Società ed economia in Italia – Analisi del passato per cercare ipotetiche soluzioni nel futuro
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Oggi, 6 maggio 2012 (è importante inserire la data perché stiamo vivendo un periodo tanto convulso da non sapere da questo momento a poche ore, cosa potrà accadere), leggiamo sui giornali che altri due piccoli imprenditori si sono suicidati per la disperazione. Così, se i dati in nostro possesso sono esatti, siamo arrivati, in una manciata di mesi a 36 suicidi. Siamo quindi non più alla semplice protesta, ma alla disperazione.
Sarà un nostro difetto, ma vediamo, come sempre, la soluzione dei nostri problemi, riproporre, aggiornandole, le operazioni messe in atto nel “mai sufficientemente deprecabile infausto Ventennio” (che sia benedetto!). Ma, da quanto leggiamo, non siamo i soli. Se la testimonianza di qualcuno che visse quel periodo…
Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a Perugia il 27 gennaio 1882, morì, centenario a Lugano nel 1982; tutto ciò è necessario ricordarlo in quanto chiarisce quale fu il periodo della sua vita. Venne giudicato come un anarchico conservatore, ed è noto come uno dei migliori scrittori dello scorso secolo, dallo stile formidabilmente concreto e asciutto. Non accettò il regime fascista, quindi si trasferì a Parigi e poi, definitivamente, negli Stati Uniti, dove rimase sino agli anni sessanta, pur tornando saltuariamente in Italia.
Facciamo un salto nel tempo e poi analizziamo il precedente.
Ripetiamo, Giuseppe Prezzolini morì nel 1982, quindi non ebbe modo di assistere all’episodio noto come “mani pulite”, tuttavia ecco quello che ha scritto circa la politica italiana della seconda metà dello scorso secolo: “I partiti non esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele. Dal parlamento il triste stato si ripercuote nel Paese… Tutto si frantuma. Le grandi idee cadono di fronte a uno spappolamento e disgregamento morale di tutti i centri d’unione. Oggi uno è a destra, domani lo ritrovi a sinistra… Lo schifo è enorme. I migliori non hanno più fiducia. I giovani se non sono arrivisti e senza spina dorsale non entrano nei partiti (…)”.
Vediamo ora come l’anarchico conservatore, dopo uno dei viaggi in Italia nei primi anni Trenta, cosa scrisse: “Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore.
Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…).
Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare senza dubbio più contento”.
Ricordiamo che Prezzolini scrisse questo pezzo nel pieno della grande depressione che partì, come sempre dalla democraticissima Usa. Sì, più contento, ha scritto Prezzolini, almeno diverso da oggi. Come mai?
Oggi c’è la libertà, la democrazia, termine maledetto che indica, in verità, la schiavitù verso il più potente. E allora? Come è possibile che l’italiano fosse più contento sotto una dittatura?
La risposta ce la può fornire il grande banchiere americano John Pierpont Morgan che sembra condividere l’opinione di Prezzolini: “In America i nostri uomini politici non si curano se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini, avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini”.
Poi, come rispose Benito Mussolini a Giangiacomo Cabella, nell’ultima intervista concessa alla Voce di Alessandria, a poche ore dal suo assassinio, nel giustificare la guerra: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo!”, ovviamente il mondo della grande finanza. Queste parole ben si abbinano a quanto ha scritto lo storico Rutilio Sermonti, nel suo L’Italia nel XX Secolo, a seguito delle nuove concezioni sociali che partivano, una volta ancora, da Roma: “La risposta poteva essere una sola: perché le plutocrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira ad evidenziare la realtà storica: soprattutto dell’Italia”.
Quindi le plutocrazie, prima provocando la guerra (ci sono Paesi che le guerre le provocano e Paesi che le subiscono, fu la risposta di Mussolini a Sumner Welles, ad una ipocrita domanda di Franklin D. Roosevelt) poi, ponendo in campo tutta la loro demoniaca potenza e, avvalendosi di una nuova arma, la psycological war, tanto prodiga di infamanti notizie e consigli, che potevano essere concepiti solo da menti criminali, vinsero quella guerra del Sangue contro l’Oro.
