Misure governative per la semplificazione assoluta dell’impianto “vita”: dal lavoro alla tomba!

Lunario Paolo D'Arpini 2 dicembre 2011

In queste ore sono filtrate indiscrezioni sull’ipotesi di innalzare le pensioni di anzianità a 42-43 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica, di elevare ulteriormente l’età pensionistica per le donne del settore privato, e di bloccare l’adeguamento all’inflazione delle pensioni in essere. Si tratterebbe di provvedimenti iniqui e inaccettabili, in contrasto con la tanto decantata “discontinuità” rispetto al governo Berlusconi, proclamata dal nuovo Presidente del Consiglio Mario Monti. In questo senso, non è piaciuto neppure il tono autoritario con cui Monti ha fatto capire di voler portare avanti queste “riforme”, senza cioè il necessario confronto e consenso con le parti sociali.

QUANDO SI PARLA DI PENSIONI, BISOGNA TENER PRESENTE CHE:

- PER QUANTO RIGUARDA LE PENSIONI DI ANZIANITÀ in Europa oggi l’età effettiva del pensionamento vede l’Italia esattamente allineata alla Germania e alla Francia, così come riportato il 24 ottobre 2011 dal Corriere della Sera: età media effettiva di pensionamento: Italia Uomini 61,5 Donne 60; Germania Uomini 61,6 Donne 59,9; Francia Uomini 58,8 Donne 58,8; Spagna Uomini 62,6 Donne 59,5.

Oltre a ciò, nel 2010 il Governo Berlusconi ha inventato le ‘finestre lunghe’, cioè il lavoratore che matura il diritto di andare in pensione dovrà aspettare ancora 1 anno prima di percepire l’assegno pensionistico, versando contributi che non gli saranno conteggiati. E come se non bastasse, nel 2011 sono stati aggiunti altri 3 mesi in relazione al presunto aumento dell’aspettativa di vita, con il risultato che sulla carta il lavoratore ha diritto alla pensione ma nella sostanza deve lavorare in totale altri 15 mesi in più per averl, anche se l’allungamento dell’età di vita e’ una bufala, perchè a 80 anni i lavoratori ci arrivano di norma in difficili o pessime condizioni fisiche, quando ci arrivano….

Poi una persona che lavorando ha pagato per 41 anni (40 più 1 anno di finestra) il 41% (33% + 8%) sul lordo del proprio stipendio, la sua pensione se l’è strapagata. Considerando infatti che si va in pensione a 61 anni circa, campandone ancora 16 o 17 mediamente, non si recupera neppure tutto ciò che si è versato di contributi per 41 anni!

- DONNE l’età per andare in pensione è stata recentemente allungata dal governo Berlusconi di 5 anni, da 60 a 65, prima a quelle del settore pubblico e poi a quelle del settore privato, con la garanzia che i soldi sarebbero serviti per creare servizi utili alle donne stesse (asili nido, servizi di cura per gli anziani, copertura contributiva per la maternità per tutte le donne, ecc…). Invece, nell’ultima manovra questi soldi sono stati dirottati verso il debito pubblico. Nel maxiemendamento poi, dal 2026 la pensione di vecchiaia per tutti è stata portata a 67 anni di età. Successivamente con il criterio dell’aspettativa di vita, l’età pensionabile potrà salire a 70 anni. Chi, come le donne, ha retto sulle sue spalle triplo e quadruplo lavoro (anche il lavoro domestico, la cura dei figli, degli anziani e disabili) sopperendo alle carenze di servizi dello Stato, anziché essere compensato in qualche modo, per esempio con qualche anno di lavoro in meno e con qualche contributo figurativo, verrebbe ulteriormente penalizzato dall’aumento dell’età pensionistica ventilato dal governo Monti.

- IL SALDO DEL SISTEMA PENSIONISTICO È IN POSITIVO dai dati ufficiali emerge che il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali (cioè quanto effettivamente esce dal bilancio pubblico e entra nelle tasche dei pensionati) è positivo fin dal 1998. Nell’ultimo anno per il quale si dispongono questi dati, il 2009, il saldo è stato di 27,6 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil. Il che significa che il sistema pensionistico pubblico finanzia il bilancio dello Stato, e in una misura consistente e crescente dal 1998 in poi.

Se l’ Eurostat sostiene che l’attuale spesa pensionistica incide comunque in misura anomala sul Pil, è perché fa confronti statisticamente disomogenei. Infatti il dato italiano è sovradimensionato dall’indebita inclusione dei trattamenti di fine rapporto TFR (pari a circa un punto e mezzo di Pil) e dalla valutazione delle prestazioni al lordo delle ritenute previdenziali (in Germania i soldi che escono dagli enti pensionistici sono esattamente quelli che entrano nelle tasche dei pensionati e la spesa pensionistica viene contabilizzata al netto di ciò che viene pagato; in Italia invece viene registrato come spesa pensionistica il lordo erogato, inclusa la ritenuta d’acconto). Questi due elementi di disomogeneità, se tolti dal computo, riducono l’incidenza sul Pil della nostra spesa pensionistica al di sotto o in linea con quelle francesi e tedesche. Il Tfr infatti non è una prestazione pensionistica, e neppure i prepensionamenti a seguito di crisi aziendali, che solo in Italia diventano spesa pensionistica, mentre in altri Paesi sono considerati interventi di politica industriale non contabilizzabili nella spesa pensionistica.

