La simbologia del numero 7 nelle tre religioni monoteiste: considerazioni, pensieri e riflessioni della firma di Dio
Il più illustre filosofo e pensatore che si dedicò all’approfondimento dello studio dei numeri è Pitagora, che di quella “scienza psichica” che comunemente è conosciuta con il nome di “numerologia” ne ha fatto un vero e proprio strumento che è servito da faro a tutti gli studiosi che lo hanno seguito sullo stesso sentiero di indagine, poiché i suoi studi sono serviti da premessa per scienze quali la geometria e l’astronomia. Padre dell’aritmetica, ai suoi studenti, che selezionava in base alla capacità di associare un messaggio ad un simbolo, egli soleva dire “tutto è numero”.
Formulò una teoria che lega la matematica alla natura e alla musica, stabilendo un’assonanza con l’intero cosmo e con le Leggi che lo governano. L’associazione dei numeri alla natura, secondo i pitagorici, inclina ed agevola una meditazione profonda e consente all’uomo di cogliere l’intima natura delle sfere celesti, creando un ponte tra il visibile e l’invisibile, poiché c’è una stretta assonanza tra numeri, forma e idee. Infatti, regolata dai numeri risulta l’alternanza delle stagioni e delle diverse coltivazioni ad esse corrispondenti. I numeri contengono, disciplinano e racchiudono il Creato e ogni creatura, e consentono all’uomo di diffondere il messaggio del quale è portatore sin dalla nascita, e inglobarlo al messaggio più profondo, collettivo e primigenio, ovvero quello divino. Le conoscenze che hanno permesso a Pitagora di elaborare le sue teorie, sono frutto dei suoi lunghi viaggi in Oriente e in India.
Basti pensare che l’antico testo cinese che risale al 5000 a.C. conosciuto in Occidente come “il grande Libro dei Mutamenti” (I King) e che ha dato origine al taoismo e confucianesimo si basa esclusivamente sui numeri ma è il popolo sumero il primo ad aver realizzato un complesso quadro sessagesimale nel quale sono divise le ore, i minuti e i secondi. Anche gli antichi Egizi si sono serviti dei numeri per la costruzione delle Piramidi, la cui struttura è composta da un triangolo (3) che poggia su un quadrato (4). Per loro, il 7 era simbolo della vita e il testo matematico più complesso e composito è il “Papiro di Rhind” nel quale si legge che esso contiene le “regole per scrutare la natura e per conoscere tutto ciò che esiste, ogni mistero, ogni segreto”. I numeri dunque attribuiscono un valore numerico alle lettere permettendo al linguaggio di essere veicolo di comunicazione tra la realtà tangibile e quella trascendentale. La religione ebraica è la prima che introduce una fede in un unico Dio “Creatore” rifiutando una visione politeistica contenuta in altre credenze e religioni ma in tutta la raccolta di” libri” (in tutto 24) costante resta la presenza dei numeri con la funzione di veicolare un messaggio e permettere all’uomo di comprendere e quindi osservare la volontà divina, in quanto per le tre religioni monoteiste, è Dio la fonte primaria, è Dio che parla all’uomo.
Nel Libro che contiene” l’insegnamento”, diretta emanazione divina della “Legge” che Dio diede a Mosè durante i 40 giorni spesi sul monte Sinai, la Torah, (che corrisponde al Pentateuco della Bibbia cristiana) c’è l’intera descrizione della Creazione, che per molti autori e studiosi, antichi e moderni, delle Sacre Scritture, va interpretata in senso allegorico.
Nella Genesi, Dio comincia il suo lavoro e ogni suo gesto è scandito con ritmo regolare ed incessante, e completata la sua opera di “costruzione del mondo”, si riposa nel settimo giorno: “ Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno ogni suo lavoro” (Genesi,1,2). Per essere più precisi, smette di creare, ovvero di lavorare. Questo primo atto della grande opera divina, ha dato una precisa indicazione che gli ebrei hanno applicato e reso una delle festività religiose più importanti e più osservate nella pratica della loro fede.
