, dalla guardia dell’harem alle funzioni amministrative, dall’altro, gli schiavi neri avevano nomea di possedere un appetito sessuale inarrestabile. Purtroppo, l’operazione era molto rischiosa. All’asportazione di pene e scroto (su bambini fra i 7 e i 12 anni) sopravviveva solo il 10% degli operati, anche perché il normale processo di cauterizzazione non poteva avvenire, visto che avrebbe automaticamente ostruito l’uretra. La percentuale del 10% sembra essere supportata da un dato riportato da Jan Hogendorn in “The Hideous Trade. Economic Aspects of the ‘Manufacture’ and Sale of Eunuchs”:

Turkish merchants are said to have been willing to pay 250 to 300 (Maria Theresa) dollars each for eunuchs in Borno (northeast Nigeria) at a time when the local price of young male slaves does not seem to have exceeded about 20 dollar…

I più fortunati erano quelli destinati a servire come schiavi-soldati (furono centinaia di migliaia, forse milioni, nel corso dei secoli), che formavano una sorta di aristocrazia all’interno della massa degli schiavi.

Il “razzismo” (perdonatemi l’uso improprio della parola) verso i neri, ancora oggi più vivo nei paesi del nord-africa che da noi, era completo presso gli arabi. Ibn Khaldun, uno dei massimi pensatori della storia islamica, scrisse:

The Negro nations are as a rule submissive to slavery, because they have attributes that are quite similar to dumb animals.

Affermazione che fa il paio con un’altra considerazione: in arabo, la parola “Abd” vuol dire “Schiavo” e il plurale “Abeed” viene utilizzato per indicare i Neri.

Il flusso di schiavi verso il nord Africa aumentò ulteriormente alla fine del XVI secolo, quando l’eunuco Judar Pasha (uno spagnolo catturato durante un raid e castrato) conquistò l’Impero Songhay. Nello stesso periodo, il traffico atlantico di schiavi si stava organizzando al meglio, ma non superò i 10 milioni di schiavi circa dal XVI al XIX secolo.

Dal VII al XX secolo, gli arabi presero solo dall’Africa 15-18 milioni di schiavi. Se contiamo un 80% di perdite lungo il tragitto, arriviamo ad una cifra vicina ai 75 milioni complessivi, cui vanno aggiunti milioni di uomini massacrati durante le razzie. Per quanto possa sembrare assurdo, una cifra superiore ai 100-120 milioni di persone in dodici-tredici secoli non è affatto esagerata.

A questo punto, molti di voi crederanno che l’avvento degli europei abbia diminuito i flussi sahariani, mentre in realtà gli arabi furono forti sostenitori anche dello schiavismo atlantico. Gli europei infatti non avevano grande esperienza nel procacciarsi schiavi, quindi si rivolsero a chi controllava tutti i traffici africani, ovvero gli arabi. La richiesta di schiavi si duplicò, e le attività dei cacciatori di uomini divennero più intense, andando sempre più addentro al continente africano. In sostanza, gli europei si recavano presso i mercati della costa orientale, o quelli più interni, e acquistavano gli schiavi presso i mercanti musulmani (80%) o presso i mercanti africani (20%, parliamo sempre di uomini catturati in lotte interne).

Altra bella mappa dei traffici trans-sahariani

D’altronde, gli arabi gestivano il commercio di schiavi anche verso i paesi asiatici (Cina compresa), proprio per la posizione strategica dei loro territori, a metà strada fra europa, africa e asia.

Le squadre di cacciatori di schiavi erano formate da trenta-quaranta persone bene armate, che potevano avere ragione di centinaia di indigeni nudi et ululanti. Un tipico raid ci viene raccontato sempre da Drummond:

People with long white shirts and wearing cloth round their heads (the Arabs) had been there with their chief, who was called Tippu Tib. He at first came to trade, then he had stolen and carried away the women. Those who had opposed him had been cut down or shot, and the greater part of the natives had fled to the ravines and forests. The Arabs had remained in the place in force, as long as there was any chance of hunting and finally capturing the fugitives in the woods. What they could not utilize they had destroyed or set fire to — in a word, everything had been laid waste. Then they passed on. The fugitives had returned to their former homes, and had endeavored to cultivate and renew their fields, and rebuild what was possible. After three months Tippu Tib’s hordes had again appeared, and the same scenes had been re-enacted, and again, for a third time, three months later. Famine and the greatest misery had been thereby produced throughout all the country of the Beneki. In Africa the results of famine are found mostly in the shape of fright ful epidemics, especially smallpox. I was told that a few of the fugitives had escaped to the West, but only an imperceptibly small number in comparison with those thousands — I may almost say millions — that I had found there on my first visit.”

Rallentare la carovana o lamentarsi poteva portare a conseguenze molto spiacevoli:

But after the first day or two the fatigue, the sufferings, and the privations have weakened a great many. The women and the aged are the first to halt. Then, in order to strike terror into this miserable mass of human beings, their conductors, armed with a wooden bar to economize powder, approach those who appear to be the most exhausted and deal them a terrible blow on the nape of the neck. The unfortunate victims utter a cry, and fall to the ground in the convulsions of death.

