Spiritualità Laica: “Nella realizzazione del Sé non c’è alcuno a definire cosa sia il Sé”
…andiamo al punto… all’esperienza sconvolgente di tutti i cercatori spirituali che hanno avuto -una sia pur fugace- Conoscenza del Sé…
Dal punto di vista dell’io che si identifica con il corpo e con la mente e riconosce come unica verità lo scorrere del tempo e l’esperienza empirica della vita, sembrerebbe che l’Esperienza del Sé sia una semplice ipotesi od al meglio una sensazione transeunte e sporadica.. Questo sicuramente dipende dalle tendenze mentali esteriorizzanti che catturano l’attenzione della coscienza.
A dire il vero l’Esperienza del Sé è totale, aldilà di ogni dubbio o considerazione sulla ipotetica durata o percorso della vita, temporalità, condizione dell’io, etc. Per cui non si può realmente parlare di “impermanenza” del Sé ma di semplice oscuramento.. e l’oscuramento non è una sostanza bensì oblio.
Per questa ragione anche nella spiritualità laica il riconoscimento della propria natura, in quanto “Io” (coscienza intelligenza) è visto come l’unico accesso al Sé trascendentale ed assoluto.
Questa “intuizione”, se tale si può definire, è chiamato nel tantra yoga “Shaktipat”, nella tradizione cristiana “discesa dello Spirito Santo”, nel sufismo “incontro con l’Amato”, nello Zen si descrive come “Satori”, etc…
Questa esperienza è indispensabile per riconoscere la verità sul Sé.. ma una volta che tale consapevolezza viene
ricoperta dalle tendenze innate oscuranti, viene percepita nella memoria come un’interpretazione della mente.. con la conseguenza di ritenere che l’esperienza sia “ottenibile”, in forma stabile, solo attraverso sforzi prolungati o alla perdita del corpo mente, ovvero alla morte fisica….
In realtà -come dimostra l’evidenza di numerosi realizzati viventi- il corpo mente non è l’ostacolo.. ma lo è la falsa identificazione dell’io con l’apparato psicosomatico… Come accade al sognatore che si identifica con un personaggio sognato… mentre tutti i personaggi indistintamente sono lo stesso sognatore…
Per farla breve il senso della discontinuità nella esperienza del Sé è la conseguenza della schermatizzazione mentale, dovuta all’ignoranza ed all’accumulo di tendenze oscuranti.
Shankaracarya, grande saggio del V secolo d.c., faceva l’esempio della paura provata da un viaggiatore per un serpente incontrato sulla via… in realtà si trattava di una
corda arrotolata.. ma la paura non scompare finchè la consapevolezza del serpente se ne va e viene sostituita dalla consapevolezza che si tratta di una corda arrotolata.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di sperimentare la realtà del Sé ed ho conosciuto diverse anime in cui tale stato si manifestava in forma stabile, ed ognuno d’essi negava l’ipotetica impermanenza della realtà del Sé.. definendola semplice “dimenticanza”. Ho fiducia in questa visione ed ho smesso di considerare come un “problema” il sentire tale permanenza, o non sentirla, quindi non interpretando l’esperienza del Sé, come un fatto sporadico occorso in alcuni momenti nella memoria, ma vivendola ed accettandola come un dato di fatto. La mia propria natura.
E’ pur vero che la mente continua a fare i suoi giochi identificandosi di volta in volta con questo o quel pensiero ma che importanza ha il ruolo di cui si riveste? Od il personaggio della recita?
Paolo D’Arpini