Effetti collaterali: “monti mario, tecnico dello strozzinaggio, stratega della tensione, brace coperta…”
Per quasi un ventennio, la sinistra ha avuto il suo nemico di elezione nel Cavalier Berlusconi, giungendo a forme di odio feroce ed irrazionale. Sicuramente, c’erano ottime ragioni per detestarlo: per la sua volgarità, il suo cinismo, la sua assenza del benché minimo scrupolo morale, per il suo malcelato odio per la cultura, per il suo debordante egocentrismo, per il suo autoritarismo e potremmo proseguire anche per tutta la pagina. Il punto è che l’odio è un pessimo consigliere, soprattutto in politica. Impedisce di valutare razionalmente le cose ed ha una serie di “effetti collaterali” del tutto indesiderabili.
Uno di essi è la “rivalutazione per riflesso” di altri soggetti, che non sono affatto migliori di quello odiato, ma che lo diventano perché li si vede come potenziali alleati. A beneficiare di questo irragionevole credito è stata spesso la Lega (in particolare dal suo “ribaltone” del 1995) a lungo vezzeggiata, corteggiata e mai seriamente combattuta per il suo ruolo eversivo e reazionario. Anzi, la sinistra ha finito con l’esserle subalterna, mutuandone interi pezzi di cultura politica, come dimostra la sorprendente conversione al “federalismo” che produsse la scellerata riforma del Titolo V della Costituzione, voluta dal governo Prodi.
In tempi più recenti, a beneficiare della “rivalutazione per riflesso” è stato Mario Monti ed il suo governo di commessi del Gran Capitale, impropriamente definiti “Tecnici”. Nei suoi tredici mesi di vita il governo Monti ha realizzato più contro-riforme di quante ne abbiano prodotte gli otto anni dei governi Berlusconi (dalle pensioni, all’articolo 18 della l. 300, per citare solo i casi più noti). Soprattutto, il governo dei bocconiani ha imposto una politica economica di brutale esazione fiscale e taglio della spesa sociale, che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.
Tutti questi provvedimenti sono stati sostenuti dall’appoggio del Pd, molto più convinto ed acritico di quello del Pdl che, almeno, esibiva una calcolata ritrosia. Bersani non ha esitato neppure a mettersi contro la Cgil, ma questo non ha evitato il paradosso per il quale la maggioranza degli italiani hanno percepito il governo Monti come un governo “di sinistra”. In questo rovesciamento del senso –colpevolmente assecondato dal gruppo dirigente del Pd- la sinistra moderatissima di Fassina e Vendola sarebbe conservatrice, mentre il “riformismo” sarebbe rappresentato dal verbo liberista della feroce disuguaglianza sociale. Anzi Monti si definisce non “moderato” ma un “riformista radicale”, ed ha qualche ragione, perché lui ed i suoi non sono moderati: sono i “talebani del Capitale”. Gli esponenti di questo governo di pretesi tecnocrati hanno ripetutamente offerto la prova della loro qualità umana con battute come quella sugli “sfigati che a 28 anni non sono laureati” o i “giovani troppo choosy”, che rivelano l’arroganza del privilegio contrabbandato per merito.
Colpisce che il gruppo dirigente del Pd non abbia colto tutto questo e non abbia provato nessuna ripugnanza per questi compagni di viaggio.
Oggi il maggiore partito della sinistra –candidato quasi sicuro alla vittoria- non esita a far sua l‘agenda Monti e promettere quelle stesse “riforme”.