Insomma, in 1300 anni era cambiato poco. D’altronde, fu proprio Maometto a dare vita allo schiavismo musulmano, quando massacrò gli uomini della tribù ebraica dei Banu Quraydhah e ridusse in schiavitù circa 800 donne e bambini. Egli stesso possedeva un buon numero di schiavi e concubine.

2. Schiavi Bianchi

Nella storia dimenticata c’è una storia dimenticata, quella degli schiavi bianchi. Di solito la racconto quando mi iniziano a parlare di crociate, e nella maggior parte dei casi il mio interlocutore sbuffa dicendo che sono tutte menzogne.

Strano come la storia venga studiata quasi sempre in chiave euro-infamante, mentre a fare da contorno ci sono sempre arabi saggi (medici, filosofi, architetti) e buoni selvaggi.
L’Europa del sud e quella orientale divennero un importante serbatoio di schiavi bianchi sin dall’VIII secolo. Ho già parlato delle 30.000 ragazze trascinate in africa dopo la distruzione della nobiltà visigota di Spagna, ma si tratta solo di una frazione del traffico complessivo attivato nei primi secoli dell’islam.

Quanto alle concubine (in sostanza si trattava di ragazze rapite, buttate in un harem e stuprate a piacimento), sappiamo che gli harem delle personalità più eminenti del mondo arabo potevano raggiungere delle dimensioni enormi. L’harem of Abdal Rahman III (912 – 961) era composto da 6.000 ragazze, di cui la maggior parte europee; quello dei Fatimidi presso il Cairo circa 12.000.

A queste, come ho già accennato, si aggiungevano schiere di eunuchi. All’inizio del X secolo, il Califfo di Baghdad possedeva 11.000 eunuchi, di cui 7.000 neri e 4.000 bianchi.

I cittadini bizantini non facevano dunque una fine diversa da quella dei poveri africani. Sappiamo che il Califfo al-Mutasim lanciò nell’838 una campagna contro la città turca di Amorium, facendo talmente tanti schiavi da essere costretto a venderli a lotti di 5 o 10 per sbrigare velocemente le operazioni.

J.W. Brodman , in “Ransoming Captives in Crusader Spain: The Order of Merced on the Christian-Islamic Frontier”(1986), dice:

In the assault of Thessalonia in 903, 22,000 Christians were divided among the Arab chieftains or sold into slavery. In Sultan Alp Arsalan’s devastation of Georgia and Armenia in 1064, there was immense slaughter and all the survivors were enslaved. Almohad Caliph Yaqub al-Mansur of Spain raided Lisbon in 1189, enslaving some 3,000 women and children. His governor of Cordoba attacked Silves in 1191, making 3,000 Christians captive.

Più o meno nello stesso periodo, il sultano Mahmud iniziò una serie di massicci attacchi contro i territori indiani. In tre spedizioni, dal 1002 al 1015, rifornì i mercati orientali (specie quello di Ghazni) con oltre 800.000 schiavi. Mahmud è anche famoso per la distruzione sistematica dei templi indu e buddisti che trovava sulla sua strada e per il massacro indiscriminato di qualsiasi popolazione gli si opponesse. Parlando in senso relativo, Hitler gli faceva un baffo.

Sappiamo che anche i Vichinghi, vista l’alta richiesta, da parte degli arabi, di donne europee, iniziarono a lucrare con un traffico di schiavi parallelo a quello sahariano e orientale, seguendo delle rotte analoghe a quelle che, secoli più tardi, utilizzeranno i pirati berberi.

I musulmani utilizzavano molto gli schiavi di origine slava, che chiamavano “Saqaliba“. Una delle vie predilette per rifornirsi di questo prezioso bene era quella che passava dai Tartari di Crimea, convertitisi all’islam nel XIII secolo. I cacciatori di schiavi Tartari continuarono con le loro incursioni devastanti verso la Polonia e la Russia per circa trecento anni, dal 1450 circa alla fine del XVIII secolo. Durante questo periodo, 3.000.000 di europei furono costretti ad una marcia analoga a quella cui erano costretti i sub-sahariani.

In “Muscovy and the Black Sea Slave Trade”, H.J. Fischer dice:

…the first ordeal [of the captive] was the long march to the Crimea. Often in chains and always on foot, many of the captives died en route. Since on many occasions the Tatar raiding party feared reprisals or, in the seventeenth century, attempts by Cossack bands to free the captives, the marches were hurried. Ill or wounded captives were usually killed rather than be allowed to slow the procession. Heberstein wrote… ‘the old and infirm men who will not fetch much as a sale, are given up to the Tatar youths either to be stoned, or thrown into the sea, or to be killed by any sort of death they might please.’ An Ottoman traveler in the mid—sixteenth century who witnessed one such march of captives from Galicia marveled that any would reach their destination — the slave markets of Kefe. He complained that their treatment was so bad that the mortality rate would unnecessarily drive their price up beyond the reach of potential buyers such as himself. A Polish proverb stated: ‘Oh how much better to lie on one’s bier, than to be a captive on the way to Tartary’

