L’esperienza di Franca Oberti in politica: “Amministrare la cosa pubblica come fosse la propria casa…”

LA COSA/CASA COMUNALE

Dopo nove anni di esperienza quale amministratore comunale, ho pensato spesso di scrivere due righe sull’argomento. Avevo anche cominciato una serie di raccontini semiseri del tipo “le storie comunali di Clara”. Sì, uno pseudonimo, proprio per non farmi riconoscere. In realtà ero riconoscibilissima, perché la bugia è qualcosa che non mi riesce per niente bene e se scrivo, scrivo perché ho qualcosa da dire, e la maggior parte delle volte, scrivo proprio di vita vissuta.

Dunque, tutto cominciò nella primavera del 1994. Mio marito ed io, reduci da un anno in altra città per lavoro, comprammo una cartoleria proprio di fronte al comune del nostro paese ( 4500 anime nel cuore della Brianza). Incuriosita dal via vai comunale, provenendo da una grande città dove il comune era un luogo enorme, dispersivo, irraggiungibile, mi accostai lentamente alla conoscenza dei tanti aspetti comunali, dagli orari dei dipendenti, alle questioni scolastiche, anche a causa del nostro lavoro, e infine cominciai a conoscere gli amministratori, gli eletti, quelli che la gente decide di votare.

Dopo un anno di trionfo di un partito che aveva preso piede nel nord dell’Italia, quella primavera ci fu uno sconcertate ribaltamento politico nel paese e venimmo a sapere che la maggioranza era stata sfiduciata e ci sarebbero state nuove elezioni.

Un’amica, coscritta mia e di mio marito, ci invitò ad un pranzo con la leva, cioè tutti noi del 1952. Ci ritrovammo in una ventina, intorno ad un tavolo ed uno di noi era l’ex Sindaco, quello deposto, il defenestrato, ma girava in Ferrari ed era un gran compagnone. Tutto questo mi fece pensare che non gliene fregava poi così tanto.

Invece, nelle sue scanzonature, usciva spesso l’amarezza di aver covato delle serpi in seno e di avere un forte desiderio di dimostrare il suo valore, riproponendosi alle elezioni che si sarebbero svolte da lì a pochi mesi.
Alla fine del pranzo lanciò una sfida a tutti noi: “Facciamo una lista della leva!”

Ecco come cominciò la mia avventura nella cosa comunale: si fece la lista, ci si candidò e si vinse, il tutto lontanissimo dalle mie aspettative.
Avevo giocato, non sapevo nulla, ma proprio nulla della cosa comunale e la mia candidatura era solo un sostegno ad un amico che mi sembrava sincero e che meritava un’altra occasione per dimostrare le sue capacità, al di là del colore del partito.

Da un giorno all’altro fui travolta da riunioni, preconsigli, giunte, giuramenti, incarichi, appuntamenti, telefonate, firme….

Entrai immediatamente nella giunta, con l’incarico dell’Assessorato ai Servizi Sociali e io volli aggiungere l’Informazione, perché da subito, chiesi l’opportunità di avere un notiziario comunale, aspetto mai contemplato dalle passate amministrazioni.

Il nostro Sindaco parlava, parlava, parlava, parlava… ci convocava, affidava compiti, fumava come un turco – non c’era ancora il divieto – passava da un ufficio all’altro a dare disposizioni e ci raccomandava di… “non fare nulla!”

Il compito di un amministratore eletto è di dare disposizioni, compatibilmente con le possibilità di bilancio, dopo aver concordato con la giunta, il consiglio di maggioranza e il segretario comunale. Alla fine c’è da sperare, che se si vuole realizzare un progetto, almeno si metta in moto la macchina comunale!! Non sempre succede, le proposte si arenano, i progetti si accumulano e passa in fretta il mandato, lasciando una specie di amaro in bocca, per non aver potuto fare.

La parte politica è la peggiore, perché le indicazioni di partito limitano ancora di più i movimenti. Se si vuole dare una casa ad un povero, c’è il rischio che quel povero debba avere la tessera del partito, pena: lasciare la casa vuota! E il povero senza casa, ovviamente!
Mi sono sempre sentita estranea a questo tipo di pensiero. Non amo l’ammassamento, il proselitismo, l’appartenenza, ma nemmeno l’allontanamento per chi non la pensa come me; è sempre difficile l’equilibrio.

