Filippo Giannini: “La verità è una ed una sola, ma infinite sono le interpretazioni”
“La storia a volte è diversa da quella che viene raccontata…” (Saul Arpino)
Leggo sul quotidiano Libero del 5 aprile 2012 un articolo dal titolo: “IL 25 Luglio del Senatur”, dal quale estraggo questo concetto: “Forse mi lascio prendere la mano (e mi sembra, un po’ più della mano, ndr) da un confronto storico. Eppure vedo (penso che vede proprio male, ndr) molte analogie nei tramonti di Mussolini e di Bossi. Il leader fascista venne travolto da una serie di errori terribili. Il primo fu di trascinare in guerra un paese impreparato a quell’avventura disperata e sanguinosa. Il secondo fu di non valutare sino in fondo la crisi del regime, testimoniata da scandali e dall’affarismo di troppi ras”.
Nel contempo mi giunse una mail a firma di D.G. (non posso indicare il nome) che, in linee generali ripropone le stesse accuse. Ecco il testo: “In effetti, solo durante il ventennio (ma soprattutto negli anni trenta) fascista si raggiunsero livelli di corruzione paragonabili agli attuali: gerarchi, federali, podestà avevano imposto un vero e proprio endemico sistema di mazzette su qualsiasi tipo di fornitura allo Stato. Per questo i nostri soldati si ritrovarono in Russia con le scarpe di cartone, la nostra millantata aviazione disponeva di soli 900 aerei in grado di volare sui 3000 teoricamente disponibili, i nostri fucili erano i vecchi ’91, ed i nostri carri armati pesavano 3-5 ton rispetto alle 30 dei carri Russi. Ed il duce in tutto questo…? O sapeva ed era complice (pur non essendosi arricchito personalmente: solo per sostenere un sistema corruttivo che gli garantisse l’assoluta fedeltà degli accoliti ed il potere)… o non sapeva, ed allora era cretino; esattamente come Rutelli. Scelga lei – D.G”.
Proverò ad essere il più breve possibile, ma come ho scritto sopra, non sarà facile.
Per iniziare: le affermazioni del signor D.G. possono essere giustificate in quanto ubriacato da un sistema che basa la propria sopravvivenza sulla necessità di non accettare un dialogo serio e sereno fra l’attuale sistema e il precedente regime. Deduco che il signor D.G., anche se persona colta non è tenuto ad osservazioni storiche, invece per quanto riguarda il firmatario dell’articolo su Libero certe inesattezze non sono accettabili essendo un tecnico della storia; Giampaolo Pansa non è un nome qualunque. A proposito di quest’ultimo, desidero ricordare quanto segue: sono un ammiratore di Benito Mussolini e delle sue opere, però non sono un fanatico e aperto a qualsiasi ripensamento, MA QUESTO NON DEVE AVVENIRE SU DEI BLA’ BLA’ E BLA’, BENSI’ SU DOCUMENTAZIONE. Sono anni che provo a proporre un SERIO dialogo; sono anni che propongo di presentare in televisione un processo a Benito Mussolini, con tanto di atti di accusa e di difesa, insomma sulla falsariga di un processo vero. Niente da fare. Un paio di anni fa telefonai a Gianpaolo Pansa e, dato che ormai era già ben noto, gli proposi di aiutarmi in questa iniziativa. Mi rispose con un NO anche piuttosto un pò duretto.
Ciò premesso, andiamo avanti, avvertendo che per confutare i due personaggi, mi avvarrò di testimonianze e di scritti, per quanto possibile, di personalità non davvero fasciste; come ad esempio citando l’intellettuale Cesare Musatti che nel 1983 ha scritto: “Diciamo finalmente la verità VERA (maiuscolo nel testo, nda); in un certo momento il 98% degli italiani era per Mussolini”.
Inizio con una domanda: allora, quel giorno Mussolini dava libero sfogo al suo cupido bellandi?