Lo Shabat, che, letteralmente significa smettere (ovvero cessare ogni attività) è tradotto comunemente con la parola riposo. Dall’azione divina a quella umana il passo è breve. L’uomo comprende che anch’egli, creato da Dio, è dunque creatura, ed è tenuto a considerarsi parte integrante di un progetto che va ben al di là della sua immediatezza ma chiama in causa l’eternità, poiché come si legge in Esodo( 3,14 ) Dio parlando a Mosè si definisce “Io Sono Colui che Sono” ed è per questo che è inconcepibile l’idea che Dio abbia avuto bisogno di riposo dopo aver completato la sua creazione. Aderente ad una visione di un Dio onnipotente ed eterno, lo Shabat introduce anche una rivoluzione poichè non esisteva un giorno specifico da dedicare al riposo, e soprattutto tale riposo era riconosciuto a chiunque, schiavi ed animali compresi, introducendo per la prima volta un concetto di eguaglianza sociale assolutamente inesistente. Per l’ebreo praticante, tale osservanza scandisce la settimana, diventando un orologio che disciplina la vita quotidiana.
Cessando ogni attività, l’uomo ammette e riconosce di non essere lui il vero creatore ma individua in Dio la fonte ultima di tutte le cose, sé stesso compreso. La non dominanza dell’uomo sulla natura è un gesto di umiltà e di riconoscenza al tempo stesso. Il riposo inoltre, permette di concentrarsi sulla vita interiore, tralasciando quella esteriore e materiale che inevitabilmente distrae e allontana dalla preghiera e dal dialogo interiore con Dio. Ecco quindi che l’uomo si libera della complessità e della caducità della materia per ritrovarsi immerso nell’essenza divina che alberga in lui.
Ecco perché il numero 7 simboleggia la conclusione della creazione divina, rappresenta la perfezione di Dio che consente all’essere umano di elevarsi . “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perchè in esso aveva cessato da ogni lavoro che Egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.” (Genesi, 2,3) Solo così l’uomo può identificarsi in ciò che egli è e non in ciò che ha. Sembra quindi che Dio, avendo benedetto il giorno settimo, abbia firmato di suo pugno il riconoscimento a questo numero, il 7, una valenza santa, e in base a ciò che si legge in Esodo (24,16) “Mosè attese sei giorni sul monte e il settimo il Signore gli si rivelò” ponendo ancora una volta l’accento sul significato profondo del numero 7 come veicolo non solo della santità ma anche della volontà divina che si esprime all’uomo in diverse forme.
Si legge nel Deuteronomio (15, 1,) “Alla fine di ogni 7 anni celebrerete l’anno di remissione. “ L’anno sabbatico, che cade ogni 7 anni, prevede la liberazione degli schiavi, l’annullamento dei debiti, la cessazione dei lavori e il riposo dei campi da coltivazione. Quest’ultimo precetto è riscontrabile in Esodo,23,10: “Sei anni seminerai il tuo terreno e ne raccoglierai i prodotti; il settimo invece lo lascerai incolto e l’abbandonerai perché ne mangino i poveri che sono insieme a te e gli animali selvaggi si nutrano di quello che essi lasciano”. Si può quindi notare un’ulteriore rivoluzione introdotta proprio dalla religione ebraica e legata al numero 7; questa usanza è oggi considerata ancora valida nel senso che è riconosciuto socialmente un anno durante il quale è lecito prendere una pausa dal proprio lavoro, come avviene per i docenti universitari o i medici, scienziati e ricercatori che lavorano presso alcune Istituzioni e/o università negli Stati Uniti. Un anno regolarmente retribuito per approfondire una ricerca personale, aggiornare la preparazione oppure per motivi personali. In Italia, la legge Turco (n.53 del 2000) riconosce un congedo per motivi di maternità, gravi malattie, motivi familiari e formazione professionale. Incredibile il ruolo e l’influenza nella vita sociale e collettiva che il numero 7 svolge, diventando non solo un veicolo che permette un dialogo tra l’uomo e Dio ma rappresentando una “giusta pausa” che richiama la cessazione di ogni attività, momento nel quale si smette di creare. Ci ricorda la fine di ogni cosa terrena, attribuendo un senso di eternità solo a quel Dio creatore che compare a Mosè, come detto, il settimo giorno e al quale detta le Leggi (o Comandamenti) che “il suo popolo” è tenuto ad osservare.
Nella Torah, ci sono altri passi che fanno riferimento al 7 ed è difficile se non quasi impossibile elencarli tutti; di volta in volta esso compare a rimarcare la santità, anche quando è legato a riti di purificazione e alla descrizione degli oggetti consentiti nel Tempio. La Menorah, il candelabro ebraico utilizzato nell’antichità all’interno del Tempio di Gerusalemme, è infatti composto da 7 bracci, e rappresenta il rovo ardente tramite il quale Dio si manifestò a Mosè e, in alternativa a questa interpretazione, ricorda i sei giorni della creazione sottolineando il settimo, quindi ancora una volta esaltando la sacralità di questo numero.