I controlli sul tenore di vita, l’ISEE, le ricerche sui conti correnti, sono una vera stupidaggine. Non si può mai sapere cosa davvero nascondono le persone, ed è giusto così, sono affari loro, è un amministratore che deve capire quando uno ha davvero bisogno.

Mi limito a parlare del sociale, perché è la parte che ho curato, anche se spesso il mio lavoro si incrociava con la Cultura e per fortuna ero amica dell’altro Assessore, così tanti progetti li abbiamo condotti insieme, tra la disapprovazione degli altri, il poco interesse del nostro Sindaco, sempre troppo preso verso progetti di cui noi non sapevamo e non dovevamo sapere nulla (scoperto un po’ tardi).

Un buon amministratore eletto deve avere progetti alla sua portata e concretizzarli con ogni mezzo lecito e possibile.

Se si crede nella politica, questa è una grande opportunità.
Se la politica si usa, prima o poi i nodi verranno al pettine e si capirà benissimo quando uno portava avanti i progetti “trafugati” ad altri, o peggio, suggeriti dai suoi capi di partito per ben figurare.

Ho conosciuto tantissimi politici di questo calibro, persone penose che cadevano subito in trabocchetti banali, se solo gli si chiedeva qualcosa in più di quello che non era farina del loro sacco.

Importante era l’immagine, far vedere che si faceva, che si era fatto; infatti dovevamo tenere un diario, scrivere ogni piccola e stupida cosa che si portava avanti.

Alla fine del primo mandato, il nostro Sindaco mi fece scrivere un resoconto, ben ingrassato e oliato per preparare un nuovo volantino: avremmo concorso anche alle nuove elezioni!

L’importante era rimanere uniti, essere coerenti, non dar mai segno di debolezze tra le file del gruppo, parlare il meno possibile ai giornali.
A me sarebbe piaciuto tanto far scrivere articoli su articoli, spiegare, illustrare tutti i nostri movimenti per consentire anche ad altri di prendere spunto, di avviare progetti per il bene comune, per consentire spazi anche ai cittadini e sapere quello che succedeva davvero dentro quelle mura. In realtà compresi dopo che raccontare dei nostri progetti non ci permetteva di emergere con la novità di quei progetti, dovevamo essere competitivi e dimostrare che lavoravamo meglio di altri comuni, magari con bandiere diverse.

L’unico modo che mi fu consentito veniva dalla pubblicazione del notiziario. Fu un intenso periodo di lavoro per raccogliere notizie, impostare un menabò gradevole e scorrevole e coinvolgere i cittadini nella stesura di testi, avvisi, piccola letteratura, foto, relazioni tecniche sui lavori del comune.

A questo proposito decisi di indire una riunione allargata anche alle minoranze, invitando le persone che avevano sempre dimostrato disponibilità con la loro presenza nel comune. Avevo invitato anche coloro che non avevano mai avuto contatti diretti, ma che, chiacchierando per strada o al bar, dimostravano curiosità, capacità latenti e desiderio di contribuire.

Fu un’assemblea che lasciò il segno! Un bel successo, tanti che subito si offrirono di partecipare, al di là del colore politico; purtroppo il tutto rovinato da un losco personaggio che faceva parte di una minoranza, che, vistosi non invitato perché non gradito per vari motivi personali e comunali, venne ugualmente, lanciando anatemi nei miei confronti e minacciandomi davanti a circa 30 persone, che per fortuna, capirono la situazione e la questione si chiuse lì.

Il notiziario suscitò reazioni negative e positive, ma le positive prevalsero e quello fu uno dei miei progetti più riusciti.
Un altro progetto riuscito fu l’utilizzo di un campo comunale incolto e inutilizzato che decisi di lottizzare e di assegnare ai pensionati ad uso orto.

Dopo dieci anni ancora adesso mi ringraziano e spesso mi offrono insalata e pomodori.
Purtroppo quando cambia un’amministrazione e cambia anche il colore della bandiera, sembra logico distruggere ciò che gli altri hanno costruito.

Lo trovo indecente! Cosa si deve dimostrare? Di essere sempre i primi della classe?

