Francesco, il (semi) vegetariano e l’interpretazione esoterica di Rudolf Steiner

Ante Scriptum

Il 4 ottobre 2012, nell’ambito della settimana mondiale vegetariana, abbiamo celebrato la ricorrenza di Francesco d’Assisi, santo laico e mistico, patrono d’Italia e non martirizzato dalla chiesa per un pelo…
Che San Francesco sia stato un grande santo non ci sono dubbi, malgrado il riconoscimento ecclesiastico obbligatorio vista la fama raggiunta dal “poverello di Assisi”. Egli in verità fu alquanto malvisto dai vertici vaticani per via della regola fondamentale da lui stabilita per il suo ordine, ovvero: la povertà. Esattamente il contrario di quanto perseguito dai prelati che cercano la ricchezza materiale ed il potere mondano. Francesco come tutti gli altri mistici del suo tempo, cristiani maomettani induisti etc. era in grado di stabilire un rapporto diretto con la Divinità, dimostrando quindi l’inutilità di ogni struttura religiosa…

La chiesa cattolica lo sopportò obtorto collo non riuscendo a soffocare l’anelito spirituale che lo animava e che stava contagiando migliaia di persone del suo tempo. Ma anche Francesco qualcosa dovette sopportare per non irritare eccessivamente i preti canonici e le alte sfere vaticane e questa fu l’abiura del vegetarismo. Inizialmente esisteva la regola di una alimentazione senza carne per i “poverelli” di Dio.. poi la norma fu ammorbidita consentendo l’uso di cibi carnei donati con “amore” da devoti. Nelle comunità francescane continuò però la consuetudine di lavorare gli orti ma di non allevare animali da macello…..

Durante l’incontro del 4 ottobre tenuto a Spilamberto, dopo la passeggiata nella natura ed una prima lettura di brani tratti dai Fioretti, il discorso è continuato in casa di Caterina ove alcuni uomini e donne di buona volontà ed a modo si sono riuniti per parlare della loro esperienza “francescana”. Abbiamo ascoltato le parole di un ex seminarista, di una maestra elementare, di una contadina, di una docente universitaria, di una impiegata, del sottoscritto pensionato ed infine di Caterina, che racconta: (Paolo D’Arpini)

Francesco e la memoria di Caterina: “Giovedì 4 ottobre ricorrenza della morte di San Francesco ci siamo ritrovati a Spilamberto con alcuni volenterosi per ricordare la figura di questo santo e condividere l’immagine che abbiamo di lui e che cosa significa, e se può avere un significato, in questo momento storico e nelle nostre vite. Non eravamo in molti, si sa, Paolo trova sempre occasioni molto particolari per organizzare questi incontri di condivisione che attirano meno di una semplice cena in compagnia… Ci siamo incamminati verso il sentiero natura per sentirci più vicini nello spirito, a quella che poteva essere la situazione del suo tempo e per sottolineare il legame che abbiamo con la nostra Madre Terra così come lui, Francesco, ci vuole insegnare. Ci siamo fermati sul muretto per una prima condivisione: dopo una prima presentazione di Paolo, hanno parlato Giuseppe, l’ex seminarista, quasi commosso nel descriverci, con brevi pennellate poetiche, la sua esperienza, ormai lontana, Giovanna, più fresca nei ricordi, avendo partecipato alla realizzazione di uno spettacolo sulla sua vita e vivendo tenendo bel presente il suo esempio, anche nel suo lavoro di maestra, e poi Maria, una “francescana” di natura, Regina, che aveva visitato anche Lavernia (?). Di ritorno a casa visto l’incipiente imbrunire, abbiamo continuato con le parole: Nelly, che ricordava che uno dei primi momenti all’inizio dell’anno scolastico era quello di questa ricorrenza, Adele, che ci ha ricordato come l’epoca di San Francesco non fosse questo secolo poi così buio.. Paolo ha letto alcuni brani dai Fioretti di San Francesco, io ho letto un brano che avevo trovato proprio ieri pomeriggio su internet, di Rudolf Steiner, veramente interessante nel sottolineare come la forza morale di un uomo, a quell’epoca così come in tutte le epoche, possa essere un motore per una spinta “animica”, spirituale, per tutto il genere umano.
Un personaggio, una personalità forte di cui si sente la mancanza… e che merita essere tenuto “vivo” nei nostri cuori…” (Caterina Regazzi)

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Francesco nell’interpretazione di Rudolf Steiner

Per caratterizzare le forze morali personali che si concentrarono nella individualità di Francesco d’Assisi cerchiamo di delineare la cosa davanti all’anima come essa si presenta al­l’occultista, anche a costo di venir tacciati di pazzia o di superstizione. E’ bene prendere sul serio ques ti fatti, perché essi agirono altrettanto sul serio in quel periodo di transi­zione.

