John Kleeves e la verità sulla colonia Italia.. (e dopo aver parlato è stato suicidato) –
(…) l’Italia ho già detto che è di Tipo A (cioè quando gli USA hanno la possibilità di imporre totalmente la propria volontà sul governo del Paese soggetto). Anzi, è il decano e il leader sia morale che politico che economico delle neocolonie USA in Europa. Se c’è un Paese europeo che fu una effettiva, totale e legittima preda di guerra degli USA nella WWII questo fu l’Italia: fu una delle due potenze dell’Asse, fece la sua guerra, la perse e fu occupata, rimanendolo sino adesso (oggi come oggi ci sono un paio di centinaia di basi militari USA sul territorio italiano, qualcuno dice solo 106).
L’Italia non ebbe neanche la fortuna della Germania, di essere in parte occupata dai Russi e di poter rinegoziare a Muro crollato. Logico quindi che l’Italia sia quello che è. Certo, la situazione non venne sbandierata ai quattro venti, anzi ci fu subito un accordo, più che per tenerla nascosta, perché non se ne parlasse. Venne inventata la Resistenza e la sua mistica, venne inventata una Repubblica e una nuova Costituzione, vennero inventati i partiti e le elezioni, con lo scopo di distrarre, ingannare, illudere. Straordinaria la classe politica italiana post 1945, selezionata con criteri assolutamente antimeritocratici, sia dal punto di vista professionale che intellettuale che soprattutto morale: largo ai peggiori fu la parola d’ordine.
Era ovvio, perché i migliori – specie i migliori dal punto di vista morale – non si sarebbero prestati, e difatti tranne le eccezioni di pochi illusi, di pochi ingenui, non si prestarono. Si trattava infatti non di fare politica, ma di fare polverone, di fare sceneggiate, di darla a bere ai connazionali, nel frattempo stornando un bel po’ di soldi pubblici per dirottarli una frazione nelle proprie tasche e il grosso verso la categoria ora dominante, quella dei Kapò.
Infatti anche con l’Italia gli USA adoperarono il loro solito sistema neocoloniale: la spartizione delle risorse locali con l’elite ricca del Paese, che in cambio mantiene il popolo tranquillo, lo addormenta e lo distrae magari con il grande spettacolo della politica parlamentare, delle sue liti, scandali, polemiche, elezioni, referendum eccetera, e all’evenienza lo reprime. In questo modo l’elite ricca del Paese diviene nella sostanza una categoria di Kapò, che in cambio di favori esclusivi controlla e reprime la massa connazionale, che viene sfruttata a piene mani. Naturalmente i kapò allo scopo assumono alle loro dipendenze una numerosa manovalanza di sottokapò, i politici, gli intellettuali, i figuranti generici, e la torma dei vigilantes, mazzieri e tonton macutes variamente addobbati.
La spartizione delle risorse nazionali italiane fra una elite traditrice in patria e gli USA è stata evidente: dopo il 1945, con una certa gradualità imposta dalla discrezione, sono scomparsi interi settori industriali strategici: aeronautica civile e militare, cantieristica navale militare, costruzione di artiglierie fisse e semoventi, industria elettronica e informatica, industria aerospaziale, missilistica, estrazione del petrolio all’estero e anche in patria (Mattei fu addirittura ucciso per ridimensionare l’Agip). Ciò era allo scopo di far importare all’Italia quei prodotti dagli USA, è evidente.
Nel contempo l’Italia era invasa di prodotti “culturali“ USA, come musica, libri e film, contro i quali non veniva posta alcuna restrizione .Clamoroso il caso della cinematografia, dove il neorealismo italiano – un filone troppo di successo anche nel mondo, dove faceva ombra a Hollywood – fu soffocato nel giro di pochi anni privandolo dei crediti cinematografici perché “il genere non andava più“.
Sistemi analoghi venivano usati anche nel settore industriale: il Personal computer fu inventato dall’ing. Perotto della Olivetti, che lo brevettò, ma in breve tempo guarda caso il brevetto finì alla IBM. La ricerca scientifica italiana fu di fatto proibita: fingendo incapacità e dabbenaggine della classe politica e sciocco baronismo della classe universitaria si evitò sempre accuratamente di renderla agibile in Italia, allo scopo di indirizzare i ricercatori italiani all’estero e nell’ambito in grande maggioranza, naturalmente, negli USA.
Attualmente ogni anno circa 10.000 giovani ricercatori italiani vanno a lavorare all’estero, direi negli USA, dove seminano i benefici industriali derivanti dalle loro scoperte, brevetti, invenzioni. E se qualche dirigente italiano si oppone a questa direttiva, a questa politica o, se si preferisce, a questi ordini americani, viene durissimamente punito, e vedasi certamente il caso dell’ex presidente del CNR Felice Ippolito. Il dottor Montezemolo in nome della Confindustria invoca il potenziamento della ricerca e sviluppo in Italia: bene, ma spero che sappia di cosa parla.