Il candelabro pare essere una stilizzazione dell’umanità, rappresentata dal fusto che poggia a terra. La presenza divina è garantita e racchiusa dalle 7 fiamme che illuminano ed è per questo che in diversi passi dell’Esodo ci sono istruzioni ben precise riguardanti la sua costruzione, i materiali da utilizzare e l’uso proprio che se ne deve fare (37,17-24). Anche Zaccaria, nelle sue profezie chiede a Dio di fargli comprendere il significato di ciò che vedeva, ovvero “un candelabro tutto d’oro; in cima ha un recipiente con 7 lucerne e 7 beccucci per le lucerne” (Zaccaria, 4,2), e solo dopo la spiegazione dell’Angelo il profeta ne coglie il senso” Allora l’Angelo mi spiegò: le 7 lucerne rappresentano gli occhi del Signore che osservano tutta la terra”.
Dio è onnipotente e sempre presente. Impossibile nascondersi ai suoi occhi e il numero 7 per questo è considerato un numero di santità e perfezione e di tale status godono tutti gli oggetti, le azioni, i riti e le preghiere che lo contengono.
Non stupisce dunque che questo sia il numero che compare di frequente nei Testi Sacri dell’altra religione monoteista, il cristianesimo. La Bibbia è composta dall’Antico Testamento, che coincide con alcuni libri ebraici (seppur interpretati teologicamente in maniera differente e/o divergente) e il Nuovo Testamento, che contempla la vita e le opere del Cristo, considerato Redentore dell’intera umanità nonché incarnazione umana di Dio. Nel Vangelo secondo Luca (1,46-55), è presente uno dei più toccanti e traboccanti ringraziamenti a Dio, ovvero il Magnificat che Maria, già in dolce attesa del Cristo, pronuncia alla cugina Elisabetta alla quale aveva fatto visita. Salta subito all’occhio, dopo un’attenta lettura, che 7 sono le azioni divine (“ Ha spiegato, ha disperso, ha rovesciato, ha innalzato, ha ricolmato, ha rimandato, ha soccorso) come dello stesso numero sono le invocazioni nella preghiera principe di questa religione, ovvero il Padre Nostro, come viene riportato da Matteo (6, 9-13) “ Sia santificato il tuo Nome; venga il tuo Regno; sia fatta la tua Volontà; dacci il nostro pane quotidiano; rimetti i nostri debiti; non ci indurre in tentazione; liberaci dal male. L’abbondanza dei numeri presenti sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento, hanno spinto studiosi e filosofi di questa religione, alcuni considerati i “Padri” della Chiesa Cattolica, a fare alcune considerazioni. Di sicura influenza greco-romana sono figlie le riflessioni che dei numeri ne fa Sant’Agostino, nei quali rientra una influenza anche degli studi pitagorici, dato che per questi ultimi il 7 rappresentava la santità.
“Nessuno è così stolto né incapace da voler sostenere che i numeri presenti nei Libri Santi vi siano menzionati invano e senza ragioni mistiche”. Si eleva così la dignità dello studio o della” scienza dei numeri” e per il Santo tale scienza è investigata e trattata dagli uomini spirituali perché diventino bravi esegeti della Bibbia. Attribuisce al numero 7 una valenza possibilista ovvero da, all’uomo, la possibilità di raggiungere Dio. Come fosse un ponte tra il cielo e la terra, il 7 è secondo Agostino “perfezione mistica” essendo la somma del numero 3, che rappresenta la perfezione e del 4, che rappresenta il corpo; dunque la certezza, per l’uomo, di potersi elevare al divino. Del resto il 7 è un numero proprio, ovvero non generato da altri numeri ma da sé stesso, e perciò rappresenta la verginità, ovvero la purezza. Inoltre, sempre secondo il pensiero di sant’Agostino, il 7 simboleggia l’integrità della dottrina e la purità dell’anima. “ Anche della perfezione del numero 7 si possono dire molte cose…Si adopera spesso per indicare la totalità delle cose, come quando si dice: il giusto cade 7 volte e 7 volte risorge; ossia cade ma non perirà, le sue cadute non sono peccati ma imperfezioni che conducono all’umiltà. E 7 volte ti loderò, espressione ripetuta altrove in questi termini. Nella Sacra Scrittura si trovano molte altre frasi simili nelle quali il numero 7 è usato per esprimere in tutte le cose l’universalità. Molte volte poi con questo numero viene indicato lo Spirito Santo, del quale il Signore ha detto: Egli vi ammaestrerà in ogni verità”. E i doni che Esso fa sono proprio in numero di 7: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Nell’opera “La Città di Dio” Agostino rintraccia nei passi che analizza, una simbologia legata strettamente alla figura del Cristo e alla Chiesa, sua sposa mistica, e non dimentica di considerare la valenza del numero 7. Riprende infatti le parole di ringraziamento pronunciate da Anna, nell’Antico Testamento, madre sterile del profeta Samuele.