È’ noto che Francesco d’Assisi era figlio del mercante Pie­tro Bernardone e di sua moglie Pica. Il padre faceva molti viaggi in Francia per affari ed era un uomo cui le apparenze esteriori stavano molto a cuore. La madre era donna di pie virtù, di fine sensibilità di cuore, devota e religiosa. Le leg­gende che circondano la nascita e la vita di Francesco d’Assi­si corrispondono realmente a fatti occulti. Spesso nella storia fatti occulti realmente avvenuti vengono adombrati con im­magini e leggende. Così è assolutamente vero che un certo numero di persone, prima che Francesco d’Assisi nascesse, vennero a sapere per mezzo di visioni o rivelazioni che do­veva nascere un’importante personalità, fra esse S. Ildegarda*. Insisto su questi fatti storici, controllati attraverso l’indagine della cronaca dell’akasha. A S. Ildegarda Apparve in sogno una donna col volto laceratole grondante sangue che le disse :« Qui,,sulla terra gli uccelli hanno il loro nido, le voIpi..le loro tane, io però non ho nulla, .neanche un bastone su cui appog­giarmi ». Quando Ildegarda si svegliò da questo sogno, ebbe coscienza che questo essere rappresentava la vera immagine del cristianesimo. Così sognarono molte altre persone e, si convinsero che l’apparato esteriore della Chiesa non era l’in­volucro adatto a contenere il vero cristianesimo.

Così avvenne realmente- che, mentre Pietro Bernardone si trovava in Francia per affari, un pellegrino entrò in casa da Pica, la madre di Francesco d’Assisi, e le disse : « II figliolo che tu aspetti non potrà venire al mondo in questa casa dove abbonda il superfluo. Per seguire il suo maestro egli dovrà nascere sulla paglia e perciò tu dovrai partorirlo nella stal­la! ». Non è leggenda, ma pura verità, quell’invito rivolto alla

madre di Francesco d’Assisi. Per cui, mentre il padre era as­sente, la nascita del bambino potè effettuarsi così sulla paglia e nella stalla.

Anche quanto segue corrisponde a verità: qualche tempo dopo la nascita del bambino, nel luogo dove era nato, si vide un uomo strano, mai visto prima d’allora e mai più dopo, che percorreva le strade annunciando : « In questa città è nato un uomo importante ! » — Altra gente che viveva ancora in uno stato di coscienza chiaroveggente udì un suono di campane nell’ora della nascita di Francesco d’Assisi.

Molti avvenimenti simili potrebbero ancora venir enume­rati, ma a noi bastano questi per dimostrare come sulla com­parsa di una singola personalità si sia concentrato allora tut­to il mondo spirituale. Aggiungendo ancora un altro episodio, tutto questo apparirà sempre più interessante. La madre aveva pensato che il bambino dovesse chiamarsi Giovanni, e così fu chiamato. Solo quando il padre tornò dalla Francia, poiché in Francia aveva fatto buoni affari, volle, a sua idea, che a suo figlio fosse imposto il nome di Francesco. Ma origi­nariamente il bambino si chiamava Giovanni.

