Contro tutte le mafie: “…malagiustizia… incarcerati per bagatelle private e liberi per tragedie pubbliche”
Malagiustizia. Una Storia di ordinaria follia.
Si può essere incarcerati da persona per bene e con salute malferma per scontare una condanna attinente la “violazione degli obblighi di assistenza familiare” e nonostante la pena sia stata già scontata con una misura alternativa? E questo dovuto essenzialmente a leggerezza e disservizi?
«In Italia per reati bagatellari e pene infime come queste sì. Per colpe ben più gravi forse no – risponde il dr Antonio Giangrande, scrittore dissidente che proprio in tema di giustizia ha scritto libri pertinenti questioni che nessuno osa affrontare e presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” (www.controtuttelemafie.it) sodalizio nazionale –. Innanzitutto, questa è la classica storia di una coppia che sposatasi in giovane età comincia a vivere una serie di conflitti e che “per amore dei figli”(due, un maschio e una femmina) continua a mantenere lo “status matrimoniale” pur ribadendosi che al raggiungimento della loro maggiore età la separazione sarebbe stata attuata. E così, anche su suggerimento dei figli che ormai non reggevano più la reciproca intolleranza fra i genitori, i due si separano consensualmente nel febbraio 2002 con i classici accordi che prevedevano il mantenimento “dei figli” (senza specifica in termini di limiti di tempo), di cui una all’epoca maggiorenne e lavoratrice, l’altro di 15 anni. Quando Luigi Mauro Navone (questo è il nome del malcapitato) non riesce più a pagare il mantenimento alla moglie separata, le lascia un patrimonio (quadri, lampadari i e mobili di valore, 2 auto, roulotte e veranda al mare in Liguria) tale da poterne ricavare subito con la vendita (cosa che ha fatto) un valore ben maggiore degli alimenti pattuiti. Da maggio 2003, però, iniziano ad arrivare atti di precetto per il mancato pagamento delle mensilità, pignoramenti, fino alla querela presso i CC per “violazione degli obblighi di assistenza familiare” nell’agosto del 2003. Dopo di che nel settembre del 2006 viene emessa una sentenza dal Tribunale di Torino (non viene proposto patteggiamento, né sospensione della pena e la sentenza, forse, non è opportunamente impugnata dal legale di Luigi, che viene riconfermata il 26 ottobre 2009 dalla Corte di Appello di Torino e che prevede 6 mesi di reclusione, recupero della pena pecuniaria ed euro 300 di multa. Si fa istanza per la concessione di misure alternative alla detenzione: ossia l’affidamento in prova da svolgere a Viterbo. Dunque, Luigi da “bravo ragazzo” segue tutte le prescrizioni, va ai colloqui previsti con l’assistente sociale e la psicologa e conclude il tutto pagando nei termini le pene pecuniarie e le spese di giustizia. A ciò seguono le relazioni positive della psicologa e dell’assistente sociale la quale, però, va fuori del seminato e cita il fatto che lui non ha risarcito integralmente la parte offesa, dimenticando di annotare che quanto stabilito dal Tribunale di Torino è stato pagato, comprese le spese di giudizio, e nessuna altra cifra è mai stata quantificata né richiesta sia dal Tribunale di Torino, sia dalla controparte nel frattempo ricontattata per forza di cose, in quanto nessuna azione civile era stata attivata. E su questo, come su altre discrasie ci si è appellati con il ricorso alla Corte di Cassazione depositato il 13 agosto 2012. Intanto il 2 agosto 2012 arriva una telefonata “sommessa” dalla Caserma dei CC di Valentano dove si invita il “Prof. Navone” gentilmente a presentarsi. Il Prof. Navone è noto presso la sua comunità per le innumerevoli attività e prestigiosi incarichi di carattere sociale e fondatore del periodico “Lazio Opinioni (www.lazioopinioni.it). Ed il tapino è ancora lì a scontare una pena illegittima, a prescindere dal reato se sia stato commesso o meno. Ed al disgraziato è impedita, oltretutto, come racconta la sua nuova compagna, la somministrazione di medicine essenziali per la sua salute. Miserando con l’animo lesionato, più che nel fisico e nella reputazione. I motivi del ricorso in Cassazione contro il provvedimento di carcerazione del Tribunale di sorveglianza di Roma sono: non aver inteso come adempito l’obbligo del risarcimento stabilito dal Tribunale di Torino; non aver dichiarato estinta la pena all’esito della prova eseguita; aver ritenuto erroneamente la condotta omissiva in ordine all’adempimento degli obblighi e citando altri numerosi elementi sostanziali non ben definiti che inficiavano l’esito della prova; lesione del diritto di difesa per aver nominato un difensore d’ufficio, nonostante vi fosse già la nomina dell’avvocato di fiducia. La vicenda, si spera, avrà buon esito e un cospicuo risarcimento per ingiusta detenzione. Questione mai sopita quella della responsabilità dei magistrati che ricade a danno dei cittadini e non, però, di quei magistrati con delirio di onnipotenza, che trattano le persone sol come fascicoli muti e senz’anima.»