Troverei così utile, invece, non sprecare tempo e proseguire, ammettere alcune azioni buone e tentare di correggere quelle meno buone.
La continua ricerca degli errori da elencare; la necessità di limitare il tempo degli interventi a causa di alcuni noiosissimi consiglieri di minoranza, puntigliosi, pittime e incapaci di proposte concrete, è l’aspetto più snervante dei consigli comunali.

Un buon padre/madre di famiglia, quando sa che agisce per il bene di tutti, discute, sviscera i problemi, ma alla fine deve prendere delle decisioni, fare scelte, i cittadini che hanno eletto le persone, si aspettano che queste si prendano le loro responsabilità.

Un altro aspetto che è stato ampiamente discusso e che porta ad oggi mille discussioni anche in parlamento, è la retribuzione.

A livello comunale, posso dire con tutta onestà e sincerità, che si è sempre sottopagati!

Non c’è rapporto tra il tempo che si dedica al comune e alla cosa pubblica e la misera retribuzione che viene erogata in base al numero dei cittadini che sono gestiti.

Facendo due conti, finiti i miei mandati, mi accorsi che avevo “guadagnato” – si fa per dire dato che ci si paga anche le tasse – la metà di quello che prende una baby sitter pagata in nero! Il tempo lontano dalla famiglia, le ore impossibili delle riunioni, le convocazioni d’urgenza, le cerimonie di sabato e domenica, i viaggi, i corsi di aggiornamento per le innovazioni provinciali, regionali, nazionali.

Alle ultime elezioni, ci fu un candidato benestante che si permise di proporre la rinuncia della retribuzione in cambio della sua elezione; voleva a tutti i costi dimostrare che era “buono”, invece la gente la comprese diversamente e sembrò che volesse fare l’elemosina.

La retribuzione non dovrebbe esserci, perché è un volontariato, ma anche le associazioni di volontariato ormai si sono piegate alla logica di mercato, nessuno fa più niente per niente, e non va bene nemmeno avere troppo senza aver fatto praticamente nulla!

Un argomento che seguii con grande interesse fu l’introduzione della raccolta differenziata dei rifiuti; da ecologista, ambientalista, naturalista, quale sono, non potevo che essere subito travolta da questo interesse.

Andai a seguire un corso di compostaggio, partecipai alle riunioni della ditta che si sarebbe occupata della differenziazione; vidi filmati, luoghi di raccolta, smistai sacchetti, secchielli, preparai comunicazioni per il notiziario, tutto quello che poteva essere di supporto alla coscienza della gente che avrebbe dovuto affrontare il cambiamento.

Le associazioni ecologiste cominciarono a proporre le “pulizie” dei boschi e noi aderimmo con gioia e gratitudine, perché il cambiamento epocale doveva avvenire e noi ci sentivamo pronti… io mi sentivo pronta!! La sopportazione degli impiegati per il mio entusiasmo era ben visibile sui loro visi. Io partivo col progetto e loro avrebbero dovuto eseguire!

Ci furono scontri coi segretari comunali, perché loro hanno il vero potere; sono loro che dirigono il comune, non il sindaco!
Tralascio tutto l’aspetto pseudo-mafioso che si percepisce, non vorrei prendermi delle denunce per vilipendio…

Essendo Vice Sindaco, mi aspettavo una proposta di candidatura per il nostro terzo mandato, poiché il Sindaco si può candidare solo per due mandati.

Per lui era sempre stata importante l’unità del gruppo. Gli altri nei miei confronti avevano una sorta di rispetto e timore, perché mi avevano riconosciuto dignità e mi rispettavano. Con tutti ero sempre stata estremamente onesta e leale, ma…. ero una donna e non ero un’autoctona!

Quando, due anni prima della fine del mandato, mi sentii dire questo dal Sindaco, al quale avevo chiesto che cosa avesse pensato per il nuovo candidato, pensai di aver capito male.

Nel 2003, in un paese del nord Italia, avere ancora queste ristrettezze mentali era ridicolo!

Avrei preferito sentirmi dire: “tu no perché non sei laureata”, forse l’avrei accettato.

In realtà non serve né una laurea, né un diploma, basta scrivere correttamente e sapersi destreggiare con le parole. Avevo ampiamente dimostrato le mie capacità. Tutto il paese pensava a me come il futuro candidato, mi sentivo pronta, ma ero una donna!!
Ovviamente cominciai a vedere tutto sotto altre luci. Cominciai anche a percepire la malafede di chi mi stava intorno e mi dissi che era giunto il momento di fare un passo indietro.