La gestione Inps dei dipendenti, inoltre, è in attivo di 10 miliardi e non ha bisogno di aggiustamenti, mentre quelle di autonomi e dirigenti è in perdita.

- PENSIONI SGANCIATE DAL COSTO DELLA VITA: dal 1992 le nostre prestazione pensionistiche non sono più agganciate agli incrementi salariali e sono indicizzate ai prezzi solo in misura parziale. Il risultato è che negli ultimi 19 anni il potere d’acquisto dei pensionati italiani si è ridotto. Bloccando l’adeguamento all’inflazione delle pensioni in essere, come vorrebbe fare il governo Monti, si darebbe il colpo di grazia alle già misere tasche dei pensionati, vanificando per giunta la possibilità di sviluppo della domanda interna, che dovrebbe essere il principali fattore di crescita.

- I GIOVANI: ogni anno in più di età pensionabile per noi tutti, equivale a circa 70 – 80 mila assunzioni di giovani in meno all’anno. Dunque è controproducente ciò che il governo Monti ha proposto alle Camere, cioè di innalzare l’età effettiva con meccanismi di uscita flessibili tra i 62 e i 70 anni. A maggior ragione in un momento come questo in cui è diffusa la disoccupazione giovanile (30%) e la crisi recessiva è già in atto, e ci si aspetterebbe che il governo prendesse misure per la crescita.

Che senso ha poi, come proposto da Monti alle Camere, applicare il sistema contributivo dal 2012 a chi nel 1995 aveva già 18 anni di contributi? Così facendo si incentiva a ritirarsi dopo dal lavoro, penalizzando l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Inoltre le previsioni segnalano un forte calo della copertura pensionistica per i giovani, perchè nel 2035, un lavoratore parasubordinato che riuscisse ad accumulare 35 anni di contributi e andasse in pensione a 65 anni, maturerebbe una pensione pari al 50% dell’ultimo stipendio. Quali provvedimenti prende a questo proposito il governo?

DALLA PROTESTA ALLA PROPOSTA

C’è un’alternativa precisa ed equa alle inaccettabili proposte del governo Monti, ventilate o esplicitate in Parlamento:

- per i precari una copertura contributiva nei periodi di vuoto lavorativo, in modo da raggiungere l’obiettivo del 60%; le risorse sono disponibili nei bilanci dell’Inail e dell’Inps che, ormai da 10 anni sono in attivo e ammontano rispettivamente a circa 2 miliardi all’anno (Inail) e 5 miliardi all’anno (Inps).-

- combattere l’evasione contributiva che è di circa 25 miliardi l’anno e genera un infinito contenzioso di cause civili: essa deve diventare reato penale, cioè furto. Tutti gli ispettori dell’Inps, dell’Inail e dell’Inpdap devono essere aumentati ed impegnati in una massiccia operazione di riscossione dei crediti, dal momento che si conoscono nomi, cognomi, ragioni sociali e cifre non pagate.

- Ci deve essere un unico ente nazionale della previdenza e della sicurezza dato dall’unificazione dell’Inps con Inpdap e con l’Inail. Questo porterebbe ad un risparmio di 3 miliardi di euro ogni anno

- Le Casse private, come quelle dei dirigenti di azienda, quando sono in passivo vengono scaricate sull’Inps. È inaccettabile questa forzata solidarietà: l’Inps eroga già pensioni a dieci milioni di persone che hanno meno di 750 euro al mese e non può caricarsi il costo di pensioni di quattro o cinque volte più alte, dunque le casse speciali devono tornare in attivo. I Dirigenti d’azienda industriali e i lavoratori autonomi, tra l’altro, sono categorie che continuano a beneficiare di una bassa aliquota contributiva versata.

- Se si permettesse ai singoli di scegliere se versare il Tfr all’Inps piuttosto che alle casse private, entrerebbero nell’istituto pubblico altri 8-10 miliardi l’anno.

- dividere l’assistenza dalla previdenza. In tutti gli Stati europei l’assistenza (assegni familiari, disoccupazione, assegni sociali, ecc.) è tutta a carico della fiscalità generale, mentre in Italia è a carico dell’Inps. Se si separasse l’assistenza dalla previdenza, la spesa pubblica italiana sarebbe perfettamente allineata alla media europea

CONCLUSIONE

I tagli alle pensioni servono allo Stato per poter ridurre alle imprese il prelievo contributivo, come se a non bastassero le riduzioni dell’onere fiscale e i crediti agevolati concessi agli imprenditori per 30 miliardi di euro ogni anno, soldi tra l’altro sborsati per il 70% dagli stessi dipendenti e pensionati, che a ragione potrebbero così definirsi “cornuti e mazziati”!

I provvedimenti paventati dal governo Monti, dunque, non sarebbero neppure riforme, ma puri e semplici interventi di cassa, senza alcun profilo di discontinuità rispetto a quanto avvenuto col precedente governo Berlusconi.

RICOMINCIARE DAI VERI PRIVILEGI, DALLA CASTA POLITICA E DAI RICCHI SAREBBE DAVVERO UN SEGNO DI DISCONTINUITÀ E DI EQUITÀ CHE PERMETTEREBBE AD OGNUNO DI ASSUMERSI LE PROPRIE NECESSARIE RESPONSABILITÀ.

Franco Pinerolo

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