Monti ha goduto di un eccezionale riflesso psicologico a suo favore: al suo comparire, è parso come il “liberatore” che ha cacciato Berlusconi da palazzo Chigi e tutta la tifoseria anti berlusconiana gli ha volentieri perdonato molte colpe. Ma, diciamocelo, per quanto fosse infima la qualità della corte berlusconiana, i “bocconiani” sono molto più spregevoli. E, lo sguaiato populismo berlusconiano è cento volte preferibile all’algido odio di classe di questi lacchè delle banche. Berlusconi non ha mai usato i toni sprezzanti di una Fornero o di un Martone, perché è uomo che viene dal nulla e si è fatto da solo –lasciamo stare come!-, i montiani sono nati nella bambagia e sono convinti che questo sia un merito. Cosa ne sanno questi signorini di cosa significa studiare la notte perché di giorno bisogna fare tre mestieri precari, per mettere insieme qualche centinaio di euro? Hanno idea di che significa fare un concorso senza nessuna spinta e vedersi passare avanti fior di bestie blasonate? Hanno mai provato la durezza della fatica o il maltrattamento di un caporeparto isterico? Sanno cosa significa far le capriole per pagare un mutuo? E, allora, di che merito parlano?
Dunque, non ci fossero altre ragioni per individuare nella lista Monti il primo nemico da battere, basterebbero queste di natura antropologica. Ma ce ne sono anche di ordine più propriamente politico: il “montismo” (dedicheremo diversi pezzi all’analisi critica della sua “agenda”) è anche una linea di politica economica che ci porta dritti alla catastrofe. In 13 mesi di governo, abbiamo registrato una recessione di oltre due punti che, per riflesso, ha portato il debito al 126% del Pil dal 121% iniziale. Non sembrano dati di cui andar fieri e tutte le previsioni dicono che nel 2013 saremo ancora in caduta: nonostante la grandinata fiscale, la situazione non è migliorata ma peggiorata. Unico risultato “positivo”, ampiamente sbandierato con la compiacenza di tutta la stampa di regime, l’abbassamento dello spread dai vertici toccati ne novembre 2011. Un risultato tutto sommato modesto (il picco di quasi 600 era con ogni evidenza eccezionale mentre bisognerebbe avere come parametro un valore più “medio” di quel periodo che oscillava fra i 400 ed i 480) se si considera che ci si è attestati intorno ai 300 punti (cioè 100-150 in meno rispetto alla media dell’autunno precedente) e che questo è rimasto sensibilmente al di sopra dei valori del periodo precedente alla crisi di ottobre-novembre 2011.
Ma, soprattutto, un risultato solo in parte ascrivibile a merito di Monti, perché hanno inciso altri due fattori: la copiosa emissione di liquidità della Bce e la “tregua elettorale” dei mercati finanziati in attesa delle elezioni prima francesi e poi americane. Vedremo ora come evolverà la situazione. Nel frattempo osserviamo che il debito è tutto là, intatto, e la torchiatura fiscale è servita essenzialmente a pagare gli interessi.
Possiamo parlare di fallimento del governo Monti? Si e no. Certamente si se l’obbiettivo era quello dichiarato: risanare le finanze pubbliche italiane e rimettere in moto la crescita economica. Ma era davvero questo l’obiettivo o si trattava solo della copertura di ben altro fine? Se quello che si cercava era la garanzia dei creditori, la stabilizzazione dell’Euro, del sistema di potere attuale ed, in particolare, la salvaguardia degli interessi tedeschi, non si può dire che il governo Monti abbia fallito; anzi, per ora l’obbiettivo è raggiunto, anche se questo ha significato il massacro della nostra economia –ma cosa volete che gliene importi?-.
Ora la lista Monti punta a completare l’opera iniziata a garanzia dei poteri forti: loro sanno perfettamente di non avere alcuna speranza di vincere alla Camera e sarebbe già un clamoroso risultato (ad oggi molto distante dalla realtà) se arrivassero secondi e non terzi. Lo scopo è un altro: diventare determinanti al Senato, dove si spera che la coalizione di Bersani non conquisti la maggioranza. Il bersaglio ulteriore è quello di ottenere un numero di seggi che renda irrilevante Sel che, così potrebbe essere sbarcata, per consentire un pieno accordo Pd-Monti. E per questo secondo esito occorrerebbe conquistare una ventina di seggi a Palazzo Madama.
