Julian Assange.. e come il potere si vendica dei rompiscatole, ma non sempre le ciambelle riescono col buco
Julian Assange, il 15 giugno 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aeroporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di accordi formali tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso.
Lo porteranno direttamente in Usa, nel Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base del Patriot Act Law.
Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta: “Vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”.
Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador.
Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “Evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le Olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”.
I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il primo il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del FMI con il suo ministro dell’economia e il ministro degli esteri ecuadoregno Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America), l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela.
La Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al FMI con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, l’Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi.
Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo.
Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare.
Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”.
Subito dopo la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO, coinvolgendo il FMI grazie ai file messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”.
E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie ad Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone.
Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes. Lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come impedire ai governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del FMI il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi.
Gran parte dei file sono già resi pubblici su internet. Gran parte dei file sono offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, la violazione di norme costituzionali”.
Il 12 dicembre del 2008, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (Pil di 50 miliardi di euro, circa 30 volte meno dell’Italia) dichiara in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso.
Hanno fatto credere che ciò che è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il FMI fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del FMI. Il Paese è in ginocchio.
Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia che darà il proprio contributo con petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finché la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione.
Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate.
Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondo) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura.
Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago.
Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale diNew York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”.
La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. E’ accaduto in Iraq che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu.
Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’Opus Dei fedele al Vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e aprendo la strada a un precedente storico.
Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure, se si annulla la decisione dell’Ecuador, allora si annulla anche quella dell’Iraq e il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato, ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna.
La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”.
Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati.
Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.
Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andato nel pallone. In tutto il pianeta si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi. In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti. Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Draghi, Monti, Cameron e l’oligarchia finanziaria.
L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo. Anche in Europa. Per questo Julian Assange ha scelto l’Ecuador. Il colpo decisivo viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012.
“Julian Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti in ogni nazione del globo”. Chi è Garzòn? E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata. E’ il nemico pubblico numero uno dell’Opus Dei. E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi. E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale. Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della Procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’Interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, Reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè PD e PDL insieme) acquistava a 100$ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla Telecinco che li rivendeva a 1000$ a Rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari.
Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dalla UE. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la Telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta, ma il governo italiano di allora (Prodi) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte del Vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica.
Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione, ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja.
L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”. La battaglia è dunque aperta. E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in Rete. In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi. Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi.
Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce. Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti. In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador. Per questo Garzòn lo difende. Per questo la storia del Sudamerica, va raccontata. Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta. E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica. Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità. Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori imbarazzanti. Wikileaks non va letto come gossip. C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez rischia anche la pelle. Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”. Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare. Se poi, con questo “Sapere” un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta. Tradotto vuol dire: finché non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero.
Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose. Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera? Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda. Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
Sergio Di Cori Modigliani, scrittore e blogger