Joe Fallisi: “Gli animali sono gli sfruttati finali di questa società consumista….”
Negli allevamenti e nei macelli moderni gli animali non umani, a miliardi e ogni giorno, sperimentano una condizione radicalissima di “proletari” (il termine, caso mai, è inadeguato solo per il fatto che questi esseri senzienti, nati per lo sfruttamento senza riserve – del loro corpo stesso – e la morte, non posseggono neppure la prole).
Talché, la loro condizione infame e tutto ciò che sono costretti a subire, unito agli altri ingranaggi insensati, ma perfettamente logici e “normali”, della macchina che li produce e li divora, risultano in effetti paradigma di base, modello assoluto dell’oppressione sociale, intraspecifica. Là non si accampano difese, guarentigie di alcun genere, leggi e sovrastrutture sono al minimo silente, vige l’automatismo bruto e inappellabile; qui, viceversa, l’ideologia celebra i suoi fasti e le tutele sono ben codificate (tanto quanto revocabili). Ma, in nuce, medesimo è il meccanismo anonimo che del vivente lascia la carcassa.
Per gli antichi Romani proletario era chi veniva censito solo in base alla propria persona, non per gli eventuali averi, e di conseguenza non apparteneva a nessuna delle cinque classi dell’ordinamento centuriato. Nell’età moderna, secondo la teoria di Marx, rientra in questa categoria il lavoratore che non è proprietario dei mezzi di produzione e vive unicamente del salario, corrispostogli in cambio della sua forza lavoro (donde proviene il plusvalore, e quindi si origina tutto il meccanismo capitalistico)(1). Neppure è possibile parlare, del resto, in relazione al “trattamento” riservato agli animali non umani, di schiavismo in senso proprio. No, no, siamo a un livello di oppressione-uso-soppressione così radicale e basilare (da cui si fa dipendere la sopravvivenza e riproduzione dell’uomo), che risulta perciò stesso emblematico dell’infinita catena di cui il “lavoro salariato” non è che uno degli ultimi anelli.
Solo a un cieco o a un demente può sfuggire che la definizione di “non umano” è tutta culturale. Tanto è vero che nel corso dei secoli in questa disgraziatissima categoria mobile sono precipitati milioni di bipedi “sapienti”, sul modello estremo degli altri esseri senza parola. Esso era già a disposizione, immenso, perfettamente funzionante e istruttivo. E così oggi rimane, anzi potenziato e moltiplicato all’infinito, sempre più biocida.
(1) Il capitalismo spettrale del crepuscolo vive di questa contraddizione, che lo porterà necessariamente a blindare l’intero pianeta. Da un lato, per l’essenziale nelle cittadelle della cupola euronordamericana, un’estrazione del plusvalore relativo sempre in aumento e il lavoro produttivo di plusvalore svolto da un numero ridottissimo di salariati, il trionfo conclusivo del macchinismo, del lavoro morto sul lavoro vivo, con la conseguente necessità di in-trattenere e “convertire” in mille modi fantasmatici masse enormi di lavoratori virtuali, di (ex)-ex-operai, e un parallelo incremento esponenziale di tutti i possibili lavori (precari) improduttivi; dall’altro, nella periferia sterminata, nella baraccopoli universale, dove vivono i tre quarti della popolazione del mondo, l’estrazione del plusvalore assoluto tornata a fasti che faranno impallidire gli albori della “civiltà” borghese… E unitaria, implacabile, inarrestabile – comun denominatore planetario –, la reificazione e distruzione infinita della natura e del mondo animale.
Joe Fallisi