Scorie radioattive… e liberalizzazioni governative per stiparle in Italia – Poveri noi, ma chi ce l’ha mandato questo…?
“Si sentiva il bisogno di un governo tecnico, non eletto dal popolo, che, con l’appoggio dei partiti destri e sinistri, uniti appassionatamente in un governissimo blindato, sancisse la fine della democrazia in Italia… La democrazia è una parola obsoleta.. ora si dice “liberalizzazione”, che equivale a dire “svendita di ogni dignità e giustizia a favore del mercato”. Grazie monti, il popolo si ricorderà di te e di chi ti sostiene…” (Saul Arpino)
Un piccolo comma nel decreto sulle liberalizzazioni riapre la questione delle scorie nucleari, stabilendo che il governo può installare dove vuole i depositi senza il parere ora discriminante delle istituzioni locali. Effetto nimby a parte, il problema è che così si rischia di andare verso la creazione di tanti depositi (in gran parte rendendo stabili quelli ora provvisori). Intanto i deputati del Pd della zona più sensibile, il vercellese (a Saluggia c’è l’85% delle scorie italiane) pur restando fedeli a Monti promettono battaglia, bollando la decisione come «inaccettabile». Con la mappa dei depositi di scorie radioattive in Italia.
Sedata dopo il referendum, la bagarre sul nucleare sta per riaprirsi per un articolo contenuto nel decreto del governo Monti sulle liberalizzazioni. Nascosto tra articoli che hanno avuto finora più eco, c’è infatti spazio anche per l’atomo. Anzi, per i suoi scarti, le scorie. L’articolo 25 (accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari) vorrebbe dare impulso al decommissioning e rendere più facile l’autorizzazione di nuovi depositi nucleari, in deroga – se necessario – a procedure ordinarie. «Se fosse approvato autorizzerebbe i nuovi depositi nucleari nei siti a rischio», denuncia Gian Piero Godio, instancabile antinuclearista piemontese di Legambiente, che se non avesse setacciato ogni angolo del decreto non avrebbe scovato una norma sfuggita ai più.
Tra i siti meno idonei la palma d’oro spetta a Saluggia, in provincia di Vercelli, che delle scorie è la capitale (è qui stoccato l’85% dei rifiuti radioattivi del nostro Paese, tra cui oltre 300 metri cubi liquidi a più alta radioattività): depositi temporanei nella golena della Dora Baltea e a monte dell’acquedotto del Monferrato.
«L’articolo 25 toglierebbe ai Comuni la possibilità di decidere se un impianto nucleare può essere realizzato o meno», sottolinea Godio. Due parlamentari del Pd, Luigi Bobba e Roberto Della Seta (eletti nel vercellese) – che sostengono Monti come tutto il partito di Bersani – annunciano, però, battaglia: «Se passasse così com’è, Saluggia diventerebbe la discarica delle scorie nucleari italiane, senza bisogno di ottenere le autorizzazioni ambientali, urbanistiche e di sicurezza previste dalla legge per tutte le nuove infrastrutture. Per questo, proporremo al Senato e alla Camera modifiche radicali all’articolo e ci auguriamo che il governo non insista su una via totalmente inaccettabile».
Si tratta di una norma, che in termini diversi, era comparsa anche nel decreto Salva Italia, ma fu espunta dalle successive correzioni. Non è la prima volta che per mano governativa verrebbero rafforzati i poteri di Sogin (Società gestione impianti nucleari), successe già nel 2003 quando il governo Berlusconi decretò lo stato di emergenza sui siti nucleari, a causa – si disse – del pericolo di attentati terroristici. In sella, a quel tempo, c’era il generale Carlo Jean, che in qualità di commissario Sogin autorizzò a Saluggia (Vercelli) il contestato mega deposito D2 – di cui sono iniziati da poco i lavori – in virtù dei poteri speciali e in deroga alla normativa urbanistica.
È la prima parte del comma 4 quello che impensierisce maggiormente gli ambientalisti e che secondo loro «esautorerebbe i comuni e i sindaci»: una volta ottenuto l’ok del ministero dello Sviluppo economico, Sogin potrebbe operare senza ulteriori “ostacoli” burocratici. L’autorizzazione diventerebbe, infatti, variante, e sostituirebbe ogni provvedimento amministrativo.
Fatte salve le specifiche procedure previste per la realizzazione del Deposito nazionale e del Parco tecnologico richiamate al comma 3, l’autorizzazione alla realizzazione dei progetti di disattivazione rilasciata ai sensi dell’articolo 55 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.230 nonché le autorizzazioni di cui all’articolo 6 della legge 31 dicembre 1962 n. 1860, e all’articolo 148, comma 1-bis, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, rilasciate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, valgono anche quale dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, costituiscono varianti agli strumenti urbanistici e sostituiscono ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati, previsti dalle norme vigenti costituendo titolo alla esecuzione delle opere.
«Così – sostiene Godio – si dà mano libera a Sogin di installare dove vuole i depositi senza il parere discriminante delle istituzioni locali. Tanti depositi renderanno meno esigente la costruzione di un vero deposito nazionale più sicuro, che per legge doveva essere pronto entro la fine del 2008. Sogin ha ultimamente chiesto l’autorizzazione per la costruzione di depositi, a sua detta temporanei, in ogni sito italiano, situati spesso in località illogiche». Solo in Piemonte sono previsti due depositi nucleari a Saluggia, altri due a Trino Vercellese e un deposito nucleare a Bosco Marengo (in fase di realizzazione). «I siti – conclude Godio – rischiano di diventare depositi di sé stessi, in barba al decommissioning che dovrebbe eliminare nei luoghi ogni vincolo derivante dalla presenza di radioattività».
Mauro Ravarino