Francesco Saverio Nitti, nella seduta del 27 luglio 1947, all’Assemblea Costituente disse: “Ho letto troppo spesso anche nei nostri giornali, e leggo ancora giudizi, che mi sembrano non solo falsi, ma anche inabili, che fanno cadere sull’Italia la responsabilità della guerra mondiale, dicendo che è dovuta al fascismo. Non sono convinto che noi abbiamo seguito la buona via e nemmeno la vera, quando nella lotta contro il fascismo abbiamo detto e diciamo, come ora, che la guerra è una conseguenza del fascismo, e che il fascismo è stato soltanto fenomeno italiano. Vi sono state cause ben più profonde. Per nuocere al fascismo, noi abbiamo fatto cosa pessima a danno dell’Italia. La cosa più semplice per tutti coloro che odiano il fascismo e per i pochissimi che ne avevano subito le persecuzioni era di insultare il fascismo e di attribuirgli colpe che non aveva”.
Lo storico Rutilio Sermonti ha scritto (L’Italia nel XX Secolo): “La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitti europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia”.
E ancora; Winston Churchill nel 1925 attestò: “Il genio romano è impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente. Egli ha pensato esclusivamente al bene duraturo del popolo italiano come Egli lo concepiva, e null’altro al di fuori di quel bene ebbe importanza per Lui… se fossi italiano sono sicuro che sarei del partito di Mussolini>. Sempre Churchill nel 1947:
Nella conferenza di Ginevra (febbraio 1933), alla quale parteciparono sessantadue nazioni, l’Italia era rappresentata da Dino Grandi e da Italo Balbo. Venne esposto il progetto mussoliniano tendente all’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole la messa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare alla guerra. E questo era l’uomo che preparava la guerra? In ogni caso la conferenza si chiuse con un nulla di fatto per le opposizioni di Francia e Germania.
Intanto Adolf Hitler prese, democraticamente, il potere nel 1933. Ancora una volta Winston Churchill notò: “La salita di Hitler al Cancellierato non destò entusiasmo a Roma. Il nazismo veniva considerato come una cruda e brutale versione del tema fascista, e le ambizioni di una grande Germania verso l’Austria erano ben conosciute”. Hitler non perde tempo e tenta immediatamente di annettersi l’Austria. Per la verità questa operazione, detta appunto Anschluss, era un desiderio soprattutto austriaco. Mussolini teme di avere le truppe germaniche al Brennero, allora ecco come ci vengono raccontati i fatti da due storici.
Il primo George Roux, nel 1957, quindi in epoca non sospetta, ha scritto: “Mussolini manda le sue Divisioni al Brennero, ma Francia e Gran Bretagna non seguono il suo esempio e rimangono colpevolmente alla finestra. Stupefatto da tanta incapacità, Mussolini scrolla le spalle. Non vedendosi seguito, ritira con dispiacere le sue truppe, maledicendo la cecità delle grandi Potenze occidentali”.
L’altro, lo svizzero Paul Gentizon nel 1949 ha scritto fra l’altro: “Nessun altro si muove al soccorso della nazione minacciata; e bisogna pur riconoscere che, nell’atonia e nel cinismo dell’Occidente, il solo difensore di equilibrio nell’Europa orientale resta Mussolini (….)”.
C’è da aggiungere che di fronte alla reazione del Duce, Hitler ordina il ritiro delle sue Divisioni.
Solo per inciso, giusto per provare a capire l’”uomo” e l’importanza che stava assumendo nel mondo, non solo il 98% degli italiani (vedere Cesare Musatti), ma anche gli stranieri non celavano la loro ammirazione per l’opera del Duce: Lord Rosebery gli donò al sua villa a Posillipo, Lady Ogle gli fece omaggio della Villa Vista Lieta a Sanremo, Enrichetta Wurst gli regalò la splendida Villa Sciarra a Roma. E l’Adorabile Tiranno (espressione di Bernhard Shaw) cosa fece? Donò tutto al popolo italiano. E voi pensate che questi tesori siano goduti dal popolo? No, cari signori, se li godono i vari presidenti della repubblica italiana.
Si può sostenere che non passasse giorno che Mussolini non avvertisse che “I Patti non sono eterni e possono sempre essere rivisti”. Chi fu l’ideatore, il 7 giugno 1933, del Patto a Quattro? Il documento propositivo riguardava le quattro Potenze europee: Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Il documento, di cui fu ideatore e protagonista il Duce ebbe successo di siglatura, ma non trovò rattifica nei parlamenti inglese e francese. Per questo disconoscimento Mussolini profetizzò: “In mancanza di riconoscimento del Patto a Quattro, sarà Sua Maestà il cannone a parlare!”.