E mi piacerebbe ascoltare l’opinione in proposito di qualche ministro dell’Istruzione, di uno di quelli più votati alla“efficienza“: efficienza per chi, per l’Italia o per qualcun altro? E’ per quello che insistono tanto sull’insegnamento della lingua inglese, perché sanno che i giovani talenti scientifici sono destinati agli USA? Per quanto riguarda gli stessi ricercatori italiani all’estero, sono addirittura orgogliosi di lavorare “in America“ e per carità se possono dire “al MIT, M-a-s-s-a-c-h-u-s-e-t-t-s I-n-s-t-i-t-u-t-e of T-e-c-h-n-o-l-o-g-y “: geni forse, ma ingenui sicuramente.
In pratica, come tutte le colonie, l’Italia deve pagare un tributo annuo al padrone, sotto forma di una passività commerciale imposta per importare beni che si potrebbero fare in casa (nutro seri dubbi sulle cifre dell’interscambio Italia-USA che vengono diffuse). E questa non è solo una opinione mia: nel 1995 nel suo libro“La grande scacchiera“ lo ha addirittura ammesso Zbigniew Brezinski, l’eminenza grigia del regime USA. Il flusso di migliaia di ricercatori invece è proprio l’equivalente degli ostaggi della miglior gioventù che nell’antichità i vincitori pretendevano dai vinti.
Tutto ciò per l’Italia ha comportato e comporta la perdita di centinaia di migliaia, forse di milioni di posti di lavoro, e ha comportato certamente la compressione del salario di quelli rimasti occupati, ed è realmente sbalorditivo rilevare come mai nessun sindacalista italiano, come certamente nessun politico, abbia protestato, o almeno mostrato di aver compreso la situazione.
Tutto ciò dal 1945 alla CMB, quando la dominazione USA sull’Italia era soft. Dopo il 1990, in pratica quando si cominciò a parlare guarda caso di un sistema politico bipartitico e maggioritario, questa dominazione è divenuta hard, perché gli USA non hanno più restrizioni né remore e quello che vogliono lo prendono. E si hanno avuto le privatizzazioni, che hanno avuto e stanno avendo (occorre tempo) il classico effetto neocoloniale: sottrazione di risorse al popolo (vendita a “privati“ di aziende di erogazione, utilities, acquedotti, reti elettriche e telefoniche, centrali, rotaie e vagoni, immobili pubblici, assicurazioni, banche ecc; si parla anche di vendere a “privati“ le strade, le coste) e loro ripartizione tra l’elite di Kapò locali e le Multinazionali, Finanziarie e altre Aziende USA.
Al banchetto al momento sono fatte partecipare entità anche di altri Paesi, ma ciò cesserà al momento opportuno. E tutto, ripeto, avviene nel silenzio di politici, giornalisti, scrittori eccetera di ogni e qualsivoglia partito, anche del più marxisticamente o“nostalgicamente“ puro e intransigente: la connivenza dei sottokapò è totale.
Sto forse affermando che c’è un complotto contro il popolo italiano? Certo che sì: l’Italia è un Tipo A e la sostanza della situazione di questi Paesi è proprio l’esistenza di un complotto contro i rispettivi popoli.(…)
CHI HA VINTO LA 2° GUERRA MONDIALE? un ritornello che ha accompagnato molti commenti delle celebrazioni del 25 aprile, afferma insistentemente che il movimento partigiano da un punto di vista militare non fu rilevante che, mai l’Italia sarebbe stata liberata se non vi fosse stato l’intervento dell’esercito anglo-americano, da qui il gesto polemico di chi non a compendio ma “in alternativa” alle manifestazioni del 25 aprile si reca a commemorare i caduti degli eserciti alleati, morti per la nostra libertà.
L’affermazione è una verità banale detta, tuttavia, con intenti faziosi al fine di sminuire il ruolo della Resistenza. Se si vuole affrontare la questione da un punto di vista storico-militare, aspetto che giudico importante ma non l’elemento essenziale, bisogna allora ricordare che l’Asse nazifascista fu sconfitto con grande difficoltà, dopo sei anni di guerra; per sconfiggerlo fu necessaria una grande alleanza che faceva perno attorno a Gran Bretagna, URSS e USA. E’ evidente che il merito fu di tutti, anche se l’apporto alla vittoria da un punto di vista militare fu diverso.
Affrontando il discorso sotto questo aspetto, senza rimozioni, bisogna allora precisare che il peso maggiore della guerra al nazifascismo fu sostenuto dall’URSS, che per prima sconfisse le invitte armate tedesche a Rostov e a Mosca e che con la battaglia di Stalingrado segnò la svolta della guerra, che lo sbarco in Normandia avvenne quando l’Armata Rossa era all’offensiva dal Baltico ai Carpazi e che anche dopo il D-Day più dei due terzi della forze armate del Terzo Reich rimasero a fronteggiare l’Armata Rossa. Anche questa è una verità banale ma pressoché rimossa. Il 9 maggio è stato il 66° anniversario della fine della guerra mondiale in Europa.
ESTRATTO DEL LIBRO “USA – Un paese pericoloso per la pace mondiale”
di John Kleeves
(Fonte: http://www.fileden.com/files/2010/1/3/2712390/Un%20paese%20pericoloso.pdf)