Daniele Carcea: “Finanziamenti pubblici ai partiti? … A volte ritornano!”

Lunario Paolo D'Arpini 11 aprile 2012

Il primo referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico, (la legge 195/1974 fu promosso dal Partito Radicale nel lontano 1977 e si tenne l’11 giugno 1978. Nonostante l’invito a votare “no” da parte di quasi tutti i partiti che rappresentavano il 97% dell’elettorato, il “si” raggiunse il 43,6%; anche se il quorum non fu raggiunto, fu una grossa vittoria politica. L’operazione dei radicali si ripete nel 1993, in piena tangentopoli, questa volta fu un successone, quorum raggiunto e 90% di SI.

Ma della volontà popolare i partiti se ne fregarono bellamente e l’anno dopo nel 1994 fecero rientrare dalla finestra il finanziamento pubblico, sotto forma di rimborsi elettorali.

Le cifre sono impressionanti, dal 1994 quando i rimborsi elettorali ammontavano a 47 milioni di euro, siamo arrivati nel 2008 a 503 milioni di euro, mezzo miliardo di euro; 10 volte tanto e non c’è nessun tipo di inflazione che giustifichi tale aumento. Inoltre oggi giorno per ogni euro che viene speso per le elezioni i partiti ne incassano 4 e mezzo. Se i partiti incassano il 350% di quello che spendono è chiaro che poi nasce il problema di gestire questo fiume di denaro e inevitabilmente i tesorieri vengono tentati dalla possibilità di gestire questo bottino frutto di un’estorsione legalizzata ai danni dei cittadini.

Il problema non sta essenzialmente nel tesoriere della Margherita Lusi, che può essersi comprato 10 anziché 5 appartamenti con il denaro versatogli in cassa dallo Stato o in quello della Lega del’ex buttafuori di discoteche Belsito o negli studi del Trota, il problema sta nei partiti e nella partitocrazia, nelle leggi che si sono fatti in 18 anni con le quali si sono aumentati tre volte il finanziamento pubblico camuffandolo da quote dei rimborsi elettorali. Il problema è a monte, il grave danno ai cittadini si compie nel momento in cui quasi tutti partiti presenti in Parlamento, eccetto i radicali, si mettono d’accordo per reintrodurre qualcosa che i cittadini elettori avevano bocciato.

Addirittura negli anni 90 tentano la strada “più democratica” del 4 per mille nella denuncia dei redditi, ma quando si rendono conto che le firme volontarie sono una percentuale minima e che quindi i fondi raccolti sono per loro nettamente insufficienti, in quattro e quattr’otto sbaraccano la legge e introducono i congrui rimborsi elettorali.

Oggi sono tutti pronti a stracciarsi le vesti e a proporre rivoluzioni normative, ma fino a ieri mattina tutti i partiti, con l’unica eccezione del movimento a 5 stelle di Beppe Grillo, che ha rinunciato ai rimborsi per i 4 consiglieri regionali eletti, si sono incamerati l’intero ammontare del finanziamento pubblico mascherato, Di Pietro compreso, che fra l’altro fa finta di non sapere che l’anno prima delle elezioni politiche non si può presentare alcuna richiesta di referendum abrogativo in Cassazione.

Appare evidente l’urgenza di riformare tutta la materia: abolendo quasi totalmente i finanziamenti pubblici, lasciandone solo una piccola quota, magari un ottavo dell’attuale somma erogata ai partiti, incentivando le iscrizioni ai partiti e quindi l’autofinanziamento come vorrebbe l’etica liberale, concedere la possibilità ai partiti di non pagare la posta cartacea che mandano e le telefonate che fanno, in sostanza agevolare l’attività partitica concedendo anche la gratuità di servizi essenziali per fare politica, come ad esempio la possibilità di utilizzare strutture pubbliche per poter fare convegni, comizi, riunioni, assemblee senza tirar fuori un soldo. Indispensabile è anche una norma che assoggetti i partiti a rendere pubblico il proprio bilancio e magari a metterlo su internet, comprese tutte le spese che vengono sostenute, una vera e propria rendicontazione conoscibile da tutti. La trasparenza è senz’altro il miglior antidoto allo sperpero di denaro pubblico e alla corruzione dentro e tramite i partiti.

Daniele Carcea

348/2839738

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