Il capo del governo italiano si fece di nuovo promotore di un incontro che si svolse a Stresa tra l’11 e il 14 aprile 1935. Perché gli Accordi di Stresa fallirono? Se non il signor D.G. lo dovrebbe saper il signor Pansa. In ogni caso ce lo spiega Winston Churchill nelle sue Memorie a pag.163 1° Volume: “(…). In questo episodio Mussolini vide la prova che la Gran Bretagna non agiva in buona fede verso i suoi alleati e che fino a quando non venissero attaccati i suoi particolari interessi navali, essa evidentemente si sarebbe spinta a qualsiasi accordo con la Germania, incurante del danno che poteva arrecare alle Potenze amiche minacciate dal crescente potere delle forze terrestri tedesche”.
Cosa era accaduto? A soli due mesi dai solenni accordi di Stresa, la Gran Bretagna, all’insaputa dei suoi alleati, aveva concesso enormi facilitazioni per le costruzioni di naviglio da guerra germanico, nonostante che il Trattato di Versailles lo proibisse chiaramente. Tutto ciò confermò ancor più che con simili alleati non era possibile alcun serio accordo e accrebbe in Mussolini la sensazione dell’accresciuto isolamento internazionale.
Intanto le provocazioni dei militari etiopici a danno dei nostri presidi (attacco al nostro consolato di Gondar e ai pozzi di Ual-Ual), dopo aver richiesto al Negus Hailé Selassié le dovute riparazioni, il Duce decise di attaccare l’Etiopia. A scanso di equivoci è bene ricordare quanto scrisse Bruno Barrella su Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993 rammentando i fatti di Ual-Ual: “Ė l’ultimo dei una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più labili dell’epoca>. Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito di quegli incidenti, venne istituita una commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto internazionale, Nicolaos Politis. La commissione il 3 settembre 1935 emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli abissini. A questo punto si verificò l’assurdo: i due Paesi che detenevano e spadroneggiavano su territori immensi si ersero a paladini dell’integrità etiopica e riuscirono a far votare dalla Società delle Nazioni (in pratica controllata dalla Gran Bretagna), con una maggioranza di 51 Stati su 54, l’applicazione di sanzioni economiche contro l’Italia. In ogni caso mai il consenso popolare per Mussolini fu più alto; per rispondere alle inique sanzioni fu indetta la Giornata della Fede tendente a raccogliere oro per far fronte alle difficoltà dovute al provvedimento della Società delle Nazioni. Tutta l’Italia fu percorsa da un’ondata di entusiasmo. Gli stessi antifascisti si allinearono alla politica mussoliniana. Benedetto Croce, Luigi Albertini, Vittorio Emanuele Orlando, Arturo Labriola e tanti e tanti altri donarono oro. Gli stessi comunisti firmarono l’appello Ai Fratelli in Camicia Nera, in testa a tutti Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio e tanti altri.
Non voglio dimenticare, per quel che seguirà di lì a pochi anni dopo l’elogio della Chiesa Cattolica, tanto che il Cardinale Idelfonso Schuster così scrisse: “Cooperiamo con Dio in questa missione nazionale e cattolica in bene, in questo momento in cui sui campi d’Etiopia il vessillo d’Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza la catena degli schiavi, spiana la strada ai missionari del Vangelo”. Ma l’Inghilterra masticava amaro, il perché, brevemente, lo spiega Renzo De Felice (Intervista sul Fascismo, pag. 52): “Non si tratta di imperialismo di tipo inglese o francese: è un imperialismo, un colonialismo che tende all’emigrazione, che spera cioè che grandi masse di italiani possano trapiantarsi in quelle terre per lavorare. Insomma non si parte tanto dall’idea di sfruttare le colonie, quanto soprattutto dalla speranza di potervi trovare terra e lavoro”. Era proprio quello che gli anglo-francesi non gradivano; tutto ciò poteva mettere in discussione il loro modo di intendere l’imperialismo. Non sono lontano dalla verità se asserisco che ciò fu una delle cause – ripeto una delle cause – per cui fummo costretti alla guerra.
E la guerra arricchisce ancor più chi lo è: i cannoni costano e arricchiscono.