«Nella situazione di emergenza perenne che vivono le carcere italiane accade anche questo: che ad un uomo di 54 anni con gravi problemi di salute, venga revocata la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali per scontare, in carcere, la pena di sei mesi. Il 54enne, affetto da diabete, cardiopatia, ipertensione e crisi respiratorie, dal 2 agosto è tornato in una cella del carcere “Mammagialla” di Viterbo a causa di una ordinanza, non conosciuta né notificata, che ha revocato la misura alternativa della messa in prova ai servizi sociali, per scontare una pena di 6 mesi. Una decisione che arriva in un momento in cui il sovraffollamento sembra essere una delle emergenze più gravi del pianeta carcere italiano: basti pensare che, alla fine di luglio, le presenze nelle carceri italiane erano di 65.860 unità, contro una capienza regolamentare di 45.590. Nel Lazio, in particolare, i detenuti presenti erano 6.960 contro una capienza di 4.839. “Casi come questo – ha commentato il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni – finiscono per mortificare sia l’umanità della pena per il detenuto, che il lavoro degli operatori sanitari, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutti coloro che vivono e lavoro nel carcere alle prese, tutto l’anno, con le gravi lacune del sistema che, soprattutto nei mesi estivi, tendono ad acuirsi in maniera drammatica. Sarebbe il caso di individuare, per i casi come quello citato, con brevi fine pena e condizioni di salute precarie, soluzioni alternative al carcere nell’ottica di rendere più vivibile il carcere».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
www.controtuttelemafie.it e www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996
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Altra lettera in tema:
Un Paese pagliaccio.
Un uomo che conosco e che stimo si trova in galera, in un carcere di massima sorveglianza, tra criminali comuni, perché condannato a sei mesi di pena detentiva per non aver ottemperato al pagamento degli assegni familiari.
Non conosco e non voglio neppure conoscere la sua storia personale e le vicende del suo primo matrimonio. Credo che tutti abbiano a mente o vissuto storie consimili. In concreto, si tratta di 250.00 euro al mese!
Quest’uomo è gravemente ammalato di un male difficile e raro, per il quale erano in corso ricerche complesse e non ancora concluse, che si aggiunge a cardiopatia e glicemia. All’infermeria del carcere gli hanno detto che le sue medicine non servono e che ci penseranno loro a curarlo. Sono noti i mezzi di cui dispongono e la qualità dei loro specialisti.
Lascia la sua nuova famiglia, con due piccole figlie ed un lavoro precario, perché, come libero professionista, dipende dagli umori e dalla tasca dei suoi clienti, in un disordine economico ed affettivo senza precedenti per lui. Ma deve pagare. Sei mesi al caldo del carcere, dove soffrono tutti di dissenteria (ma è vietato che i congiunti possano portare carta igienica e limoni!), non curato o, peggio, mal curato, abbandonato pressoché da tutti.
Inutili i ricorsi: c’è l’estate rovente e chi deve rispondere è in ferie. Inutile l’osservanza delle regole: l’ordinanza è stata notificata l’8 agosto quando il detenuto era già in carcere dal 2 agosto! L’ordinanza si sarebbe potuta impugnare entro i termini prescritti, ma il messo giudiziario era in ferie.
Nel nostro Stato, indegno padre del diritto, le regole valgono solo per i sudditi. Un silenzio ammorbante avvolge questa vicenda minore, emblematica dell’ingiustizia patria.
Abbiamo un codice di famiglia che è vecchio e fa acqua da tutte le parti. La signora lesa sarà felice di sapere che il padre dei suoi figli è in galera e rischia di morire?
Una magistratura pachidermica e lenta, arriva dieci anni dopo a fare giustizia. Quale?
Questo è, credo, il primo ed unico caso della giustizia italiana in cui un uomo, colpevole per non aver pagato gli alimenti al coniuge, finisce in galera. Se fosse l’inizio di un nuovo corso, credo che un terzo degli Italiani dovrà preparare il proprio borsone per andare a trascorrere un po’ di tempo nelle patrie galere. C’è tanto spazio, là dentro! Da quel che sappiamo, i delinquenti veri, i presunti assassini ed i quasi certi taglieggiatori stanno a casa loro. Arresti domiciliari, si dice.
Il nostro Codice è molto generoso con chi del delitto fa una professione. Ma guai a chi è solo un dilettante! La gran parte degli ospiti delle nostre carceri o è in attesa di giudizio o sono immigrati o piccoli spacciatori o consumatori di droga. Sono loro, la popolazione carceraria prevalente. E’ giusto. Se il carcere è il master del crimine, è bene che studino, anche se stanno un po’ affollati.
Nell’ingiustizia itinerante del Paese, da cinquant’anni ci si lamenta che le carceri sono affollate. Ma quanti sono i detenuti? Più del doppio dei posti previsti? Che fa un Paese serio? Costruisce nuove carceri. Che fa un Paese matto? Depenalizza i reati minori. Per quelli maggiori, o si sta a casa o si è in libertà vigilata.
Dov’è la sicurezza dei cittadini? Nelle grinfie occhiute e stupide della giustizia sono solo i minori, i tossici, i poveracci che vendono gli occhiali e le borse sulle spiagge, i piccoli delinquenti e, udite, udite, chi non paga gli assegni famigliari.
Questi sì che sono i veri delinquenti che abbisognano di una revisione psicologica della loro personalità.
Quando Tanassi finì in ga
lera, gli fu assegnata una giovanissima psicologa, per “rieducarlo”. Viene da ridere.
Il mio amico fa consulenza professionale, ha fondato una Libera Università, scrive e dirige un giornale, è persona stimata ed apprezzata là dove vive e si è rifatto una vita. Ma che importanza ha? Deve essere rieducato.
Questo è un piccolo dramma, nel contesto dello sfascio della giustizia italiana. Ma per chi lo vive, per la sua compagna e per i suoi figli, è una grande tragedia, emblematica di come vanno le cose in questo Paese. Feroci con i deboli, ossequiosi e striscianti con i potenti.
Un Paese pagliaccio.
Stelio W. Venceslai