Conquistadores e missionari a braccetto per distruggere la civiltà originaria delle Americhe
Il Requerimiento era un ultimatim che i conquistadores spagnoli, durante il XVI sec, davano al loro arrivo nelle Americhe alle popolazioni indigene, con l’ingiunzione ad accettare l’autorità della Chiesa cattolica. Il testo della dichiarazione, che veniva letto ad alta voce in spagnolo o latino a indigeni che non conoscevano nessuna delle due lingue, diceva: “Se non fate…vi dichiaro che, con l’aiuto di Dio, entrerò con potenza contro di voi e vi farò guerra da ogni lato e con ogni mezzo, e vi assoggetterò al giogo e all’ubbidienza della Chiesa e di Sua Maestà, e prenderò le vostre mogli e i vostri figli e li ridurrò in schiavitù,… e prenderò i vostri beni e vi farò tutto il danno e il male possibile… le morti e i danni che da questo deriveranno saranno colpa vostra e non di Sua Maestà o nostra”.
Nel 1492, dopo l’approdo di Cristoforo Colombo nelle Americhe, Spagna e Portogallo reclamavano il possesso delle nuove terre e chiesero al papa Alessandro VI di dirimere la controversia (già il papa Niccolò V nella sua bolla “Divino amore communiti” del 18.6.1452 aveva legittimato il re portoghese a conquistare i paesi degli infedeli, a cacciare i loro abitanti, a sottometterli, a soggiogarli ad una schiavitù eterna”).
La chiesa concesse ai monarchi di Spagna il dominio sui territori da loro rivendicati e suddivise le nuove terre tra Spagna e Portogallo a patto che queste due potenze inviassero missionari in quelle zone per convertire al cristianesimo i nativi. La monarchia spagnola legittimava le imprese dei conquistadores ritenendo che il papa aveva agito per volontà di Dio nell’assegnare loro quelle terre e i conquistadores si sentivano autorizzati a disporre come meglio credevano degli indigeni, delle loro terre, dei loro averi.
Ma la cristianizzazione forzata portò ad un enorme bagno di sangue. Quando Cristoforo Colombo sbarcò a Cuba c’erano 8 milioni di abitanti, 4 anni dopo la popolazione era ridotta ameno della metà. I conquistadores distrussero le fiorenti civiltà degli Inca, dei Maya, e degli Azteca. In Messico la popolazione passò da 25 milioni nel 1520 a meno di un milione e mezzo nel 1595: avevano sterminato il 95% della popolazione locale, come se in Italia gli invasori avessero sterminato 55 milioni di persone. Nel 1500 nel continente americano vi erano 80 milioni di persone, 50 anni dopo era ridotta a 10 milioni. Praticamente, nel giro di un secolo era scomparso un quinto della popolazione mondiale, paragonato ad oggi 1,5 miliardi di persone. E tra il 1600 e il 1900 altri 80 milioni di nativi americani perirono.
Cortez per placare una ribellioni convocò 60 dignitari aztechi con i loro eredi e li fece bruciare tutti vivi alla presenza dei loro parenti per convincerli a non opporsi agli spagnoli. E Vasco da Balboa fece sbranare 40 indio dai cani.
Gli spagnoli si divertivano a provare le loro spade sulla popolazione, staccando teste, braccia, gambe: in quella circostanza 600 persone furono squartate come bestie.
Nel 1527 nelle Isole caraibiche, alcuni cristiani incontrarono un’indiana con in braccio un bambino a cui dava il latte. Il cane degli spagnoli aveva fame; strapparono il bambino alla madre e lo gettarono vivo in pasto al cane che lo fece a pezzi. Se i neonati si mettevano a piangere li prendevano per le gambe e li sbattevano contro le rocce.
Il vescovo dello Yucatan Diego De Landa narra di aver visto un grande albero sui cui rami un capitano aveva impiccato un gran numero di indiane, e alle loro caviglie aveva appeso per la gola i loro figlioletti.
Nel 1570 un giudice affermò pubblicamente che se mancava l’acqua per irrorare le fattorie degli spagnoli sarebbe stato utilizzato il sangue degli indigeni. E non era una metafora.
Las Casas denunciò alcuni episodi in cui gli spagnoli diedero in pasto la carne degli indio trucidati ad altri indio, oppure ai cani.
Non si contavano gli indio morti per costruire Città del Messico. In quel periodo su, quella terra brutalizzata, si poteva camminare su cadaveri o su mucchi di ossa per centinaia di chilometri, e gli stormi di uccelli che venivano a divorarli erano così numerosi da oscurare il sole.