Diverso nell’espressione ma non nel contenuto del Magnificat pronunciato da Maria, Anna ringrazia e loda Dio per averle concesso, seppur in età tardiva, un figlio. Nella sua lode, Anna dice “…Colei che era sterile ha partorito 7 figli e la madre di numerosa prole è sfiorita….Il Signore fa morire e fa vivere…” e in queste sue parole si rintraccia, a parere del filosofo, una sorta di profezia uscita dalla bocca di questa donna che, diventata madre, è profondamente grata per la Grazia ricevuta da Dio.
Sarebbe la Chiesa di Cristo ad essere feconda e a creare molta prole, intendendo dire che avrebbe avuto molti “figli” ovvero fedeli in tutto il mondo. L’allegoria della madre feconda con la Chiesa di Cristo è così chiara che invece di considerarlo il Cantico o Magnificat di Anna, lo si può considerare il Cantico della Chiesa. “A questo punto, tutto ciò che veniva previsto profeticamente si è rivelato a coloro che conoscono il significato del numero 7 perché con esso è stata simboleggiata la perfezione della Chiesa universale. Per questo anche l’apostolo Giovanni si rivolge alle 7 Chiese, mostrando così di rivolgersi alla interezza dell’unica Chiesa” (La Città di Dio, libro XVII).
Nell’Apocalisse di Giovanni, testo di chiusa della Sacra Bibbia, il 7 non compare solo quando l’apostolo si rivolge alle Chiese ma in diversi passi. “Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con 7 sigilli” (Ap 5) e la presenza, ancora una volta del “numero mistico” per eccellenza, è spiegabile se si procede con la lettura del brano. In alcuni passi successivi infatti l’apostolo dice che pianse, perché “non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo”, ovvero nessun essere umano può comprendere il senso della Storia, sia quella universale sia quella personale, come il perché si nasce o perché si muore o si soffre. Solo il Cristo, ovvero l’Agnello immolato all’umanità può comprenderlo, “…Egli aveva 7 corna e 7 occhi, simbolo dei 7 spiriti di Dio”. E ancora “Tu sei degno di prendere il libro e di aprire i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di Sacerdoti e regneranno sopra la terra”. Ecco così completa la “Rivelazione” (significato della parola apocalisse) che chiude con il trionfo del Cristo e dei suoi eletti tutta la Storia dell’umanità, dalla sua Creazione alla sua totale e definitiva redenzione.
L’interpretazione che se ne fa del numero 7 nella Bibbia non si discosta poi molto da quella che ne fa nella Torah; in quest’ultima il numero 7 rappresenta la santità di Dio, la sua onnipresenza e onnipotenza, nonché la perfezione della creazione. Nella Bibbia, questo concetto non solo viene rafforzato ma Dio è identificato in Cristo, suo figlio, che con la sua morte redime i peccati dell’intera umanità e ne garantisce la liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte per sempre. “
Ma Egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Questo è il senso recondito delle 7 stelle che hai visto nella mia destra e dei 7 candelabri d’oro, eccolo: le 7 stelle sono gli angeli delle 7 Chiese e le 7 lampade sono le 7 Chiese” (Ap, 9-20).
Simbolo di perfezione del Creato e presente in molti riti, il 7 è un numero che compare in abbondanza anche nell’ultima delle religioni monoteiste (o abramitiche) ovvero l’Islam. La prima sura del Corano è composta da 7 versetti, e secondo la dottrina di questa religione, il mondo è sostenuto da 7 colonne poggianti sulle spalle di un gigante.
Per i Musulmani, Allah ha creato 7 cieli, 7 mari e 7 terre così come esistono 7 porte per accedere al paradiso ma altrettante per accedere all’inferno. Lo stesso numero è la cifra degli attributi riconosciuti ad Allah: vita, conoscenza, potenza, volontà, udito, vista e parola e la professione di fede musulmana è composta da 7 parole. “Quelli che con i loro beni sono generosi per la causa di Allah, sono come un seme da cui nascono 7 spighe e in ogni spiga ci sono cento chicchi. Allah moltiplica il merito di chi vuole Lui”.
