Università della Tuscia e studio della panspermia cosmica – Tracce di vita trovate in meteoriti provenienti da Marte
Una serie di rocce marziane, scagliate nello spazio a causa di impatti di comete e meteoriti su Marte, finite poi nell’orbita terreste e successivamente sul nostro suolo (vedi la famosa meteorite antartica), avrebbero aperto la strada alla vita sul nostro pianeta. Si perché queste rocce marziane hanno dimostrato di contenere elementi propedeutici alla vita, spore e fossili di microorganismi.
Alcuni anni fa un esperimento durato sei mesi sulla stazione orbitante terrestre organizzato e gestito dalla NASA anche con la collaborazione dell’Università della Tuscia, dimostrò in maniera inequivocabile che la vita sul nostro pianeta poteva essere arrivata dal cosmo. L’esperimento consisteva nell’esporre nel vuoto dello spazio micro funghi e muschi in appositi contenitori posti all’esterno della stazione orbitante. Dopo sei mesi di esposizione ai micidiali raggi cosmici e alle fortissime escursioni termiche, i funghi ed i muschi tornati sulla Terra dimostrarono di sopravvivere anche in condizioni difficilissime, come nello spazio. Da quel momento la teoria della Panspermia Cosmica (La vita nasce nell’universo e questa attraverso le comete si trasferisce su tutti i pianeti) fu finalmente accettata dal mondo scientifico.
Che la scintilla della vita sia arrivata da Marte è la conclusione in cui è giunto il professor Steven Benner e il suo team del «The Westheimer Insitute for Science and Technology» (Usa) analizzando la presenza del molibdeno ossidato ritenuto presente su Marte. «Questo elemento quando viene ossidato – spiega Benner – è in grado di influenzare la nascita delle prime forme di vita».
Fino a qualche anno fa gli scienziati si sono sbizzarriti attraverso esperimenti di ogni tipo per cercare, ma mai convincendoci, che la vita sulla Terra era nata da un brodo primordiale che univa vari elementi minerali con l’elettricità fornita dai fulmini, ecc. Che si sospettasse invece che la vita fosse nata grazie alla combinazione di qualche Supernova con nubi cosmiche di gas contenenti acqua e carbonio e che poi questa fosse distribuita nei vari sistemi solari da comete, meteore e da altri corpi erranti, era venuta alla mente degli scienziati subito dopo il fortunato esperimento NASA dei muschi e dei funghi nello spazio. Per il prof. Benner l’elemento base per dire che la vita sulla Terra è arrivata da Marte è il molibdeno, un metallo utilizzato oggi per rendere più robusto l’acciaio.
Un minerale che per fondere ha bisogno di temperature altissime, più di tutti gli altri metalli. Una caratteristica questa che gli avrebbe consentito di resistere anche al calore prodotto dall’attrito della nostra atmosfera. La fase di passaggio da molecole organiche semplici a quelle più complesse, fino all’organizzazione di strutture biologiche di base, sarebbe stata possibile grazie ai composti ossidanti di molibdeno.
Circa tre miliardi di anni fa il nostro pianeta era povero d’ossigeno o addirittura non lo aveva proprio, per cui il processo di ossidazione non si sarebbe potuto attivare sul molibdeno, fase questa determinante per la produzione di molecole organiche semplici. Secondo Benner e il suo team invece Marte possedeva in quel periodo una sua atmosfera con ossigeno e vapor acqueo, quindi, i composti ossidanti del molibdeno erano attivi e pronti ad innescare il processo dell’inizio della vita, anzi, per lo scienziato, su Marte la vita si era già avviata verso fasi più complesse dell’evoluzione.
Ma qualcosa andò storto, forse un grande impatto con un grande corpo celeste errante, sta di fatto che il pianeta rosso perse la sua atmosfera, le sue acque evaporarono o percolarono all’interno del pianeta, generandosi ovunque un deserto sterile senza più vita.
Da quell’eventuale scontro con un gigantesco meteorite frammenti di Marte furono scagliati nello spazio ed alcuni di essi raggiunsero il nostro pianeta. Da questi frammenti la vita sopravvissuta di Marte trovò terra fertile e così lentamente si rigenerò avviandosi verso la colonizzazione di tutto il nostro pianeta.
Sembra una storia tratta da un libro di Urania, invece è realtà. Una realtà che dà ragione al martire Giordano Bruno, antesignano di chi ha sempre creduto nella vita in altri pianeti e a tutti quelli che fino a qualche anno fa hanno sempre ritenuto che l’uomo fosse un figlio delle stelle e non un prodotto esclusivo della Terra.
In conclusione va fatta una riflessione: la fantascienza ha sempre precorso i tempi, vedi Odissea nello spazio e a seguire tanti altri lavori cinematografici e letterari. Viene spontanea una domanda: – chi scrive storie di fantascienza lo fa perché è un creativo, perché è tutto frutto della sua fantasia, oppure perché inconsciamente riesce a captare onde temporali di qualcosa che già esiste o che si realizzerà in futuro? Questa riflessione è sorta perché ho verificato una impressionante similitudine tra il risultato degli studi dello scienziato Benner e della sua equipe e la trama finale di un film di fantascienza del 2000 dal titolo “Mission to Mars”.
Gli accostamenti tra i risultati scientifici di questi scienziati e la trama del film, nella parte finale, sono paradossalmente identici.
Gabriele La Malfa – Accademia Kronos