Rapporto città campagna, uso del suolo e le politiche agricole necessarie per la sopravvivenza della specie umana
Quattro punti, quattro pensieri, quattro piccoli ma forti pilastri su cui appoggiare un nuovo modo di pensare l’agricoltura di questo paese; una miniagenda, se volete, quasi un foglietto di appunti.
1 — Politiche alimentari significa politiche condivise e interconnesse: ambiente, agricoltura, educazione, salute, economia, giustizia, sviluppo, industria, beni culturali. Dove inizia un settore e finisce l’altro? Non si può dire, non esiste confine. Se si fa politica per il cibo e per l’agricoltura si fa, finalmente, politica per tutti, si tutela il bene comune. Come si fa? Non lo sappiamo fare perché non l’abbiamo mai fatto. Ma un tavolo condiviso, un posto in cui tutti i ministri e tutti gli assessori verificano, prima di vararli, la coerenza dei provvedimenti di cui si fanno portavoce sarebbe un buon inizio.
2 — C’è un disegno di legge già approvato che attende di diventare legge. È stato ribattezzato “Salva suoli”. L’ha presentato il ministro Mario Catania, che l’ha scritto e migliorato con la collaborazione delle Regioni e della rete di associazioni della società civile. Serve a porre, sia pure con imperdonabile ritardo, fine alla dissipazione del suolo agricolo italiano, alla cementificazione ignorante che ha devastato il nostro territorio e di cui paghiamo il prezzo in dissesti e vite umane ad ogni temporale. È un lavoro facile, è quasi tutto fatto. È solo un lavoro da finire, e i candidati che nelle prossime settimane si diranno a favore della protezione del territorio italiano provino a dirlo in modo più chiaro: dicano che si impegneranno perché quel disegno di legge diventi al più presto una legge nazionale.
3 — Le nostre campagne hanno bisogno di ripopolarsi. Perché il made in Italy passa dai campi e dalle mani dei nostri produttori. E le mani dei produttori oggi sono rugose, sono stanche, sono mani anziane. E spesso sono mani che non sanno a chi consegnare tutta la loro esperienza e tutti i loro saperi. E, come si sa, i nostri giovani hanno bisogno di lavorare. E di sentirsi protagonisti di quello che producono e di quello che diventano. L’agricoltura può dare a un giovane tutto questo, a patto che smetta di essere sinonimo di emarginazione sociale e di difficoltà economica. E a patto che accedere al lavoro agricolo smetta di essere una specie di corsa a ostacoli, contro la burocrazia, le normative sproporzionate, l’impossibilità di accedere a crediti ragionevoli. Quindi i candidati che nelle prossime settimane intendono parlare di lavoro giovanile potrebbero intanto impegnarsi a facilitare questa fetta di lavoro giovanile: quello in agricoltura. Perché sono tanti i giovani che ci stanno provando, e, nonostante tutto, ci stanno riuscendo. Ma sono tantissimi i giovani che ci stanno pensando e che rinunciano prima di provare perché le difficoltà sono davvero troppe.
4 — E infine, un compito facile facile. Decidiamo una volta per tutte che agricoltura serve al nostro paese. Un paese fatto di milioni di piccole aziende agricole. Un paese che ha il biologico tra i suoi vanti. Un paese che basa la sua ricchezza sulla biodiversità di razze animali, varietà vegetali domesticate e spontanee, di prodotti tipici e delle tante biodiversità che quelle implicano: la biodiversità delle sementi tradizionali, dei microrganismi del suolo, delle agricolture tradizionali. Ecco, cosa serve a un paese così? Non serve un’agricoltura di brevetti, non serve un’agricoltura di multinazionali, non serve un’agricoltura di contoterzisti. Non servono gli Ogm. Semplicemente non servono. E già questo basterebbe a richiedere un impegno per fare in modo che vengano esclusi dal nostro futuro alimentare. Se a questo si aggiungono i tanti punti non ancora chiariti a proposito delle colture Ogm, la necessità di continuare ad investigare e a fare ricerca per definirne con chiarezza i possibili impatti sull’ambiente, sulla salute e sull’economia risulterà chiaro che appellarsi al principio di precauzione sarà la cosa più ovvia da fare, decidendo che il nostro paese resta Ogm free. Quindi quei candidati che nelle prossime settimane parleranno di green economy, potrebbero partire anche da qui: dal più vasto settore di green economy che abbiamo, da sempre, sotto gli occhi: l’agricoltura sostenibile. Ecco, una mini agenda, se volete; o meglio, un bigino – si parva licet componere magnis – da portare con sé lungo la prossima legislatura. Perché questo terzo millennio sarebbe proprio ora che iniziasse.
