La reale situazione di Gaza… e considerazioni sull’ipocrisia occidentale e sulle strumentalizzazioni religiose

Caro Paolo D’Arpini,
guardare il filmato “The real situation of Gaza” è stata un’esperienza dolorosa. Lo farò vedere anche ai ragazzi di casa, affinché possano intuire quale volto terribile si celi dietro la maschera del buonismo democratico occidentale. Alla luce di quanto visto, alcune notizie e commenti diffusi in questi giorni dai nostri media mi appaiono in tutta la loro tragica stupidità e cinica indifferenza.

A prescindere dalle complesse questioni politiche, storiche e territoriali inerenti il rapporto tra palestinesi ed israeliani, basta osservare come i primi non abbiano aerei, carri armati o altre armi sofisticate, mentre invece i secondi dispongano di uno tra i più potenti eserciti del mondo, dotato persino di bombe atomiche.

E ciò appare evidente nei numeri delle vittime: 5 in Israele e 140 o più a Gaza, tra cui molti bambini. Odifreddi ha avuto il coraggio di farlo notare, usando espressioni forti e provocatorie, ed è subito stato censurato ed aspramente criticato quasi fosse un mentecatto.

Inoltre la Palestina patisce da alcuni anni un embargo che l’ha ridotta alla sopravvivenza.

In you tube ho guardato pure un’intervista ad un israeliano anziano, di cui non ricordo il nome, il quale diceva: “Se Israele si lasciasse guidare dal più elementare senso della giustizia (fine dell’embargo, accettazione dei confini anteriori al 1960 e il riconoscimento dei due stati), la pace sarebbe possibile già da domani”.

Evidentemente i cosiddetti “potenti” non vogliono la pace, poiché la loro potenza si fonda sulla violenza che, per definizione, è uso arbitrario della forza.

Riguardo a Grillo, condivido sostanzialmente la tua posizione: va sostenuto quale unica e concreta possibilità di mettere in difficoltà un establishment falso sino al midollo e finalizzato allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura.

In proposito ho letto un interessante articolo, “Quel fenomeno di Grillo: dentro o fuori il sistema?” (fonte: il ribelle), in cui l’Autore, Valerio Lo Monaco, pur apprezzando le doti critiche e politiche di Grillo, solleva interrogativi sulle sue eventuali capacità future di governare secondo una visione coerente.

Certo, al pensiero di un monti-bis o di un qualsiasi altro governo manipolato dai tecnocrati di Bruxelles, non importa se di destra o di sinistra, ritengo valga la pena tentare una via nuova.

Non sono però del tutto d’accordo nel ravvisare nelle tre religioni di Abramo la fonte di tutti i guai. Personalmente credo che non siano di per sé le religioni, monoteistiche o politeistiche, a costituire per l’uomo del Kali-yuga l’inciampo, bensì le pecche connaturate alla sua condizione obnubilata, ovvero l’ombra interiore che egli proietta su tutto, fingendo che sia una realtà oggettiva.

Anche una religione quale il Buddhismo ha conosciuto fenomeni di violenza e di coercizione nella sua espansione; non lo si dimentichi.

E suppongo che nemmeno la “spiritualità laica” sarebbe del tutto esente da difetti, qualora venisse proposta e vissuta da un individuo di corte vedute.

Non credo dunque sia auspicabile fare di ogni erba un fascio. L’avanzare delle tenebre in questi tremendi Tempi Ultimi ci invita a discriminare, al di là di ogni pregiudizio, non a dividere.

Quel che trovo riprovevole in ambito religioso, e non solo, è la pretesa di monopolizzare l’accesso al divino o al senso essenziale della vita e delle cose, a cui segue di solito l’istanza di imporre la propria verità a tutti. Tuttavia, in mancanza di tale deformazione, qualsiasi fede o visione autentiche sono rispettabili.