Un anno prima delle elezioni, il Sindaco pensò bene di non interpellarmi per una questione importante. Lui stava giocando le sue carte ed era un giocatore incallito, io come un pollo da spennare non compresi il suo gioco e decisi di dare le dimissioni.

Non sono una politicante di mestiere e sono talmente sincera con me stessa e con gli altri che avrei perso credibilità, sarei stata incoerente coi miei principi e avrei condotto quel falso programma in malo modo.

Ho preferito andarmene, in sordina, nonostante i giornalisti mi cercassero per pubblicare il gossip comunale: “la giunta vacilla! Il sindaco si dimetterà?” e via con queste illazioni più o meno lette e ascoltate, ma si sa, il giornalista fa il suo mestiere, purtroppo chi legge non sempre analizza i fatti o si informa alla fonte e così nasce il pettegolezzo.

Mi sono pentita, in seguito, di quel gesto, perché forse, rimanendo, avrei potuto fare ancora qualcosa per la gente.

Mi sono anche resa conto che chi governava con me, tentava la scalata, come tutti i politici. Ho avuto modo di conoscere sindaci che sono diventati presidenti di provincia o ministri.
Ho capito che più uno sale in alto e meno vede i particolari di chi sta sotto.

Si perde di vista l’obiettivo, oppure si mette in atto finalmente la mala fede, a scelta!

Più si diventa importanti e più occorre difendersi. Più si occupano posizioni che gravano sul benessere della gente comune e più si diventa duri e non si riconoscono più i bisogni.

Le retribuzioni aumentano con la scalata fino ad arrivare a quello che stiamo vedendo oggi: un vero e proprio accaparramento di ciò che non spetta a loro, ma che arriva dal sacrificio della gente. Thoreau diceva “nessun governo è il miglior governo” e vediamo bene che ogni volta che viene imposta una legge, si toglie un altro pezzo di libertà alle persone, per quanto ancora? In una mia brevissima poesia, anni fa, scrissi “Sarei più libera/se fossi incatenata” mai come oggi la sento vera.
E’ un mondo massacrante per chi ha un cuore. Ma sono convinta che è solo con un cuore che si può governare.

Le vere doti per un buon amministratore pubblico, a mio avviso, sono:

Empatia, buon senso, saper fare il padre/madre di famiglia
Senso del risparmio
Attenzione al territorio
Rispetto del cittadino
Capacità di vederne i bisogni
Fermezza quando necessaria (saper dire di no al bambino)
Coltivare l’aspetto culturale sviluppando laboratori per tutte le arti
Occuparsi di offrire informazioni sulla salute pubblica
Prevenire, per quanto possibile, le necessità della gente
Mantenere ordine e pulizia
Regolare la viabilità
Saper mediare, essere diplomatico
Autorevole ma non autoritario
“Fare, saper fare, dar da fare, lasciar fare” (che non è una frase mia ma di Papa Giovanni, e che trovo illuminante per capire come si può diventare un leader e un punto di riferimento)

Ecco caro Paolo, mi sono dilungata, ma credo di aver descritto ampiamente il mio pensiero.

Poi tu sai meglio di me che uno può non essere laureato ed essersi fermato ad una scuoletta di paese che non ha insegnato ad usare l’acca, ma se è curioso e desidera migliorarsi, gli basta comprarsi un libro di grammatica e studiarsela da solo.

E’ solo con la curiosità e il desiderio di imparare che si può arrivare ovunque.

“Sapere di non sapere…”.

Ti ringrazio per avermi dato questa opportunità. Forse era arrivato il momento di mettere nero su bianco queste emozioni/sensazioni, questi concetti e pensieri che rimuginavo da allora e ancora non avevo chiari come in questo momento.

Ti auguro tanta serenità e grazie per quello che offri coi tuoi scritti, sempre utili e illuminanti.

Ho fatto l’1 di notte… Buona domenica

Franca Oberti

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Post Scriptum

Caro Paolo,

devo necessariamente fare qualche aggiunta, per farti un quadro completo del mio pensiero.