Fu sempre Mussolini a tracciare le linee essenziali in una intervista rilasciata al Daily Mail: “Un Gentlemen’s agreement ecco quello che io ho in mente. (…). Gli interessi anglo-italiani nel Mediterraneo non sono antagonisti, ma complementari”.
L’invito di Mussolini fu accolto dal governo inglese e il Gentleman’s agreement fu stipulato il 2 gennaio 1937. Immediatamente dopo la stipula, alcuni circoli conservatori inglesi, stranamente concordando con quelli laburisti, concorsero a creare un clima di sferzante polemica. Gli inglesi vedevano nelle iniziative di Mussolini un pericolo per i loro interessi di egemonia mondiale (oggi lo stesso pericolo lo vedono gli Usa) e preoccupazioni per la tranquilla esistenza del loro impero.
Scrive la studiosa Anne L. Murphy che un gruppo di persone controlla l’economia tramite il controllo della politica. La sede del mercato finanziario e del potere politico era (ed è) Londra, in cui si trovava Exchange Alley, il luogo principale di incontro. Le informazioni circolavano in modo formale e informale, e già all’epoca c’erano persone che seminavano confusione, paura o rendevano incomprensibile la situazione della Borsa. La Borsa, ieri come oggi, rappresenta un luogo di truffa e inganno, che ha come obiettivo l’usurpazione del denaro e il controllo dell’economia. Di conseguenza si può solo immaginare quanta preoccupazione subentrarò nelle sfere capitalistiche per le notizie della legge bancaria attuata da Mussolini nel 1936, ma anche quelle riguardanti la Germania di Hitler che mise in atto misure restrittive e di rigido controllo dello Stato sulle banche.
Ancora una volta Mussolini al Senato ammonì: “Complicazioni gravi saranno evitate se, rivedendo i Trattati di Pace, dove meritano di essere rivisti, si darà nuovo respiro alla pace. Questa è l’ipotesi che io accarezzo e alla quale è ispirata la politica del Governo fascista e del popolo italiano”.
Passiamo alla Conferenza di Monaco, 30 settembre 1938. Solo per il momento la pace fu salva e per opera di Benito Mussolini cosa ampiamente riconosciuta, come, ad esempio, dal Ministro degli Esteri francese George Bonnet che notò il grande ascendente che il Duce esercitava su Hitler: “Presso il quale sembra svolgere un compito moderatore, proponendo formule conciliative nei momenti in cui il Cancelliere (Hitler) cedendo ad uno dei suoi momenti di collera rimetteva tutto in discussione”. O il parere di Alan Bullock (Hitler. A study in Tiranny, pag. 428): “Ė quasi certo che fu l’intervento di Mussolini a pesare sulla bilancia”.
Quanti sparasentenze conoscono o parlano del Vallo Alpino del Littorio? Pur riconoscendo la giustezza di moltissime rivendicazioni della Germania, Mussolini diffidava di Hitler, diffidava dei mezzi con i quali voleva far valere le sue ragioni. Il Duce operava per discuterne intorno ad un tavolo, ma gli fu impedito.
Difficilmente mi si può togliere l’idea che i Paesi capitalisti non operassero che per la guerra, per abbattere le idee che partivano da Roma, idee che avrebbero dovuto condurre ad un socialismo fattibile, comunemente ricordato come Rinascimento del Lavoro. Ma questo avrebbe condotto alla fine del potere capitalista.
L’assurdità (se poi non fu calcolo per giungere ad una nuova guerra), fra le tante concepite nel Trattato di Pace di Versailles fu il così detto Corridoio di Danzica. Per motivi di spazio non posso indicare con quale perfidia Francia, Gran Bretagna e Usa sacrificarono la Polonia per giungere alla guerra, ignorando, checché si dica (ci sono i documenti), le inusuali offerte di conciliazione che Hitler avanzò verso la Polonia per trovare uno sbocco sull’affare del corridoio. La Polonia, forte delle assicurazioni dei tre Paesi sopra indicati, rigettò ogni proposta di conciliazione.
Ecco cosa si legge nel volume Lo Stalinista Roosevelt, di George N. Crocker, a pag. 5: “Poiché ci troviamo su dimensioni fuori del comune diremo che nessun popolo fu ingannato, così preso in giro e beffato, come il popolo americano dal presidente Roosevelt e dalla sua corte. (…). La dittatura di Roosevelt si circonfuse di un’odiosa e stucchevole aureola di democratica santità, che una stampa intimidita e servile, quando non complice, si incaricò instancabilmente di lustrare”.