Considerato che:
a. nelle regioni minori (Val d’Aosta, Liguria, Trentino, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna) occorrerebbe ottenere ben di più dell’8% e che si tratta di regioni di debole insediamento dei montiani
b. che salvo, una sorpresa siciliana, il centro-destra montiano non dovrebbe conquistare il premio di maggioranza in nessuna regione questo significa che occorrerebbe prendere mediamente 1,75 senatori nelle restanti 12 regioni, cioè una media del 16-17% dei voti opportunamente distribuiti. Un risultato possibile ma non facilissimo, anzi… Però è evidente che la lista unica del centro ci proverà.
Dunque: la vittoria parziale sarebbe un Pd privo di maggioranza al Senato costretto ad allearsi, ed una vittoria piena rendere non determinante Sel. Vice versa, vediamo quali sarebbero i livelli al di sotto dei quali si potrebbe parlare di sconfitta o di disastro del centro.
Ovviamente, se Pd e Sel fossero autosufficienti anche al Senato, questo significherebbe che l’obiettivo principale è stato mancato –almeno per il momento-. Ma, se questo dipendesse da un crack della destra e ad una buona affermazione del centro (poniamo un 20-22% che rappresenta una raccolta all’80% dell’elettorato potenziale, un risultato altissimo) si tratterebbe pur sempre di una vittoria, perché questo significherebbe che il gruppo montiano si avvia a sorpassare la coalizione berlusconiana, candidandosi così alla guida della destra. Inoltre, il centro-destra montiano potrebbe sedersi sulla riva del fiume ad aspettare che passi il cadavere di Bersani: a consegnarglielo potrebbe essere una offensiva dei “mercati” paragonabile a quella dell’autunno 2011 o le fratture interne alla coalizione (non importa se sulla destra ad opera dei renzian-montiani o sulla sinistra ad opera di Vendola e Fassina).
Se, invece, il risultato dovesse attestarsi al di sotto del 15% sarebbe un insuccesso dichiarato, perché vorrebbe dire che o il Pd o il Pdl hanno avuto un risultato al di là delle previsioni e questo “cancellerebbe” politicamente l’area di Monti. Inoltre, inizierebbe ad esserci il rischio di arrivare non terzi ma quarti, alle spalle del M5s, il che sarebbe un segnale psicologico molto negativo.
Al di sotto del 12% sarebbe una Caporetto: considerato che l’Udc, negli anni scorsi, ha sfiorato il 7% e che ora c’è anche Fini (presumibilmente con un 1,5-2%), questo significherebbe che il ”valore aggiunto di Monti sarebbe intorno al 3%. Se, poi, “Verso la Terza Repubblica” di Montezemolo e Riccardi (il cuore del montismo) raccogliesse uno striminzito 5%, questo sarebbe la fine della coalizione. Casini e Fini (che già ora stanno maledicendo il momento in cui hanno deciso di mettersi sotto l’ombrello del Professore) sono considerati da Monti e dai suoi “terzo-repubblichini” come alleati che non si lavano e che è imbarazzante portare nei salotti buoni dei poteri tecnocratico-finanziari, sono dei politici, con decenza parlando! Se poi venisse fuori che questi professorini così pieni di sé, prendono più o meno quanto gli odiati “politici”, l’operazione sarebbe pienamente fallita e Udc e Fli sarebbero felici di rompere le righe alla ricerca di intese dirette con il Pd.
Se le cose finissero così sarebbe un’ottima cosa. Quante probabilità ci sono? Consideriamo che lo slancio iniziale sembra già affievolito, che la Chiesa ha ridotto i suoi entusiasmi, che i sondaggi si fanno più sfavorevoli, segnando una crescita dei due poli maggiori ed il richiamo del “voto utile” non gioca a favore dei terzi e dei quarti, non è impossibile una Caporetto dei “tecnici dello strozzinaggio fiscale”.
E c’è anche da considerare che Monti si sta rivelando simpatico come il vomito dei gatti. E in politica la simpatia vuol dire molto…
Aldo Giannuli