Sul Tibet trovo parziali e ingiuste le critiche al Lamaismo avanzate da alcuni lettori. Pretendere la perfezione in questa o quella società tradizionale è espressione di utopismo. Perfezione rispetto a quale paradigma? Una cosa è certa: il popolo tibetano preferisce la propria tradizione religiosa, anche se non priva di applicazioni opinabili sul piano sociale, al comunismo cinese. Altrimenti perché tante persone (laiche e religiose) arriverebbero persino al gesto estremo di auto-immolarsi?

Più o meno la stessa cosa accadde al tempo della rivoluzione francese: il popolo delle campagne parteggiava per il re e per la religione Cattolica.

Memorabile fu il genocidio vandeano che vide la Francia rivoluzionaria sterminare alcune centinaia di migliaia di civili pur di imporsi. Al moralismo esacerbato e all’utopismo (il cui denominatore comune è la pretesa di assolutizzare il relativo) si accompagna sempre la violenza; già lo sapevano gli antichi taoisti i quali ritenevano che una certa dose di ladrocinio o di approssimazione morale concorresse, purché opportunamente temperata, all’armonia dell’insieme.

A ben riflettere, i guai in Italia non sono forse cominciati con la tanto decantata operazione “mani pulite”?

Gli obbrobri di cui rigurgita il mondo contemporaneo mi offrono il destro per riaffermare brevemente la scarsa attendibilità della veduta evoluzionistica; altro che miglioramento: il mondo, l’umanità stanno precipitando a velocità vertiginosa verso la celebrazione della più cupa stupidità. Che l’aumentare delle tenebre segni pure l’avvicinarsi del ritorno della luce e che di ciò alcuni siano acutamente consapevoli si inscrive in una percezione ciclica del Tempo che è sempre appartenuta all’uomo.

Le tenebre sono contenute nella luce e viceversa. Soltanto la comprensione immediata del Tao-Brahman (intuito quale Bene ineffabile), che emana, sostiene e trascende la dualità, ci libera dall’ignoranza.
Del resto, tornando al discorso sull’evoluzionismo, anche l’intellighentsia scientifica deve ammettere – ed è notizia che il “Giornaletto di Saul” non ha mancato di segnalare – che l’uomo moderno sta diventando sempre più stupido, poiché l’iper-tecnologia favorisce l’atrofizzazione delle sue migliori facoltà intellettuali.

Non si tratta pertanto di migliorare o peggiorare, di avvicinarsi o allontanarsi, bensì di risvegliarsi nel Centro onnipresente. Allontanarsi o avvicinarsi al pane sono azioni che di per sé non hanno alcun valore; la cosa essenziale è mangiarlo ‘sto benedetto pane. Un “pane” che, si badi bene, è sempre qui, in noi e fuori di noi e che quindi non va raggiunto, ma svelato. Sino a che l’uomo non spegnerà con la Conoscenza-Amore sacri quest’ansia di raggiungere l’irraggiungibile, simile ad un pesce che nell’acqua cerchi l’acqua, correrà, lotterà e soffrirà. Andando non si arriva, diceva il Buddha.

Perciò bisogna imparare a fermarsi, ritornando all’Origine eternamente presente. Soltanto così le Quattro Gioie (la gioia, la gioia suprema, la gioia più in là della gioia, e la gioia ultima e spontanea) di cui parla Drukpa Kunlè, liberato in vita della tradizione buddhista tibetana e bhutanese, saranno nostre (cfr. Ghesce Ciapu, “Il folle divino – Vagabondaggi, insegnamenti e prodigi di uno yogi tibetano del XVI secolo”, Mi 1998).

Ti ringrazio anche questa volta per la paziente ospitalità,

Subramanyam

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Mia rispostina: “Caro Subramanyam, ti sento molto vicino e sono perfettamente in sintonia con quanto da te espresso. Infatti anch’io dissi -al proposito della spiritualità laica- che occorre essere “laici” anche nei confronti della laicità stessa… il che significa che bisogna fare attenzione a non farsi prendere la mano. Ed essere distaccati ed equanimi sempre. L’idea in se stessa non è mai il mezzo ma solo l’attuazione concreta, la sincerità di percorso. Infatti anche nelle religioni tradizionali si sono manifestate espressioni di santità e verità.”

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