Oltre alle stragi, le malattie portate dai conquistadores uccisero più vittime delle guerre e dei massacri. Epidemie di vaiolo, morbillo e peste sterminarono decine di milioni di indio. I conquistadores lo consideravano un segno voluto da Dio. Tribù vennero contagiate di proposito attraverso oggetti o indumenti infettati. Usare la polvere da sparo contro i pagani era considerato come offrire incenso a Dio.
Molti indio morirono a seguito di campagne di avvelenamento, come le attuali derattizzazioni. Gli indio si suicidavano dalla disperazione, lasciandosi morire di fame o di inedia. Rifiutavano perfino di accoppiarsi con le loro donne. I neonati morivano subito perché le madri erano debilitate.
Tra il 1500 e il 1900 i conquistadores si calcola che abbiano causato la morte di almeno 150 milioni di persone (100 milioni a causa di epidemie, spesso causate, e 50 milioni per stragi e trattamenti disumani).
I Il pastore Salomon Stoddard nel 1703 chiese al governatore del Massachusset una grande muta di cani per stanare gli indio alla maniera degli orsi.
l conquistador Pedro de Valdivia disse al re: “Ho fatto mozzare a duecento di loro le mani e il naso per punirli per la loro insubordinazione, giacché avevo loro inviato numerosi messaggi e avevo loro più volte trasmesso gli ordini del Requerimiento di Sua Maestà”. Bartolomè de Las Casas, frate missionario e testimone oculare degli effetti del Requerimiento scrisse: “Quanto fu ingiusto, empio, scandaloso, irrazionale e assurdo il Requerimiento, per non parlare dell’infamia che fece cadere sulla religione cristiana”. E lo storico Gonzalo Fernandez de Oviedo lamentò che le atrocità commesse contro le popolazioni indigene avavano dato una pessima immagine del cristianesimo”.
Nel 1579 i superiori degli ordini degli agostiniani, domenicani e francescani chiesero fosse impedita la traduzione della bibbia nelle lingue indigene.
Le guerre tra indiani potevano durare decenni anche senza vittime, e di solito risparmiavano le donne e i bambini, cosa che non facevano i cristiani. I trattati venivano stipulati con l’idea di violarli, mentre gli indiani non ruppero mai un patto.
Nel 1851 vennero istituite le riserve indiane, veri e propri campi di concentramento per rinchiudervi i popoli nativi.
Nel 1600 sulla tomba di un puritano c’era questa iscrizione: “Alla memoria di Lynn S. Love, che, nel corso della sua vita, uccise 98 indiani che il Signore gli aveva destinato. Egli sperava di portare questa cifra a 100 quando si è addormentato nelle braccia di Gesù”.
Anche gli inglesi vollero avere la loro porzione di torta e colonizzarono parte del continente americano con la scusante di portare il Vangelo in quelle terre. Si succedettero guerre, massacri, epidemie .In particolare l’epidemia di vaiolo sterminò l’80% della popolazione, e questo fu visto come un dono divino. Prima dell’arrivo degli inglesi le popolazioni native erano 12 milioni, nel 1900 erano 250 mila.
Visto che non vi erano più schiavi in America il vescovo Las Casas propose di importare gli schiavi dall’Africa.
Nel 1344 Clemente VI ordina la colonizzazione dei territori africani. Missionari venivano inviati con trattati ingannevoli; se si rifiutavano di accettarli arrivavano i conquistadores. Spesso i missionari francescani benedivano il massacro e fin dal 1500 organizzarono per conto proprio una tratta degli schiavi. La Compagnia di Gesù non era di meno: nel 1650 possedeva una quantità di schiavi tali da impressionare la stessa potenza portoghese. Allo stesso modo si comportavano i missionari protestanti. E quando gli africani trovavano la forza di ribellarsi, come gli Zulu nel 1837, i missionari aiutarono i bianchi nella repressione: vennero massacrate 400 persone comprese donne, vecchi e bambini.
I Domenicani, i Gesuiti e la Compagnia di Gesù divennero vere e proprie potenze economiche. Solo da Goreè dal 1680 al 1700 vennero esportati 20 milioni di schiavi. Decine e decine di milioni di schiavi venivano massacrati durante la tratta. Per ogni schiavo catturato vivo altri 9 venivano uccisi. Gli schiavi venivano incatenati e fatti sdraiare nelle stive; durante il viaggio, che durava anche mesi, morivano nei loro stessi escrementi di fame, di sete, di disperazione, e a mano a mano venivano gettati in mare. Per trasportare un maggior numero possibile si adottò il metodo di sistemarli sui fianchi, a mò di cucchiaini. E così, nel 1914 il 90% dell’Africa apparteneva alle potenze coloniali che affidarono il controllo dell’educazione ai missionari cristiani e nel 1960 le attività didattiche gestite dai missionari erano ancora segregazioniste.
Franco Libero Manco