Sono nata da mamma atea e papà cattolico non praticante. Sono cresciuta a pane e comunismo, ma poi mi sono scontrata con le realtà di sinistra più pesanti nel tempo: femminismo esagerato, sindacalisti corrotti, ecc… Quando sono entrata in quella lista sapevo che era fondamentalmente di destra, ma mi illudevo di far pendere il piatto della bilancia per creare equilibrio nei confronti dell’assistenza alla gente.

Le mie amiche di sinistra mi evitarono per tanto tempo…

I destristi che erano in consiglio con me mi definivano una “sinistroide”.

Altri mi classificarono “razzista” per la mia appartenenza nella giunta di quel periodo.

Insomma non ero di nessuno, ma ero di me stessa! E oggi ne sono quanto mai felice!

Ho sempre pensato che fosse l’esempio ad essere importante e da 60 faccio questo. Propongo uno stile di vita con l’esempio.

Allego un intervento dell’anno scorso a Fonte Avellana, dove emerge una mia chiara vocazione, infatti sarei stata giusta per il ruolo che avevo in comune, anche negli anni a venire, peccato…

Troverai anche il link di Terra Nuova dove è stato pubblicata una mia lettera, scritta col cuore di amministratrice comunale, che è il vero e unico luogo dove si sviluppa concretamente un politico.

http://www.aamterranuova.it/Terra-Nuova-dei-lettori/Il-diserbante-che-non-ti-aspetti

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INTERVENTO PER FONTE AVELLANA 28 APRILE – 1 MAGGIO 2012

SULLE TRACCE DELLE DONNE MEDICINA

Una vita spesa per lo studio, la curiosità non mi abbandona; unica laurea in pazientologia, scuola della vita. Diplomi e attestati di vario genere inerenti la medicina alternativa. Un marito, lo stesso e l’unico da 35 anni, due figli adulti, più o meno sposati. Sono passata attraverso la vita provando tanti lavori: dall’impiego metalmeccanico, all’artigianato, al commercio e da ultimo, ma non meno importante, la naturopatia, coltivata fin dalla gioventù. Da circa vent’anni sono impegnata socialmente, sia come vice sindaco per nove anni, che come membro di consiglio pastorale e decanale. Presidente dell’associazione Verso Lunezia di Cortebrugnatella (PC). Il mio hobby la letteratura: presento libri, ne scrivo e partecipo a incontri di lettura. Collaboro con riviste e giornali locali; le mie attività ruotano su tre regioni dell’Italia del nord.

