Boccaccio saccheggiato – “Silvio Degli Onesti, Pier Bersano e la caccia infernale…”
Silvio degli Onesti, amando un de’ Bersano, spende le sue ricchezze senza esserne amato…
Furono adunque un tempo, tra Lombardia e Romagna, assai nobili e gentili uomini, tra’ quali un ricchissimo e gentil cavaliere chiamato Silvio Degli Onesti. Il quale, sì come spesso naturalmente avviene, s’innamorò di tale messere Pier Bersano, cavalier troppo più nobile che esso non era, e prese a sperar, con le sue cortesie e magnificenze, di indurlo ad amar lui. Ma le sue opere quantunque grandissime, belle e laudevoli fossero, non gli giovavano, tanto crudele e selvatico gli si mostrava l’amato e, forse per la sua nobiltà, altiero e disdegnoso. La qual cosa era tanto a Silvio gravosa a comportare, che per dolore più volte gli venne in desiderio d’uccidersi. Poi, pur trattenendosene, molte volte si mise in cuore di doverlo del tutto lasciare stare o se potesse averlo in odio come quello aveva lui. Ma invano tale proponimento prendeva, per ciò che pareva che quanto più la speranza mancasse, tanto più si moltiplicasse il suo amore.
Ora avvenne che un venerdì, all’inizio di marzo, per più poter pensare a suo piacere al crudel Bersano, comandato a tutta la servitù che solo il lasciasse, se medesimo trasportò, pensando, infino a una pineta. E qui entrato per mezzo miglio, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli parve di sentire grandissimo pianto e grida altissime, e vide venire un bellissimo giovane ignudo e tutto graffiato dalle frasche e dai pruni, che piagneva e gridava forte mercè; ed oltre a questo gli vide ai fianchi due grandi e feroci mastini li quali spesse volte lo giugnevano e lo mordevano; e dietro a lui vide venire, sopra un corsier nero, un cavaliere bruno con uno stocco in mano che con parole spaventevoli e villane quello di morte minacciava.
Questa cosa spavento e compassione a un tempo mise nell’animo di Silvio, che cercò di liberare il giovine da siffatta angoscia e morte. Ma il cavaliere gli gridò “Silvio, non t’impacciare. Lascia fare ai cani e a me quello che questo giovane ha meritato. Io fui d’una medesima terra teco, e fui tanto innamorato di costui quanto ora tu se’ di messer Bersano; e per la sua crudeltà, con questo stocco che tu ora mi vedi in mano, disperato m’uccisi e sono alle pene eterne dannato. Né passò troppo tempo che costui, il qual della mia morte fu lieto oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà similmente egli fu ed è dannato nelle pene de lo inferno. Così ne fu a lui e a me per pena dato, a lui fuggirmi davanti, e a me che già cotanto l’amai, di seguirlo come mortal nemico e non come amato, e quante volte io lo raggiungo tante con questo stocco, col quale uccisi me, io uccido lui. Né passa poi gran tempo che egli, sì come la giustizia e la potenzia di Dio vuole, come se morto non fosse stato, risurge, e da capo comincia la dolorosa caccia. Ed avviene che ogni venerdì in su questa ora io lo raggiungo qui e ne faccio lo strazio che vedi. Adunque, lasciami la divina giustizia mandare ad esecuzione, né ti volere opporre a quello che tu non potresti contrastare”.
Ed egli, finito il suo ragionare, a guisa d’un cane rabbioso, con lo stocco in mano corse incontro al giovane il quale, inginocchiato, e da’ due mastini tenuto forte, gli gridava mercè, e a lui con tutta la forza diede per mezzo il petto e passollo da parte a parte; poi, messo mano a un coltello, quello aprì nelle reni e trattone il cuore e ogni altra cosa da torno, a’ due mastini li gittò li quali affamatissimi incontinente il mangiarono. Né passò gran tempo che il giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire, e i cani appresso di lui sempre lacerandolo, e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, lo ricominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono in maniera che più Silvio non li potè vedere.
Il quale, gran pezza stette tra il pietoso e il pauroso, e dopo alquanto gli venne nella mente che questa cosa gli dovesse molto poter servire, poi che ogni venerdì avvenia. Così, segnato il luogo, a’ suoi se ne tornò e disse loro: “Vorrei da voi una grazia, che venerdì che viene voi facciate sì che Pier Bersano e i suoi famigliari e lor parenti e altri che vi piacerà, siano qui a desinar con me”.
A costor parve cosa molto semplice da fare e quando tempo fu, invitarono coloro i quali Silvio voleva, e benché cosa molto difficile fosse il potervi condurre anche il superbo amato, infine anche questi vi andò con tutti gli altri insieme.
Silvio fece magnificamente apprestar loro da mangiare e fece le tavole mettere sotto i pini dintorno a quel luogo dove aveva veduto lo strazio del crudel giovine; e fatti mettere gli uomini e le donne a tavola, ordinò che appunto il cavalier da lui amato fusse a sedere dirimpetto al luogo dove dovea il fatto avvenire. Essendo dunque venuta già l’ultima vivanda, da tutti fu cominciato a udire il romor disperato del giovane cacciato e, levatisi tutti dritti, videro il giovane e il cavaliere e i cani, e molti per aiutare il giovane si fecero innanzi, ma il cavaliere parlando loro come a Silvio aveva parlato, li spaventò e li riempì di meraviglia facendo quello che altra volta avea fatto. La qual cosa al suo termine giunta, e andati via il giovane e il cavaliere, tutti miseramente piangevano, ma chi tra gli altri più ebbe di spavento fu il crudele Bersano, che ricordandosi della crudeltà da lui usata verso Silvio, e conosciuto che a sé più che ad altri queste cose toccavano, già gli parea fuggire dinanzi da lui adirato e avere i mastini ai fianchi. E tanta fu la paura che di questo gli nacque, che acciò che questo a lui non avvenisse, avendo l’odio in amor tramutato al più presto, un suo fido servo segretamente a Silvio mandò, e lo pregò che andasse da lui perché egli era pronto a fare tutto ciò che fosse piacer di lui. Al qual Silvio fece rispondere che ciò gli era gradito molto ma che, se a lui piacesse, con onor del giovane voleva il suo piacere, e questo era sposandolo. E Pier Bersano gli fece risponder che questo gli piacea, e la domenica seguente messer Silvio e messer Bersano celebrarono le nozze, e insieme a lungo e lietamente vissero.
Sara Di Giuseppe
* Libero saccheggio da: G.Boccaccio, Decameron, V, 8 “Nastagio degli Onesti”
Ogni riferimento a fatti e persone della realtà è puramente intenzionale