Quanto scritto da George Crocker trova conferma in un documento in mio possesso, già presentato in un mio libro, ora esaurito, documento che ripresenterò, con altri, in una nuova edizione. In questa sede cercherò brevemente di estrapolare una parte interessante. Sono due documenti, ma mi riferirò ad uno e si tratta di una relazione inviata dall’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerry Potocki, il quale aveva avuto un colloquio con l’ambasciatore statunitense William Bullit. E la relazione venne inviata al Ministro degli Affari Esteri a Varsavia. I testi sono in francese e confermano quanto poco sopra riportato circa l’inganno messo in atto dalle tre potenze democratiche a danno della Polonia, la quale non fu altro che un’esca per costringerla alla guerra contro la Germania. L’ambasciatore Potocki fra l’altro scrive: “Quando gli domandai (a Bullit) se gli Stati Uniti prenderanno parte alla guerra, egli rispose: “senza alcun dubbio, ma solo dopo che l’Inghilterra e la Francia l’avranno fatto per prime”. Gli animi negli Stati Uniti, continuò “sono così montati contro il nazismo e l’hitlerismo che, sin da ora regna fra gli americani una psicosi analoga a quella che si aveva nel 1917”>. Attenzione alla data: 16 gennaio 1939. Inoltre è da osservare che circa lo “spirito americano per la guerra” è un falso grossolano, infatti l’Agenzia Gallup riportò che a seguito di un sondaggio, gli americani erano per la stragrande maggioranza contrari ad ogni idea di guerra.
Questo è tanto vero che Roosevelt per essere rieletto fu costretto a mentire di nuovo, mentre preparava la guerra, dai microfoni dell’Arena di Boston così garantì: “Parlo a voi, madri e padri, per rassicurarvi su un’altra cosa. L’ho già detto in verità, ma lo ripeto ancora e ancora: i vostri figli non saranno mandati a combattere una guerra straniera”.
Per motivi di spazio mi è impossibile elencare le provocazioni messe in atto da Gran Bretagna, Francia e, soprattutto dagli Stati Uniti contro il Tripartito (Italia, Germania e Giappone). Per quanto riguarda l’Italia riporto una parte di uno scritto di Ricciardetto (Augusto Guerriero) quando ancora era fascista: “(…). Quando l’Asse (Italia e Germania) non raccolse la sfida, il Presidente (Roosevelt) passò alle provocazioni: sequestro dei piroscafi dell’Asse (30 marzo); protezione americana della Groelandia (10 aprile), congelamento dei crediti (15 giugno); truppe in Islanda (7 luglio). In settembre annunciò che la flotta americana avrebbe protetto i convogli diretti in Gran Bretagna. Il gioco era chiaro: non riuscendo a trascinare il suo popolo alla guerra, Roosevelt voleva farsela dichiarare. L’Asse non assecondò la manovra nonostante tutte le provocazioni non gli dichiarò guerra. Allora la Marina americana creò una serie di incidenti (…)”.
Il fascista, poi – sì, solo POI, sfascista – Augusto Guerriero, detto Ricciardetto, ha accennato ai “sequestri dell’Asse e, fra le tante provocazioni per spingerci alla guerra questa manovra è stata la più grave. Il signor D.G. può anche non saperne nulla, tale è il silenzio dei media su questo criminale argomento, mentre è certo che il signor Pansa ne deve essere a conoscenza. E vediamo di che si tratta. Intanto è da tener presente che anche se la Germania (insieme all’Urss di Stalin) aveva attaccato e distrutto la Polonia senza che le Potenze democratiche avessero mosso un dito, nonostante gli impegni assicurati, l’Italia aveva proclamato la propria non belligeranza, ciò nonostante – e riporto quanto attesta l’Ufficio Storico della Marina Militare ne: la Marina e gli Armistizi, a pag. 346: “Dal 1° settembre 1939 al 25 maggio 1940, inglesi e francesi procedettero al fermo e al dirottamento di 1347 mercantili e navi di linea italiane, con la perdita di mille miliardi di lire di oggi”.