Sono una donna-medicina, una guaritrice, una che “segna”, una strega, si sarebbe detto in altri tempi. Posso affermarlo oggi, non perché me ne sento investita, ma per le conferme avute da altri, soprattutto da chi ha trovato benefici nelle mie cure. Tra le mie antenate, e nel mio codice biologico, sono annoverate generazioni di levatrici, guaritrici, magi, o maghi, se preferite. Ho un sacro timore del fuoco, ma anche mi affascina, forse il mio DNA comprende Inquisitori e Streghe bruciate sul rogo. Ognuno di noi si porta appresso un bagaglio genetico che crediamo di avere svelato con quei sentierini elicoidali che la scienza moderna ci propina. Terzani, che tutti conosciamo per profondamente ateo, ha dovuto arrendersi, alla fine dei suoi giorni affermando che forse, dietro l’ultima porta che non aveva aperto, c’era il codice di Dio.
Parlare di questi argomenti nell’era informatica fa sorridere. Eppure, mai come in questa epoca, il divario e la necessità dell’esistenza di questi due poli, è indispensabile. Il giusto equilibrio tra ciò che è tecnologicamente più recente e ciò che “naturalmente” proviene dalla notte dei tempi.
Potrei definirmi una curandera, ed essere qui oggi, e ammetterlo a tante persone di ogni fede politica e religiosa, di grande cultura e con la matrice comune della cristianità, non è facile. Nella velocizzazione dei nostri tempi, tante persone come me, stanno vivendo questa realtà nuova, questa recente riscoperta di talenti soffocati, ignorati, per troppo tempo. Nel mio caso, da quasi 60 anni il Signore sta tentando di forgiarmi, affidandomi a genitori con caratteristiche ben precise, mettendomi vicino parenti comodi e scomodi. Forse perché ero troppo ribelle, mi ha fatto passare per lunghi e oscuri periodi di ospedale e di malattia, tutto questo per modellarmi, anche se questa statua di argilla non è riuscita proprio perfetta. Ma chi è perfetto? Chi si può arrogare il diritto di dire “IO so”?
Un particolare programma informatico, sta creando questi strani file, un misto di concretezza e mistero; una serie binaria di senso e controsenso.
In questo nostro millennio dove c’è desiderio irrefrenabile di onnipotenza e il potere economico e politico sta raggiungendo l’apice, si dovrà ricominciare a mediare, pena una rovinosa e imprevedibile caduta. Toccherà a qualcuno di raccogliere i cocci della società dell’illusione, soprattutto quelli che hanno puntato tutto sul tangibile, sulla concretezza e certezza materiale. Tanti si sentiranno bastonati, delusi, illusi e traditi. Ma chi sta col Signore non avrà paura. E chi avrà avuto il coraggio di accettare che è il vuoto che fa del vaso un vaso, non dovrà temere nulla.
Non è stato facile, per me, figlia di questa epoca, arrivare a questa consapevolezza,. Una madre atea e un padre che si nascondeva per pregare e gli era consentito accendere un lumino solo il 2 di novembre, davanti alle foto dei suoi cari.
Da mio padre ho imparato a inoltrarmi in questa giungla di credenze, di ipocrisie e di falsi dei. Ho imparato a cercare il mio sentiero tra le tante lusinghe e promesse di certezze future.
Segno le storte.
Il “segno”, la “signatura”, ho imparato a farla solo a 30 anni, grazie a un’altra donna-medicina che aveva visto in me qualcosa che non saprei spiegare; e chissà quante altre cose avrei potuto fare per aiutare gli altri, io, come tutti noi, esseri umani, cellule di un unico organismo vivente che è la nostra Terra, se soltanto da piccoli fossimo stati aiutati a sviluppare le nostre doti, anziché spinti e convinti a soffocarle con futili giustificazioni che odoravano di timore per l’ignoto, di invidia e gelosia e se solo ci avessero insegnato a rimanere uniti, invece di inculcarci il senso della prevaricazione.
Tanti piccoli passi che ho percorso per caso… per caso? Tanti tasselli, lentamente che si sono posizionati al loro posto e hanno formato quel mosaico ancora incompleto che è la mia vita.
La vita è un viaggio verso l’ìgnoto e non un videogioco che si può far ripartire in qualsiasi momento. Più che un viaggio, sono tanti viaggi; ad ogni evento particolare, lutto, malattia, matrimonio, nascite, ecco che comincia un nuovo viaggio.
Il mio secondo viaggio è iniziato a 40 anni, quando mi sono “rivoltata come un calzino”, gettando nello sconcerto tutta la famiglia, marito compreso. Tanti sono stati gli eventi, i momenti preparatori, ma io non li vedevo ancora, ero ancora infarcita di consuetudini imposte da altri.
Ma poi è arrivato un segno e quello è stato il momento in cui ho cominciato a “vedere”, come il cieco nella piscina di Siloe.

Da “L’alloggio”, PREGHIERE, Michel Quoist:

Signore, non potevo dormire e per pregarti meglio mi sono rialzato.
Fuori è notte, soffia il vento e cade la pioggia,
e rompendo l’oscurità le luci della città annunciano viventi.
Mi danno fastidio quelle luci, Signore; perché averle accese ai miei occhi?
Mi hanno chiamato ed ora mi tengono prigioniero, mentre furtivamente le sofferenze della città mormorano il loro tragico lamento;
e non posso sfuggirle Signore, le conosco troppo quelle sofferenze.
Le vedo apparirmi,
le odo parlarmi,
le sento schiaffeggiarmi,
perché le conosco, Signore,
le so mentre stavo per addormentarmi.(…)