Carlo Petrini
(La Repubblica)
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Postilla
L’articolo di Petrini sottolinea giustamente l’assenza totale, dall’Agenda Monti, di proposte relative all’agricoltura e alla politica alimentare. E’ una delle numerose facce della politica del territorio, che è assente in quell’Agenda. Un’assenza che non è casuale, ma è dovuta al fatto che nell’ideologia montiana il territorio è, nel suo insieme come nelle sue parti, una risorsa da spremere, non un patrimonio da gestire con accortezza e parsimonia. Se un’agricoltura industrializzata dà al PIL un contributo maggiore di un’agricoltura a km zero ben venga, e ben vengano le altre forme di land grabbing se il risultato economico (nell’economia data, che per i montiani è l’unica possibile) è lo stesso.
Chi non è d’accordo con i montiani e vuole difendere le prospettive di un futuro diverso dovrebbe proporsi due obiettivi, a mio parere essenziali: contrastare subito il consumo di suolo e promuovere una efficace politica del territorio. Sul primo punto nutriamo fortissimi dubbi sull’efficacia della proposta Calabria. Li esprimeva recentemente in queste pagine Vezio De Lucia, con una “opinione” su cui avremmo voluto che si aprisse un fruttuoso dibattito. Che fare? Se effettivamente vi fosse un Parlamento che volesse di contrastare subito e con efficacia il consumo di suolo derivante dalle irragionevoli espansioni delle aree urbanizzate, allora basterebbe riprendere la strada aperta nel 1985 dalla legge Galasso, e decidere che il territorio rurale poichè appartiene a quel paesaggio che «è la rappresentazione materiale e visibile della Patria con le sue campagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive» (B. Croce) va tutelato al pari delle coste marine e dei corsi d’acqua, dei boschi e dei monti: nell’immediato con un vincolo, in prospettiva con una avveduta e lungimirante politica del territorio, Lo proponevamo del resto fin dal 2005 quando, a conclusione di una sessione della Scuola di eddyburg nella quale, allora solitari, lanciammo un’argomentata denuncia del consumo di suolo e un appello al suo contrasto Certo, per essere efficace in un contesto nel quale la maggioranza dei decisori vede il vincolo come un ostacolo allo “sviluppo” (quindi qualcosa di esecrando) una simile decisione deve giovarsi del potere di tutte le autorità dotate di poteri in questo dominio: quindi, in primo luogo lo Stato, che ha con il Codice del paesaggio un potere che nella Galasso non aveva.
Sul secondo punto (cioè sulla necessità di un approccio non settoriale (giustamente sollevato da Petrini) alle politiche territoriali dobbiamo domandarci che cosa significa promuovere una corretta politica territoriale. Occorre partire da un presupposto: se il territorio è un sistema, in cui tutte le cose (e tutte le scelte) interagiscono, allora si deve ricorrere a un metodo, e a un insieme di strumenti, che siano anche essi olistici: quindi quelli della programmazione e della pianificazione territoriali. Naturalmente concepiti, organizzati e gestiti in modo omogeneo ai principi essenziali della democrazia, così come questa è definita, nei suoi principi e nelle sue regole, dalla Costituzione che i padri della nostra Repubblica ci hanno dato. Sarebbe bello se nel concorrere alle prossime elezioni qualche formazione politica affrontasse con un po’ di rigore questi temi, cominciando magari col domandarsi perché la politica politicante (e le stesse istituzioni) abbiano abbandonato quei principi e manomesso alcune di quelle regole.
Eddyburg