Per quanto riguarda i passaggi più importanti della vita di un musulmano, c’è già un rito legato alla nascita e al numero 7. Dopo una settimana, infatti, il neonato riceve il suo nome. Gli vengono tagliati i capelli e pesati; l’equivalente del peso in argento viene donato ai poveri . Anche la morte prevede un rito che include il numero 7, come i passi da compiersi all’indietro una volta sepolto il cadavere anche perché si ritiene che l’anima del defunto resta 7 giorni accanto alla tomba, e per questo il cadavere viene sdraiato sulla destra, avvolto da un semplice lenzuolo e con il viso rivolto verso la Mecca.
Assoluto è il divieto di sepoltura di un fedele di questa religione accanto ad un infedele, ovvero un non credente nell’Islam; è prevista persino la possibilità di rimpatriare la salma, se non è presente nella città in cui un musulmano muore, un appezzamento di terra a parte. Molto sentito è il pellegrinaggio che, almeno una volta nella vita, un musulmano è chiamato a fare alla Mecca, luogo considerato santo, città nella quale c’è la Ka’Ba. Si tratta di un edificio quadrato, costruito in pietra lavica, e ricoperto da un tappeto. Un cerchio d’argento tiene uniti frammenti della Pietra Nera che si considera essere un meteorite, quindi provenienti dal cielo. Secondo la tradizione, Abramo stesso ha collocato il meteorite in quell’angolo della Ka’Ba per fissare il punto di partenza delle processioni rituali. Ecco che spunta il numero 7 con tutto il suo carico di misticismo e santità. Il pellegrino-fedele, infatti, una volta giunto alla Mecca, dopo essersi purificato ed adeguatamente abbigliato, è tenuto a compiere 7 giri in senso anti-orario intorno alla Ka’Ba e 7 sono i giri da fare a piedi intorno alle colline circostanti.
Nel Corano, la sura 18 (la caverna) è narrata la leggenda dei 7 dormienti: “non ti pare che quelli della caverna (i 7 dormienti) e l’iscrizione (le tavole sulle quali la loro storia è incisa) furono tra i nostri segni (i segni inviati da Allah) un evento meraviglioso?” Questa sura in molti paesi di fede islamica è spesso recitata nelle moschee il venerdì, prima che cominci il rito pubblico. Rappresenta per l’Islam la fiducia in Dio.
Probabile che Maometto abbia ascoltato tale leggenda che in vero è stata narrata da Gregorio, Vescovo di Tours dal 573 al 594. Il titolo completo della leggenda è “La passione dei 7 Santi Martiri dormienti presso Efeso”, e narra la storia di 7 giovani cristiani. Durante le persecuzioni dell’Imperatore romano Decio, i 7 cristiani si rifugiarono dentro una grotta, nella città di Efeso (Turchia) ma furono murati vivi e si addormentarono. La leggenda vuole che si destarono dal sonno quasi due secoli dopo, ai tempi dell’imperatore (cristiano) Teodosio II (408-450) che fece costruire una tomba, in loro onore, di pietre d’oro. Secondo la sura 18, pare che un cane abbia vegliato tutto il tempo il sonno dei 7 giovani, ed è dunque l’unico cane ad avere accesso in paradiso:” E li avresti creduti svegli, mentre invece dormivano, e li voltavamo sul lato destro e sul sinistro, mentre il loro cane era accucciato con le zampe distese sulla soglia…rimasero dunque nella loro caverna trecento anni, ai quali ne aggiunsero nove…”
Il sufismo, una corrente del misticismo islamico, riconosce 7 piani cosmici: l’essenza, l’unicità suprema, l’unità, l’unicità divina, lo spirito, il corpo e l’uomo. Un autore del sufismo persiano del XII Secolo, Attar, poeta e mistico, scrisse il “Verbo degli Uccelli” che per la mistica islamica simboleggia il linguaggio angelico. Non sarà dunque un caso se le valli della “via mistica” sono 7: la ricerca, l’amore, la conoscenza, l’indipendenza, l’unità, la meraviglia e infine il denudamento dell’anima, ovvero la morte mistica. E con tale morte, il credente può fondersi con Dio, può abbracciare l’eternità e farne parte. Il numero 7 ha confermato in tutte e tre le religioni monoteiste il suo messaggio che è quello di santità e di assoluto misticismo.
Angela Braghin