E possiamo solo immaginare il sorriso sarcastico che aleggiava nei volti dei vincitori, allorché sfilarono a Milano dinanzi a quei corpi appesi, osservavano compiaciuti la moltitudine danzante dei cannibali, quasi in attesa di gustare quelle carni. Ebbene, quei rappresentanti delle potenze plutocratiche, portatori di quei benefici di cui oggi godiamo le più intime essenze, possono aver pensato: “Italiani, furbissimi, intelligentissimi”?
Oggi siamo sotto il giogo dell’Alta finanza: è l’economia che dirige la politica; la prova viene fornita dall’avvento a Capo del Governo del professorino Mario Monti, impostoci dal Presidente Napolitano., Le credenziali di Monti? Eccole, sempre che la fonte sia corretta: “Nel giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da Paolo Baffi, direttore generale di Bankitalia, deliberò di seguire lo schema di un giovanotto, molto stimato dal Rothschild (!), tale Mario Monti, il quale propose l’emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali, in modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni. Il che, a detta del professorino, garantiva il potere d’acquisto e, secondo gli esiti delle aste, un piccolo rendimento dell’1-2%. Il Tesoro, zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare meglio la spesa pubblica.
La proposta passò con standing ovation. Il deficit fu come un proiettile. Le spese aumentarono invece di diminuire. Mentre Mario Monti procurava il credito a tassi impossibili, aumentarono tasse e benzina, le spese sanitarie sfondarono di mille miliardi di lirette il finanziamento statale.
SI RIPRESENTA, COME UNA “ZECCA” APPASSIONATA DALLA PROPRIA INFEZIONE, NEL 1989 COME “CONSULENTE ESPERTO” DEL MINISTRO DEL BILANCIO CIRINO POMICINO. Eppure il premier Mario Monti, chiamato a salvare l’Italia dai gorghi del defoult, tra il 1989 e il 1992, erano i tempi del sesto e settimo governo Andreotti, non riuscì a impedire il peggio. Cioè l’esplosione del rapporto tra debito e pil, preludio della grande tempesta finanziaria che al principio degli anni Novanta costrinse Giuliano Amato alla manovra da 103.000 miliardi di vecchie lire. In tre anni il peso del debito balzò dal 93,1% del 1989 al 98% del 1991 e al 105,2% del 1992. Un vero boom, insomma, pari al 12,9% in termini relativi e al 44,5% in cifre assolute, da 533,14 miliardi di euro a 799,5″.
Ora abbiamo una nuova trovata di Monti: la chiamata di Giuliano Amato a controllare i denari dei partiti. Ė questa una Repubblica sana di mente? Ma Amato, secondo l’accusa dello stesso Mario Monti, non è colui che contribuì ad innalzare il debito pubblico?
Vi rendere conto in quali mani siamo?
La soluzione? Per quanto ci riguarda esiste! Saremo dei fissati, ma dovremmo ripartire dal 1945, quando la Grande Finanza bloccò il nostro futuro. Siamo convinti che, a parte l’incapacità e le ruberie messe in atto dalla nostra classe politica, il nostro problema è stato L’Euro. Cioè, e ci spieghiamo meglio, prima di creare l’Europa unita sulla moneta si doveva creare l’Europa politica. Questo non è stato fatto. Quindi Veloce marcia a ritroso. Lo Stato ricrei, velocemente la propria moneta e si riappropri dei diritti di battere moneta, operazione che oggi è stata ceduta, criminalmente, alla BCE (Banca Centrale Europea) che la gestisce a proprio piacere, per arricchire chi è già ricco. Perché non si accenna mai alla più grande truffa, mai nei secoli concepita: il Signoraggio?
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Filippo Giannini