Ci basti rilevare pochi fatti dalla vita di questa singolare personalità. Che cosa ci si rivela dell’uomo Francesco d’Assi­si, osservandolo da ragazzo? Ci sì rivela che egli si comporta come un discendente dell’antica cavalleria germanica, e ciò non deve meravigliarci date le molte mescolanze di popoli seguite alle invasioni dal nord: coraggioso, battagliero, per­vaso dall’ideale di acquistarsi fama ed onori con le armi. Questa era anche la dote principale che Francesco d’Assisi ereditò come una caratteristica di razza. Si può dire che, in lui, le proprietà che nell’antico germanesimo si presentavano sotto l’aspetto intcriore di doti del cuore e dell’anima, appaio­no piuttosto esteriorizzate. Così egli non divenne altro che un dissipatore. Profondeva a piene mani le ricchezze del padre, mercante molto agiato. Dovunque andasse prodigava le ric­chezze e i frutti del lavoro paterno. Era sempre pronto a dstribuire doni ai suoi compagni di gioco. Nessuna meraviglia perciò che egli venisse sempre eletto condottiero dai suoi gio­vani compagni durante gli infantili giochi guerreschi e che tutti lo considerassero veramente un ragazzo-guerriero. Come tale era conosciuto in tutta la città. Tra i giovani di Assisi e di Perugia c’erano spesso dei combattimenti; durante uno di questi Francesco venne catturato e trattenuto prigioniero con i suoi giovani compagni. Non soltanto sopportò cavalieresca­mente la prigionia, ma incitò anche gli altri ad imitarlo, fin­ché dopo un anno tutti furono liberati e poterono tornare alle loro dimore. E quando, essendo in servizio di cavalleria, si trovò nella necessità di prender parte ad una spedizione con­tro Napoli; il giovane Francesco ebbe in sogno una visione. Vide in un gran palazzo molti scudi e molte armi ; e vide una parte dell’edificio dove erano sparsi frammenti di armi. Egli ne trasse la conseguenza che ciò fosse un incitamento a di­ventare un guerriero e si decise a partecipare alla guerra contro Napoli. Ma già per via, e ancor più dopo che si era unito alla spedizione, ebbe varie visioni e rivelazioni intc­riori ; sentì una voce che gli diceva : « Non andare oltre, hai interpretato male la visione del sogno che era per te della massima importanza. Torna ad Assisi e ti verrà rivelato come lo devi giustamente interpretare ».Egli obbedì a queste parole, tornò ad Assisi, e lì ebbe un colloquio spirituale con un essere che gli disse : « Non devi servire esteriormente la tua vocazione di cavaliere. Tu sei destinato a trasformare tutte le tue forze in forze dell’anima, da foggiare come armi che dovrai usare animicamente. Tutte le armi che vedesti nel -palazzo significano per te le armi ani-miche e spirituali della pietà, della compassione e dell’amore. Tutti gli scudi significano la forza della ragione e del discer­nimento per conservarti forte nei patimenti di una vita dedi­cata alla pietà, alla .compassione, all’amore ». Seguì una breve ma abbastanza pericolosa malattia, dalla quale tuttavia guarì. Indi visse per diversi giorni in una visione retrospettiva che si estese su tutta la sua vita passata. Il prode cavaliere che nei suoi sogni più audaci aveva tanto agognato di poter di­ventare un eroe guerriero, si era temprato a nuovo in un ^uomo che andava alla ricerca degli impulsi morali della com­passione, della pietà e dell’amore, fino all’estremo. Tutte le forze che voleva prima usare a servizio del piano fisico si erano trasformate in impulsi morali della vita intcriore.Non è senza significato che noi osserviamo pròprio un grande impulso morale, poiché non ogni singolo può sempre elevarsi alle più alte vette degli impulsi morali, e imparare si può proprio soltanto da coloro nei quali gli impulsi si esprimono radicalmente e nei quali noi li vediamo agire nella loro più grande potenza. Appunto quando dirigiamo la nostra attenzione alle grandi cose fondamentali, per osservare le pic­cole alla luce che da quelle risplende, possiamo arrivare a un giusto punto di vista sugli impulsi morali della vita.Che cosa avvenne dunque nel caso di Francesco d’Assisi? Non è necessario descrivere le lotte che egli ebbe con suo padre, quando egli passò a un tutt’altro genere di prodigalità. Il padre poteva comprendere ancora la precedente prodiga­lità del figlio che dava notorietà e lustro alla casa paterna, ma non poteva capire che il figlio, dopo la sua trasformazio­ne, gettasse via i suoi vestiti migliori, e anche l’indispensa­bile, per dare tutto ai bisognosi. Egli non potè capire la tra­sformazione che aveva portato suo figlio a dirsi : « E’ incre­dibile come si faccia poca attenzione a coloro attraverso i quali gli impulsi cristiani hanno raggiunto risultati cos\ gran­diosi in occidente », e che lo spinse, in conseguenza, a fare un pellegrinaggio a Roma per deporre una grossa somma di denaro sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Queste cose il padre non poteva capirle. Non occorre descrivere le lotte che ne seguirono. Basta osservare che in queste lotte, per Francesco d’Assisi, si erano concentrati tutti gli impulsi morali. Questi avevano trasformato il coraggio e il valore in facoltà intcriori dell’anima; e queste si erano così sviluppaté da provocare in lui uno straordinario rafforzamento nelle meditazioni, sino ad apparirgli in forma di croce col Croci­fisso. In questi stati egli provò un intcriore personale rap­porto con la croce e col Cristo, e da ciò gli vennero le forze per mezzo delle quali egli potè aumentare in modo smisurato gli impulsi morali che ora lo attraversavano.