La situazione non era differente nei balcani, dove gli Ottomani razziarono persone e beni per secoli. Il resoconto più accurato ce lo fornisce Alexandrescu-Dersca Bulgaru in “Le role des escalves en Romanie turque au XVe siecle” (1987):

The contemporary Turkish, Byzantine and Latin chroniclers are unanimous in recognizing that during the campaigns conducted on behalf of the unification of Greek and Latin Romania and the Slavic Balkans under the banner of Islam, as well as during their razzias on Christian territory, the Ottomans reduced masses of inhabitants to slavery. The Ottoman chronicler Ašikpašazade relates that during the expedition of Ali pasha Evrenosoghlu in Hungary (1437), as well as on the return from the campaign of Murad II against Belgrade (1438), the number of captives surpassed that of the combatants. The Byzantine chronicler Ducas states that the inhabitants of Smederevo, which was occupied by the Ottomans, were led off into bondage. The same thing happened when the Turks of Menteše descended upon the islands of Rhodes and Cos and also during the expedition of the Ottoman fleet to Enos and Lesbos. Ducas even cites numbers: 70,000 inhabitants carried off into slavery during the campaign of Mehmed II in Morée (1460). The Italian Franciscan Bartholomé de Yano (Giano dell’Umbria) speaks about 60,000 to 70,000 slaves captured over the course of two expeditions of the akinðis in Transylvania (1438) and about 300,000 to 600,000 Hungarian captives. If these figures seem exaggerated, others seem more accurate: forty inhabitants captured by the Turks of Menteše during a razzia in Rhodes, 7,000 inhabitants reduced to slavery following the siege of Thessalonika (1430), according to John Anagnostes, and ten thousand inhabitants led off into captivity during the siege of Mytilene (1462), according to the Metropolitan of Lesbos, Leonard of Chios. Given the present state of the documentation available to us, we cannot calculate the scale on which slaves were introduced into Turkish Romania by this method. According to Bartholomé de Yano, it would amount to 400,000 slaves captured in the four years from 1437 to 1443. Even allowing for a certain degree of exaggeration, we must acknowledge that slaves played an important demographic part during the fifteenth-century Ottoman expansion.

Possiamo stimare che, dal 650 al 1500 circa, gli arabi abbiano ridotto in schiavitù un numero di “bianchi” (latini, goti, slavi) superiore ai 5 milioni. Proprio all’inizio del XVI secolo si sviluppò una nuova minaccia per l’Europa, quella rappresentata dai Corsari Barbareschi.

Le loro continue razzie, spesso contrastate dai Cavalieri di Malta, ebbero come risultato la schiavitù di oltre 1 milione di europei nel periodo compreso fra il 1530 e il 1780. Molto interessati alle donne bianche, i Corsari Barbareschi si spinsero fino alla Groenlandia, ma una delle loro mete preferite rimase l’Irlanda che, secondo alcune fonti locali, fu praticamente decimata.

In 1544, the island of Ischia off Naples was ransacked, taking 4,000 inhabitants prisoners, while some 9,000 inhabitants of Lipari Island off the north coast of Sicily were enslaved. Turgut Reis, a Turkish pirate chief, ransacked the coastal settlements of Granada (Spain) in 1663 and carried away 4,000 people as slaves.

L’attività dei Corsari Barbareschi fu così intensa da costringere i neonati Stati Uniti a pagare un tributo annuo di 60.000 dollari a partire dal 1784. Ovviamente, gli americani si liberarono presto di questo peso portando la guerra in casa dei Corsari. Alla fine della Seconda Guerra Barbaresca, gli americani si erano garantiti pieni diritti di navigazione.

Il colonialismo europeo in Africa portò alla fine dello schiavismo islamico (e all’introduzione di analoghe forme, per info chiedere a Leopoldo II di Belgio) nella parte occidentale del continente, mentre la maggior parte dei territori orientali e l’arabia si rifiutarono di cedere alle richieste di abolizione dello schiavismo nate in USA e in Europa.

Ancora nel 1890, nel Califfato di Sokoto si contavano 2 milioni di schiavi. All’arrivo in Etiopia, i nostri nonni trovarono 2 milioni di schiavi su 10 milioni di abitanti.

Secondo diversi studi, a tutt’oggi in Africa esistono centinaia di migliaia di schiavi. D’altronde, l’Arabia Saudita ha abolito la schiavitù solo nel 1962, la Mauritania nel 1980.

Alla luce di quanto detto, potrete ben comprendere il motivo per cui trovo del tutto idiota l’azione compiuta da tanti neri negli anni’60-’70, che per abbandonare il loro nome da schiavi si sono andati a prendere nomi arabi, ovvero i nomi dei loro veri padroni.

E’ l’ennesima dimostrazione che la storia è stata e sarà sempre la pietra angolare del concetto di cultura.

Zweilawyer – zweilawyer@gmail.com

(Fonte: http://zweilawyer.com/)

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