Ogni fermo o dirottamento avvenuto in acque internazionali, corrispondeva ad un atto di guerra. Mussolini non reagisce, anzi alle 18,42 del 26 agosto (Hitler e Stalin non avevano ancora invaso la Polonia), compì un ulteriore tentativo per dissuadere Hitler dall’iniziare la guerra inviandogli un nuovo messaggio nel quale, fra l’altro attestò: “(…). Nell’interesse dei nostri due popoli e dei nostri due regimi, sull’opportunità di venire a una soluzione di carattere politico che io ritengo ancora possibile: soluzione, naturalmente tale da dare alla Germania piena soddisfazione, morale e materiale”.
Non solo, il 27 dello stesso mese convocò l’ambasciatore von Mackensen che, come riferì in seguito: “(Mussolini) con parole convincenti riteneva possibile raggiungere tutti i nostri obiettivi senza ricorrere alla guerra”. Ė illuminante riportare questo ammonimento di Mussolini a Hitler: “Anche se assistita dall’Italia, la Germania non avrebbe mai potuto mettere in ginocchio l’Inghilterra e la Francia e neanche dividerle. Gli Stati Uniti non avrebbero permesso la disfatta totale delle democrazie (…). (Ė opportuno) rischiare tutto, compreso il suo regime e sacrificare il fiore delle generazioni tedesche per cercare di sconfiggere quelle nazioni?”.
Il 30 agosto (quindi a poche ore dall’inizio del conflitto), alle 17, Attolico comunicò a Ribbentrop che era “vivo desiderio del Duce che il Führer ricevesse l’ambasciatore polacco Lipski, così da stabilire almeno i minimi contatti necessari per evitare la rottura definitiva”. E questo era l’uomo che ambiva la guerra? E vediamo l’altro versante, quello degli Angeli del Bene. Mentre da oltreoceano il presidente americano faceva giungere al governo polacco l’incitamento a non cedere, alle 20,20 del 31 agosto l’ufficio telefonico informò il Governo italiano che Londra aveva tagliato le comunicazioni con l’Italia.
Ma non è finita, come si diceva una volta, il bello viene adesso. Torniamo ai 1347 bastimenti fermati in acque internazionali o sequestrati (per la precisione si trattava di 1347 casi di fermo o di sequestro), ed ecco come l’ambasciatore Pietro Gerbore presenta questi atti di pirateria commessi dagli Angeli del Bene: “Di rado nella storia della diplomazia, una decisione come quella del 10 giugno 1940 è illuminata da un retroterra altrettanto minuzioso e coerente. Non è sconosciuto, i pochi intenditori lo chiamano dal nome del suo autore: Il Rapporto Pietromarchi”.
Alcuni anni fa mi misi alla ricerca di questo documento, che per la verità sono due, e li rintracciai nell’Archivio del Ministero degli Esteri di Roma, e li presentai nel mio libro, quello ormai introvabile, ma che ripresenterò con nuova documentazione. Il diplomatico Luca Pietromarchi compilò questi documenti: uno in data 11 maggio 1940 e l’altro l’8 giugno di quello stesso anno. I documenti riportano puntigliosamente i casi della località del fermo, del nome della nave, in quale porto di giurisdizione degli Angeli del Bene fu obbligata a recarsi, i giorni del fermo, quante volte l’equipaggio fu costretto a svuotare il carico e dopo quanti giorni poterono rientrare in Patria. Solo per curiosità vorrei sapere cosa ne pensa Giampaolo Pansa.
Vedo che debbo concludere, anche se ho esposto solo una minima parte delle ragioni per comprendere a pieno CHI volle la guerra.
L’Italia poteva rimanere neutrale? I primi mesi del 1940 l’Europa era quasi completamente occupata dalle potentissime forze germaniche, le quali si affacciavano al Brennero. Quindi l’Italia si trovava in questa situazione: la Germania alleata dell’Urss, l’invasione della Norvegia, della Danimarca, dell’Olanda, del Belgio e del Lussemburgo, Paesi che avevano ripetutamente proclamata la propria neutralità.