Ora che anch’io riesco a vedere devo lentamente portare alla luce una mia identità e i talenti che mi sono stati donati. Sto lottando dentro e fuori di me, per ricavare uno spazio che mi auguro verrà facile a chi arriverà dopo di me.
Mi sono preparata e sono diventata quello che oggi si definisce una “terapeuta olistica”. L’informatizzazione non perdona, l’elasticità umana non esiste tra chip e circuiti stampati: occorre essere “configurati” e “schedati”.
Non utilizzo strumenti informatici per diagnosticare le malattie, né per intervenire sulle persone ed aiutarle a guarire: uso me stessa; metto in gioco tutta la mia persona.
Non sono un medico tradizionale, non una psicologa, né un sacerdote; curo il vaso d’argilla del corpo senza caricarlo ancora di bagagli inutili, utilizzando ciò che la madre terra mi offre. Forse è lo Spirito che mi suggerisce; non saprei dire con precisione; questo è l’imprevedibile nella quotidianità, di certo so che annullo me stessa e mi pongo al servizio. Suggerisco piccoli accorgimenti naturali che in questi ultimi secoli, dopo devastanti distruzioni ad opera dei tanti poteri mondiali, della chimica e dell’economia, qualcuno ha saputo riscoprire e conservare. Credo di aver capito che il mio compito è nell’aiutare ad affrontare le paure, le tante paure che invece la società ci impone, per meglio controllarci. Soprattutto propongo di guardare alla vita come a un arco in un cerchio e non un segmento nascita-morte. E’ un’epoca in cui non si può più trattenere nulla: emozioni, sentimenti, sapere, vanno condivisi e io sto lavorando per questo. Ognuno è ricco e unico e ha in sé già tutte le risposte; ascolto le persone che con la voce e la mente sempre accesa, tentano di raccontare i loro malesseri. Lentamente le conduco un pò più in profondità e le pongo di fronte alla loro parte nascosta; insieme, lasciamo che l’anima si esprima e ci racconti ciò che desidera essere; andiamo oltre quello che siamo o che gli altri vorrebbero che fossimo.
Uso strumenti empirici, ma io lo so che non hanno senso per quello che rappresentano nella loro materialità, che sono le mie mani che li guidano, e una grande fede per chi opera dall’alto e le conduce, queste mani; so anche che a volte la gente, carica di pregiudizi, non sa, non vuole comprendere e non si informa, esclude e basta. Difficile spiegare che in quei momenti, semplicemente, sono un canale, annullo la mia personalità, zittisco l’ego e cerco di entrare nello stato di umile servizio che ricordava Madre Teresa: “sono una matita nelle mani di Dio”. So anche che non è facile per un terapeuta olistico trovare l’equilibrio tra l’essere e l’avere. Ai nostri giorni, con tutta la smania di volere e possedere, il potere è una tentazione infinita. Ma non è nostro, come non è nostro tutto ciò che ci circonda, nemmeno il corpo, quello apparterrà alla terra.
“Francesco ripara la mia chiesa” fu chiesto a Frate Francesco, dal Crocifisso, nella chiesa di San Damiano. Dov’è oggi un altro Francesco?
Sono in continua lotta, ma come dice Don Gallo sorridendo, “nella chiesa ci sto bene”. Sento che è questo il luogo dell’anima e sto sgomitando per rimanerci, anche se ammiro e accetto chi prova una fede simile alla mia, e a quella di tanti altri cristiani, per un Dio che ha un nome diverso dal nostro. Mi dispiace sentire il giudizio di certi sacerdoti che predicano contro chi opera come me. Non accetto la distorsione della realtà con l’utilizzo di parole che hanno, praticamente, lo stesso significato (es. carismatici, locuzioni interiori), ma che generano ambiguità e dividono le coscienze di chi non ragiona con la propria testa. Sento il demonio dentro e ogni giorno gioco le mie partite per tenerlo a bada – San Pio ci insegna – lasciando che la sua presenza, mi stimoli a continuare e perfezionare la ricerca della luce.
Le tentazioni arrivano da ogni lato e spesso mi sento schiacciare, ma è sufficiente fermarmi, raccogliermi nella pustinia e meditare, oppure svuotare la mente, come suggerisce San Giovanni della Croce, recitare qualche preghiera, camminare nella natura; poi, piano piano mi sento riempire di nuova pace, di assoluto e sono pronta a ricominciare. Certo tutto questo non dà guadagno; non consente di vivere nel lusso, anzi, spesso si rinuncia a qualcosa per continuare in quello in cui si crede.