Una meravigliosa utilizzazione trovò egli per ciò che ora in lui si sviluppava. In quell’epoca molti paesi europei erano ossessionati dalla paura della lebbra. La Chiesa aveva un me­todo straordinario per curare i lebbrosi, allora numerosissimi. I preti chiamavano a sé gli infermi e dicevano loro : « Tu sei stato colpito da questa malattia in questa vita, ma se tu sei perduto per la vita, sei conquistato a Dio, sei consacrato al Signore » ; e il malato veniva allontanato verso luoghi solitari dove finiva la sua vita solo e abbandonato da tutti.

Non che io muova rimprovero a questa cura; non se ne conoscevano altre, né migliori. Ma Francesco d’Assisi ne co­nosceva, invece, una migliore, e qui se ne parla perché questo ci condurrà fuori dalle esperienze immediate fino alle sor­genti della moralità. Nei prossimi giorni si vedrà perché ci occupiamo di queste cose. Francesco d’Assisi fu guidato a cercare i lebbrosi.dovunque essi fossero senza temerne il con­tagio. Ed un male contro il quale allora nulla potevano i farmaci, per cui era necessario allontanare i malati dalla comu­nità umana, fu guarito in molti casi da Francesco d’Assisi, perché egli si presentava a questa gente proprio con le forze dei suoi impulsi morali che gli toglievano la paura e gli davano sempre più il coraggio non soltanto di lavare accura­tamente le piaghe dei malati, ma di vivere con loro, di cu­rarli intensamente, di baciarli, di penetrarli col suo amore. Non è quindi solo poesia la guarigione del povero Enrico per opera della figlia del fedele servitore ; essa rispecchia ciò che in molti casi in quel tempo era accaduto per opera della personalità storica ben nota di Francesco d’Assisi. Rendia­moci conto di quanto è avvenuto. E’ accaduto che in un uomo come Francesco d’Assisi fosse presente un immenso capitale di vita psichica; quello che noi abbiamo riscontrato nelle antiche popolazioni europee, sotto forma di coraggio e di audacia, si era trasformato in lui in attiva forza animica e spirituale. Lo stesso impulso che negli antichi tempi, sotto forma di coraggio e audacia, aveva portato ad uno spreco di energie personali, e ancora si era manifestato in Francesco d’Assisi nelle sue prodigalità giovanili, ora invece lo spinge a diventare un prodigatore di forze morali. Egli traboccava di forza morale, ed effettivamente ciò che aveva in sé si river­sava su tutti coloro cui rivolgeva il suo amore.

Dobbiamo sentire assolutamente che in ciò vi è una real­tà, analoga a quella che vi è nell’aria che respiriamo e senza la quale non potremmo vivere. Una simile realtà scorreva nelle membra di Francesco d’Assisi e da qui in tutti i cuori a cui si dedicava, poiché Francesco d’Assisi prodigava una pie­nezza di forze che scorrevano fuori di lui; e proprio questoquid fluì nell’intera vita dell’Europa più matura e vi si incorporò trasformandosi in elemento animico e agendo con­temporaneamente nella realtà esteriore.

Riflettiamo bene su questi fatti che forse possono, in fon­do, sembrare estranei agli attuali problemi morali. Cerchiamo di capire che cosa sta alla base della devozione indiana e del coraggio nordico; consideriamo l’azione risanatrice delle forze morali che furono adoperate da Francesco d’Assisi, e domani potremo parlare dell’essenza dei veri impulsi morali. Vedremo così che non sono soltanto parole, ma realtà autentiche quelle che agiscono nell’anima e fondano moralità.

Rudolf Steiner

Tratto dal ciclo di conferenze.”CRISTO E L’ANIMA UMANA”

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