Il presidente americano che, anche se subdolamente, dichiarava che mai l’America sarebbe entrata in guerra. Ancora, da non dimenticare che il popolo tedesco non aveva perdonato il voltafaccia dell’Italia nel maggio 1915. E, poi, come ricordato nel Promemoria 328: “(…). Credere che l’Italia possa rimanere estranea fino alla fine è assurdo e impossibile. L’Italia non è accantonata in un angolo dell’Europa come la Spagna, non è lontana dai teatri d’operazione come il Giappone o gli Stati Uniti. Anche se l’Italia cambiasse atteggiamento e passasse armi e bagagli ai franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra con la Germania. Guerra che l’Italia dovrebbe sostenere da sola (…)”.
Allora l’Italia poteva rimanere neutrale? Ecco l’opinione di Lucio Villari, certamente uno studioso non-fascista, che su Venerdì del numero di giugno 1991 ha scritto: “Allo stato delle cose, la guerra era dunque inevitabile, anche se è più comodo pensare che non fosse tale e che al nostro Paese avrebbe potuto essere risparmiato un destino così tragico. Infatti dal punto di vista storico, oggi, a distanza di cinquat’anni, non abbiamo alcun appiglio politico o diplomatico per dire che Mussolini avrebbe potuto lasciare fuori l’Italia dal conflitto europeo”.
Oppure secondo il dialogo fra Myron Taylor, l’inviato da Roosevelt e Monsignor Tardini, dialogo che terminò con queste parole: “Si sa bene che Mussolini ha dovuto entrare in guerra perché altrimenti l’Italia avrebbe subito la sorte dell’Austria”.
Ancora Mussolini nell’intervista, di cui proporrò qui di seguito uno stralcio: “Ho una documentazione che la storia dovrà compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio del 1940, se critiche venivano fatte, erano per gridare allo scandalo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente. La Germania aveva vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compenso, ma saremmo stati certamente, in un periodo di tempo più o meno lontano, invasi e schiacciati. “Cosa fa Mussolini? Quello si è rammollito. Un’occasione così non si sarebbe mai più presentata”. Così dicevano tutti (e posso testimoniare che così era, ndr) e specialmente coloro che adesso gridano che si doveva rimanere neutrali e che solo la mia megalomania e la mia libidine di potere e la mia debolezza nei confronti di Hitler aveva portato alla guerra (…)”.
Non posso terminare questo lavoro senza citare di nuovo il più noto studioso del fascismo, Renzo De Felice. Questo è un sunto tratto da una intervista concessa a La Stampa il 4 settembre 1989: “Mussolini (…). Avrebbe voluto essere l’altro uomo dell’Asse, il leader degli europei che non volevano finire sotto l’egemonia di Hitler. Quello che gli aveva tenuto testa (…). Ma si è riflettuto abbastanza su quell’attacco alla Francia? Quand’è che lo mise in atto? Quando i tedeschi da Besançon cominciarono a puntare verso il Mediterraneo”.
Allora è bene rammentare l’ammonimento del Duce: “Hitler non deve vincere troppo e, soprattutto non deve vincere da solo”.
Concludo, anche se a malincuore, dati gli argomenti che potrei presentare, con una frase tratta dall’intervista rilasciata da Mussolini al giornalista G.G. Cabella del Popolo di Alessandria, intervista concessa ad una settimana dal suo assassinio, disse, indicando due grosse borse di cuoio: “Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia. Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno! Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere”.
Purtroppo un gruppo di squallidi traditori sottrasse quelle borse che poi, come riportato dal quotidiano l’Unità, furono consegnate all’Intelligence britannica.
Non posso terminare senza tornare su quanto ha scritto il signor D.G., e precisamente: “In effetti solo durante il ventennio (ma soprattutto negli anni trenta [incredibile il grado di non conoscenza della storia, nda]) fascista si raggiunsero livelli di corruzione paragonabili agli attuali (…)”.