Vorrei che la chiesa fosse più attenta ai bisogni dell’uomo piuttosto che a ciò che possiede, come purtroppo sembra accadere in quest’epoca così conflittuale, e che fosse la prima a dare l’esempio, ma gli esempi oggi sono cambiati, manipolati, ribaltati. Anche la chiesa si è adeguata e questo mi addolora.
Ma rimango qui e ancora cerco e ancora mi muovo per aiutare e per esserci, nonostante gli anni, i tanti acciacchi, le bastonate della vita e gli stessi familiari che tentano sempre di mettermi alla prova, continuando a dubitare dei talenti che ho avuto la fortuna di riconoscere. Siamo discepoli di Gesù e in quanto tali, siamo tenuti a continuare la sua opera, ma smettiamola di dividere gli uomini dalle donne e di definire guaritori o carismatici gli uomini, mentre le donne sono solo streghe e fattucchiere. L’anima non ha sesso ed è con questa e per questa che lavoriamo. Nella sua vita terrena, Gesù, spesso cercava le donne, quante donne nel Vangelo sono state esaltate! Lui aveva capito quale tesoro si cela nella creatura femmina, a partire dall’intuizione, dalla sensibilità, dalla capacità di accogliere, fino al mistero della vita e per noi cristiani, quale esempio migliore della Madonna? Perché poi ci si è dimenticati di questo insegnamento? Quando abbiamo cominciato a distorcere questa semplice verità? Occorre riscoprire l’importanza del femminile per tanti aspetti, lasciando più spazio all’intuizione e consentendo alle donne di esprimere i loro talenti nella giusta parità, evitando di danneggiare ulteriormente il femminile della nostra società, che ha già subito tanti, troppi danni, come le tante famiglie allo sbando. E poi c’è l’energia, si parla di energia, qualcuno sorride, tra la diffidenza e il timore di qualcosa che non si può vedere, né capire; ma che cos’è? Chi può dire che cosa è il vento, che cosa sono le radiazioni nucleari? Nessuno le vede, ma i danni che fanno sono ben visibili. Ma abbiamo la speranza di quest’altra energia, che in realtà si può scomporre in tre tipi (che strano, ancora un TRE); è qualcosa che non vediamo, ma che il nostro corpo, come un’antenna va a pescare nell’universo e la trasmette, oppure la assorbe dalle radici, materiali e immateriali, e la passa ad altri, o la assume dalla natura che continuamente ci sostiene e che non siamo ancora capaci di rispettare, credendo sia un diritto sfruttarla. Qualcuno la percepisce l’energia, altri la subiscono, altri ancora hanno imparato a conoscerla e la usano per il bene, anche se qualcuno la sfrutta mettendola al servizio del male, ma non per questo si deve dubitare di tutti quelli che ne parlano e la palesano.
La mia esposizione non vuole ignorare che stiamo vivendo nell’era informatica, ma che anche oggi è necessario trovare un equilibrio tra il concreto e l’invisibile. È una sfida che si può accettare, se solo cominciamo ad essere sinceri con noi stessi e verso gli altri
Non possiamo più fingere di non capire quanto lo spirito stia lavorando in noi, in questi tempi ultimi; per chi studia certe filosofie, abbiamo raggiunto il kaliuga, l’era dell’acquario, e cioè dell’aria; sono dunque giunti i tempi dove tutto si sta vaporizzando, anche le certezze materiali. Per quanto possibile, abbiamo il dovere di elevarci; per quanto gravati dal corpo, siamo tenuti a rispettare di più l’anima e ascoltarla, per poi agire secondo quello che suggerisce alla nostra coscienza. Non può esistere la scienza senza la coscienza e ricordiamoci sempre che la mente mente, spudoratamente e continuamete.

Concludo con una mio pensiero poetico, la preghiera del terapeuta:

PREGHIERA DEL TERAPEUTA

Signore, Tu che stai lì
dentro di me,
aiutami a cercarTi
nel mio cuore
affinché possa aiutare
tutte le persone
che mi vengono a cercare
per ricevere parole
che le possano scaldare
come raggi di sole.
Vorrei mostrare
a chi è disperato
come è grande e celeste
tutto il Creato
e regalare sogni e colori
perché ogni malanno migliori.
E quando riusciranno
di nuovo a vedere
lo spettacolo della natura,
saprò che hai compiuto
ancora un miracolo
e che insieme
abbiamo completato
la cura.

Grazie per avermi ascoltata.

Franca Oberti

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