Non prendo neanche in considerazione, tanto è banale, che “i nostri soldati si ritrovarono in Russia con le scarpe di cartone”. Premetto che ci vuole del coraggio a scrivere certe cose nel clima di generale corruzione e furfanteria nel quale da settant’anni ci hanno obbligato a vivere, clima di biricchinate che si moltiplica in forma geometrica di giorno in giorno. Ma torniamo al periodo del male assoluto. Per scrivere su questo argomento avrei bisogno di un volume, ma citerò solo alcuni fatti che possono essere esplicativi. Quando a Mussolini fu affidata la direzione de l’Avanti, la prima cosa che fece fu di dimezzarsi lo stipendio. Deputati e Senatori, ovviamente all’epoca in questione, non percepivano stipendi, ma un semplice gettone di presenza, perché per il fascista il sedersi in quegli scranni era un dovere al servizio del cittadino (esattamente come nel periodo post-fascista). Ė noto che Benito Mussolini viveva con i proventi dei suoi scritti e rifiutò sempre qualsiasi appannaggio – anche nella Rsi – per la disperazione di Donna Rachele.
Quando Storace, avendo venduto il suo appartamento chiese al Duce l’autorizzazione di volersi comprare una villa (il gerarca, oltre tutto, aveva sposato una donna abbastanza ricca) gli fu vietato perché un gerarca doveva dare esempio di sobrietà, esattamente come ha fatto Gianfranco Fini con l’appartamento a Montecarlo, vero signor D.G.?
Quando su ordine del’Allied Military Government Territories (AMGOT) gli Alleati vincitori imposero al governo italiano di procedere all’epurazione dei fascisti, fu istituita un Commissariato per le sanzioni contro il Fascismo, e secondo quanto ha scritto il giornalista Lamberto Mercuri: “(…). Un milione e mezzo di impiegati dello Stato erano sotto giudizio d’epurazione, il che equivale a dire che la stragrande maggioranza dei pubblici dipendenti, quasi tutti iscritti al Partito Nazionale Fascista (…). Il che sarebbe stato appunto come sospendere l’intero Stato italiano (…). Si giunse ad un totale di 34.842 casi”.
Anche questa cifra, per quanto di mia conoscenza si ridusse, si ridusse ad indagare su 5005 gerarchi o alti funzionari fascisti. C’è da tener presente che fra questi possiamo leggere i nomi di Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini e tanti e tanti altri illuminati sulla via di Damasco. Ebbene dopo un anno di lavoro non trovarono nulla di illecito. Alt! Fu trovata una cassetta intestata a Italo Balbo, depositata in una banca. A questa scoperta insorsero i giornali sfascisti i quali a tutta pagina anticiparono la notizia con grandi titoli: “TROVATO IL TESORO DI ITALO BALBO”. Grande fu lo scorno quando, con grande pompa si andò ad aprire e, invece del tesoro fu trovata la Sciarpa Littoria, una ambita onoreficenza del Regime. Nel 1947, non avendo trovato nulla di penalmente accettabile, il Commissariato dovette chiudere bottega.
C’è un’altra annotazione, ovviamente molto poco nota (ma ripeto di nuovo, dovrebbe essere conosciuta da Giampaolo Pansa) nonostante cinque anni di durissima guerra, nonostante i bombardamenti terroristici degli Angeli del Bene, nonostante i sabotaggi degli eroici partigiani, nonostante la rottura di scatole dei tedeschi, “la Repubblica Sociale Italiana fece trovare agli Alleati invasori dell’Italia, un non immaginabile bilancio statale attivo per 20.9 miliardi di lire. Attivo mai più raggiunto in positività nella storia di alcuno Stato europeo, mentre la RSI, grazie alla rettitudine imposta nella guerra devastante, lasciò rara floridezza nei depositi bancari, ed efficienza insuperata nella gestione della cosa pubblica” Antonio Pantano, Ezra Pound, pag. 11.
Cose dell’altro mondo, vero? Anzi, di un’altra galassia; eppure è stato così. E da qui si spiegano tante cose. E chi vuol capire, capisca!!!
Ė vero, detesto questa forma di democrazia, mentre invece indico, se vogliamo superare ogni crisi o problema, la Democrazia del Lavoro o, come vogliamo chiamarla Democrazia Organica, cioè per essere più chiari, quella indicata da Benito Mussolini, perché è ancora oggi (anzi, ancor più oggi), attuale e fattibile.
I vari Giampaolo Pansa possono scrivere la storia secondo quanto ammonito da Voltaire: “L’onnipotenza di Dio, una volta terminati gli eventi, non è in grado di modificarli successivamente, mentre invece possono farlo gli storici mutando la narrazione degli avvenimenti effettivamente accaduti”.
Filippo Giannini